Maschere, tradizione e spettacolo. Il carnevale di Roma, storia di una festa senza tempo


Dal fasto papale alla riscoperta moderna, dalla corsa dei cavalli berberi alla festa dei moccoletti, il viaggio di una celebrazione che ha segnato la storia della Capitale

Roma, città di storia millenaria e tradizioni immortali, ha vissuto per secoli uno dei carnevali più sontuosi d’Europa, una festa che ha unito nobiltà e popolo in un turbine di colori, maschere e giochi spettacolari. Lontano dai riflettori di Venezia o Viareggio, il Carnevale romano ha avuto una propria identità, radicata nel tessuto sociale e culturale della città eterna, trasformandosi nel tempo da celebrazione rituale a grandioso spettacolo di massa, sino alla sua progressiva scomparsa nel XIX secolo.

Affondando le proprie radici nelle antiche festività pagane, il Carnevale di Roma si configura come un’eredità diretta dei Saturnalia, il periodo dell’anno in cui l’ordine sociale si capovolgeva e il caos regnava sovrano. 

Dal Medioevo in poi, la città ha perpetuato questa tradizione attraverso tornei, palii e celebrazioni che coinvolgevano l’intera popolazione. Già nel XII secolo, si narra di festeggiamenti a Testaccio, dove il papa e l’aristocrazia cittadina presenziavano a giostre cavalleresche e riti collettivi che anticipavano le esplosioni di spettacolarità dei secoli successivi. Tuttavia, fu con l’ascesa al soglio pontificio di Paolo II, nel XV secolo, che il Carnevale di Roma assunse una forma codificata e magniloquente, spostando il baricentro della festa lungo l’odierna via del Corso, allora chiamata via Lata.

L’evento di punta del Carnevale romano era la leggendaria Corsa dei Berberi, una competizione tanto brutale quanto affascinante che vedeva cavalli scossi, privi di fantino, lanciarsi in una corsa sfrenata da Piazza del Popolo a Piazza Venezia. Questi cavalli, allevati e selezionati con cura dalle famiglie aristocratiche della città, venivano pungolati con aghi inseriti in sfere di pece per aumentarne l’impeto, mentre la folla assisteva in un crescendo di entusiasmo e tensione. Parallelamente, l’intero centro storico si trasformava in un teatro vivente: sfilate allegoriche, giostre, spettacoli improvvisati e maschere irriverenti animavano le strade, creando un’atmosfera di euforia e trasgressione che raggiungeva il proprio apice nella spettacolare Festa dei Moccoletti. Quest’ultima, celebrata all’imbrunire dell’ultimo giorno di Carnevale, consisteva in un gioco collettivo in cui ogni partecipante doveva proteggere la propria candela mentre tentava di spegnere quella degli altri, in una sorta di battaglia luminosa che simboleggiava il trapasso dalla sfrenatezza carnascialesca al silenzio penitenziale della Quaresima.

Festa dei Moccoletti in via del corso, Autore: Ippolito Caffi (Belluno 1809 – Lissa 1866)

Il Carnevale romano era popolato da figure iconiche che incarnavano lo spirito della città: Rugantino, il fanfarone impenitente; Meo Patacca, il soldato guascone; il Generale Mannaggia La Rocca, con le sue millanterie strategiche; e poi ancora Cassandrino, Don Pasquale de’ Bisognosi, Ghetanaccio e la Zingara. Queste maschere, vere e proprie caricature di personaggi e vizi dell’epoca, offrivano un palcoscenico alla satira sociale, permettendo al popolo di ridere del potere e delle convenzioni senza timore di rappresaglie.

Non c’è da stupirsi, dunque, che il Carnevale romano abbia affascinato scrittori e artisti di ogni epoca. Johann Wolfgang von Goethe, in viaggio nella città eterna nel 1788, ne rimase incantato, descrivendolo come una festa in cui il popolo offriva spettacolo a sé stesso, senza artifici e senza mediazioni. Alexandre Dumas lo rese sfondo di scene memorabili nel Conte di Montecristo, mentre pittori come Karol Miller e José Benlliure y Gil ne immortalarono l’anima febbricitante. Persino i grandi musicisti dell’epoca, da Gioachino Rossini a Nicolò Paganini, non resistettero alla tentazione di immergersi nella follia carnevalesca, travestendosi e suonando per le strade tra la gente.

Eppure, l’epoca d’oro del Carnevale romano si spense con l’Unità d’Italia. Con l’annessione della città al Regno d’Italia, la necessità di ordine pubblico e il mutato clima politico portarono alla progressiva riduzione delle celebrazioni. Il colpo di grazia arrivò nel 1874, quando un tragico incidente durante la Corsa dei Berberi spinse Vittorio Emanuele II a bandirla definitivamente. Senza il suo evento simbolo, il Carnevale romano perse la sua anima e lentamente scomparve dalla vita cittadina, sopravvivendo solo nei racconti e nelle memorie dei viaggiatori.

Oggi, in un’epoca di riscoperta delle tradizioni storiche, Roma ha iniziato a riappropriarsi del suo Carnevale, con eventi che rievocano il fasto perduto attraverso spettacoli equestri, cortei in costume e rappresentazioni teatrali. Piazza del Popolo e via del Corso tornano, per alcuni giorni, a essere il palcoscenico di una celebrazione che, pur mutata nei secoli, conserva il fascino e la grandezza della sua storia. Forse non sarà più il carnevale sfrenato di un tempo, ma resta il simbolo di una Roma che non dimentica, e che continua a trovare nel passato le radici della sua eterna magnificenza.