Roger Corman: “Il cinema? Una felice combinazione tra arte e industria. Ho aiutato la New Hollywood e lei ha aiutato me”

"Ho avuto la fortuna di incontrare grandi registi e di aprir loro gli occhi sul proprio talento. Molti di loro hanno iniziato con me: Francis Ford Coppola, Jonathan Demme, James Cameron", raccontava il leggendario produttore in un'intervista rilasciata al direttore di THR Roma Boris Sollazzo nel 2013 durante l'Odessa International Film Festival

Odessa, luglio 2013. Per chi non la conosca, è un luogo meraviglioso e decadente noto per la scena della carrozzina e della scalinata de La corazzata Potëmkin, di fronte a un arrogante porto commerciale, e l’essere stato il luogo di villeggiatura degli alti papaveri russi, dei burocrati sovietici più importanti. Incontrare Roger Corman, scomparso a 98 anni lo scorso 9 maggio,  in questa Forte dei Marmi ucraina e nostalgica fu già un film. Svegliarsi nello stesso albergo, scoprirsi vicini di stanza in balcone mentre nel porto arrivavano le navi russe a cominciare l’invasione che ora è una guerra ancora di più. Così come stare chiusi in albergo, con quella skyline così lontana dalle nostre abitudini, se non appunto cinematografiche, e girare con un certo timore in quella bellezza appassita, in mezzo a ragazze (s)vestite a uso e consumo di un immaginario erotico occidentale prevedibile e stereotipato e mercatini e giochi per bambini da colonia d’altri tempi.

Aveva già 87 anni, pensava di morire almeno 40 anni prima ma, diceva, “ora punto ai 101” (ci è andato vicinissimo). In quelle passeggiate confessò che aveva approfittato di quel (bellissimo) festival per fare scouting. Mi raccontò come guadagnava sempre dai film, come ha cresciuto i virgulti della New Hollywood senza mai smettere di prendere in giro le loro velleità artistiche e intellettuali, ma poi ne confessava l’ammirazione e quasi imbarazzato ricordava come una parte non trascurabile dei suoi tanti guadagni finivano nella distribuzione di film italiani, tra cui La Strada di Fellini.

Era entusiasta, dal fisico infaticabile, capace di intuizioni fulminee, lucidissimo. Un genio che faceva di tutto per non apparire tale, perché “il cinema, Sollozzo – si divertiva a prendermi in giro citando il non edificante personaggio de Il Padrino – è un gioco a cui partecipare seriamente, ma senza pensarsi migliori di ciò che si è”. Ecco, Roger Corman per me sarà sempre quell’intervista assolatissima e lunghissima che qui riassunsi per un mensile e un direttore e un caporedattore (Riders, Roberto Ungaro, il mitico Moreno Pisto, ragazzo mio un giorno faremo danni insieme di nuovo) che ho molto amato. E quel sorriso amaro e ironico di fronte a quelle navi da guerra. Che strano, ripensarci adesso.

Di seguito l’intervista realizzata nel 2013 durante l’Odessa International Film Festival

“Il cinema è la migliore, la più bella e completa delle arti: scrittura, pittura, poesia e prosa, teatro, musica, tutto ciò che ci ha emozionato negli ultimi millenni lo troviamo nelle immagini in movimento, l’unica grande invenzione tecnica e creativa dell’era moderna”. Roger Corman, produttore, regista e padre mai abbastanza riconosciuto del cinema americano moderno – senza di lui forse Scorsese, Coppola, Demme, Bogdanovich, Cameron, Dante non sarebbero ancora dietro la macchina da presa e Nicholson si sarebbe ritirato molto prima -, lo dice con gli occhi innamorati di un adolescente.

“Amo quello che faccio, ho provato una straordinaria gioia facendo il mio primo lungometraggio e quel sentimento è lo stesso adesso, dopo 60 anni, mentre cerco di riportare sul grande schermo il mio Edgar Allan Poe. Sono ancora pazzo del mio primo amore, lo ammetto”. Non si sente il genio, l’idolo che fa tremare la mano a chi scrive. Fa solo quello che sente di voler e dover fare, con quel realismo che l’ha reso un produttore quasi infallibile.

“Non bisogna mai vergognarsi di ricordare che il cinema è una felice combinazione tra arte e industria. Il pittore, lo scrittore possono lavorare con nulla: tela, pennello, carta e penna. Un’opera cinematografica, no: necessita di strumenti tecnici raffinati, di una troupe, di un cast, il denaro è necessario. Bisogna trovare un compromesso nobile tra queste due anime, non puoi ignorarle”.

Lui non l’ha mai fatto. “Intrattenimento e grande arte hanno la stessa dignità, ecco perché ho prodotto e in alcuni casi diretto cosiddetti film di genere e poi compravo fuori Fellini e Kurosawa. Mai avuto pregiudizi, a differenza di chi mi ha giudicato per anni per le donne seminude e gli horror o i miei B-Movies, io il cinema lo amo tutto.  I primi, poi, mi davano i soldi per poter correre il rischio con i secondi. Ho sempre vissuto questo lavoro come un misto di impegno, talento e gioco d’azzardo e per mia fortuna ho vinto quasi sempre. I miei amici all’inizio mi davano del pazzo. Dopo aver fatto ottimi incassi, rimanevano ancor più basiti dal fatto che con i guadagni comprassi un film di Bergman. Con cui vincevo l’Academy Award! La fortuna aiuta gli audaci, quando lo sono davvero”.

Cinque colpi di pistola, Rock all night e soprattutto La piccola bottega degli orrori – girato in due giorni e due notti – sono solo alcuni dei suoi cult da regista. Come produttore, semplicemente, a lui dobbiamo gran parte della New Hollywood. “Non scherziamo, è un’esagerazione. Diciamo che io ho aiutato la New Hollywood e lei ha aiutato me! Ho avuto la fortuna di incontrare grandi registi e di aprir loro gli occhi sul proprio talento. Molti di loro hanno iniziato con me: Francis Ford Coppola era il mio assistente alla regia, Jonathan Demme scriveva sceneggiature per me, James Cameron costruiva i modellini per le “mie” battaglie nello spazio. Lavoravano bene e in condizioni non facili. Alcuni me li andavo anche a cercare: Scorsese aveva già fatto qualcosa nel cinema underground. Questa curiosità mi è rimasta sempre: da queste parti, allo stesso modo, scovai Timur Bekmembatov. E ne sto cercando altri”.

Già, perché siamo all’Odessa International Film Festival, bella rassegna di giovani per i giovani. Come piace a lui. “Il futuro è fuori da Hollywood. Voglio capolavori e blockbuster, ma devono coinvolgere e stupire il pubblico, non mungerlo”. Vede la copia di Riders, la sfoglia e sorride. “Ho sempre amato le moto e ancora di più le auto veloci, il secondo film che ho prodotto si chiamava The Fast and The Furious (nessuna relazione con la saga stracult con Vin Diesel), ho diretto un lungometraggio sulla Formula 1 (I diavoli del gran prix, ndr), ho più volte raccontato motociclisti sopra le righe. I motori mi appassionano, forse perché anche per loro ci vuole impegno, talento e voglia di giocare d’azzardo”. Verrebbe voglia di rapirlo e portarlo in Italia. “Magari, chissà quanti bravi cineasti troverei. Verrò”. Gli suggerisco i Manetti Bros, Eros Puglielli e Davide Marengo e gli chiedo qual è il suo sogno nel cassetto. “Continuare a lavorare, divertendomi così, senza perdere il gusto della scoperta”. È anche il nostro, Roger.