
Ci sono storie che si raccontano solo quando ciò che resta è un’immagine. Così guardiamo oggi Frida attraverso l’obiettivo di Muray, con la consapevolezza che quegli istanti non torneranno. Lo sapeva anche lui: che il momento non sarebbe durato, ma le fotografie sì.
Sessanta scatti selezionati tra i venticinquemila negativi lasciati in eredità dal fotografo ungherese compongono una mostra discreta, che invita ad accostarsi senza clamori a una Frida più intima. Non la pittrice-martire o l’icona di resistenza e femminismo, ma una donna ritratta da chi l’ha amata.
Quando Muray incontra Frida nel 1931, lei è ancora la moglie poco nota di Diego Rivera. Indossa abiti tradizionali, senza sapere che un giorno sarebbero diventati la sua uniforme. L’incontro, facilitato dall’amico comune Miguel Covarrubias, segna l’inizio di una lunga relazione fatta di incontri e distanze, lettere e attese. “Nick,” scrive Frida, “I love you like I would love an angel.” Nessuno dei due immagina che quel sentimento avrebbe vissuto più nella memoria che nella realtà.
Muray è stato emigrante, olimpionico, incisore e fotografo per Harper’s Bazaar e Vanity Fair, ma con Frida la fotografia diventa presenza. Non è solo un “Io ero lì”, ma un “Io sono qui. E ci resto.”
Il colore è l’elemento distintivo di questa relazione visiva. La fotografia a colori, ancora sperimentale negli anni Trenta e Quaranta, diventa per Muray un atto di fedeltà a ciò che vede: Frida che ama la vita nei suoi abiti sgargianti, nei fiori tra i capelli, nelle collane di corallo e turchese. Muray accoglie questa complessità senza semplificarla. È per questo che le sue immagini sembrano ancora moderne: sono sincere, e mostrano Frida com’era quando voleva essere vista, bellissima e inaccessibile, fiera e fragile allo stesso tempo.
Tra le immagini più note, Frida si staglia contro un muro verde, le mani congiunte e uno sguardo consapevole. È lei che domina la natura, non il contrario. In alcuni scatti Muray sembra indulgere all’esotismo richiesto dal pubblico americano, in altri rivela lo sguardo di chi ha amato profondamente.
La loro relazione termina nel 1946, ma rimangono l’amicizia, la complicità e le fotografie. Non spiegano chi fosse Frida Kahlo, non raccontano il suo dolore, la sua arte o l’impegno politico. Eppure, senza quegli scatti oggi forse non potremmo nemmeno immaginarne il volto. Sono le immagini di Muray ad averlo scolpito nella memoria collettiva.
Guardando questa mostra, che si può visitare dal 15 marzo al 20 luglio, si comprende che le fotografie non trattengono il passato, ma rendono nostro ogni istante, anche quelli che non abbiamo vissuto. Basta saper guardare.

Mostra di Frida Kahlo: The Life of an Icon a Sydney, Australia, 4 gennaio 2023. Foto @ANSA/EPA/BIANCA DE MARCHI
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