
Nei suoi quadri si possono trovare la Dama dell’ermellino di Leonardo a fianco di Catherine Deneuve, Troisi seduto a fianco di Chaplin e Sinner che completa una volee sulla testa di Indiana Jones. Marco Innocenti ha lavorato a lungo nel cinema, e si vede, come realizzatore di manifesti per film, fin quando è approdato ad una sorta di arte pop “aumentata” che nella stessa immagine accatasta un maelstrom colorato e chiassoso di icone cinematografiche, eroi e miti della contemporaneità, personaggi celebri di ancor più celebri pittori, dal rinascimento al barocco all’impressionismo, che costringono l’occhio ad un tour de force di godimento, eccitazione, stress di saccadi e focalizzazioni.
Sappiamo da dove nascono queste immagini, ma come si evolveranno, soprattutto ora che l’intelligenza artificiale dota ogni immagine di un potere di accumulo e generazione sconosciuto solo un paio di anni fa? The Hollywood Reporter Roma lo ha incontrato per raccontare il suo percorso e il lavoro dei suoi collage.

Marco Innocenti in Arte BrividoPop nella recente intervista con Luca Icomussi nel suo studio di Roma. Foto THRR
Puoi raccontare qual è stata la tua formazione e come sei arrivato ad occuparti di cartellonistica cinematografica?
Ho studiato grafica e comunicazione visiva all’Istituto Europeo di Design negli anni ’80, e contemporaneamente mi sono iscritto alla facoltà di Lettere – Storia dell’Arte di La Sapienza. Dopo i primi anni da libero professionista ho incontrato il direttore marketing della Cecchi Gori (Massimo Proietti) che mi ha proposto di realizzare i manifesti di tutti i film prodotti e distribuiti da quella che a fine anni ’90 era una vera e propria major del cinema italiano. Ho imparato lì a fare i manifesti di cinema con il grande vantaggio di poter seguire il film dalla sceneggiatura al set, dallo scambio di opinioni con il regista fino alle riprese e al giorno dell’uscita in sala con tanto di trepidazione per il box office. Ogni mese 3-4 film italiani e altrettante rielaborazioni di manifesti di titoli stranieri, quasi sempre americani. Un crash test continuo che mi ha portato poi inevitabilmente ad aprire una mia agenzia nel 2001.
Quali sono stati i film più significativi nel tuo percorso professionale di cui hai curato l’immagine dei manifesti?
Ci sono titoli “importantissimi” con manifesti non all’altezza e manifesti bellissimi di film meno fortunati o meno belli. Ne ho firmati oltre 350, grazie, ovviamente, ad un lavoro di squadra, con grafici che non solo eseguivano le mie direttive ma spesso davano un tocco in più alla composizione. Difficile fare una classifica, ma sto al gioco e ne cito qualcuno. Il più bel giorno della mia vita (Cristina Comencini, 2002), EX (Fausto Brizzi, 2009), Boris il film (Ciarrapico, Torre, Vendruscolo, 2009,), ACAB (Stefano Sollima, 2012), Il nome del Figlio (Francesca Archibugi, 2015,) e Educazione siberiana (Gabriele Salvatores, 2013). Questi sono stati importanti, in particolare ,per la scelta coraggiosa di non utilizzare le foto degli attori, scelta solitamente quasi obbligatoria per vincoli contrattuali. Nella seconda lista invece metterei manifesti “tradizionali” con foto di scena o posate degli attori, ai quali sono affezionato per la bellezza estetica (che è sempre però un fattore soggettivo) o per il percorso creativo che li ha generati. Respiro (Emanuele Crialese, 2002) Eccezzziunale veramente capitolo secondo..me (Carlo Vanzina, 2006), Cado dalle nubi (Gennaro Nunziante, 2009), Gallo cedrone (Carlo Verdone, 1998), Hammamet (Gianni Amelio, 2020), Non ci resta che il crimine (2019, Massimiliano Bruno, 2019), Notte prima degli esami (2006, Fausto Brizzi, 2006), Finalmente la felicità (Leonardo Pieraccioni, 2011).

Digital Cover Marzo 2025 THRR. Crediti @Artwork – Brivido Pop/Creative Director – Tommaso Concina
Nella storia della cartellonistica italiana del dopoguerra, da Ballester a Symeoni, da Geleng a Casaro, chi credi ti abbia più influenzato o chi pensi di amare di più?
È come se mi chiedessi il migliore tra Leonardo, Raffaello, Michelangelo e Caravaggio. Sono riferimenti imprescindibili. In realtà la mia generazione è stata la prima ad utilizzare i computer e le immagini digitali, cosa che ha facilitato ovviamente il processo creativo, ma siamo stati in qualche modo penalizzati dall’opinione pubblica per la perdita della manualità dei grandi maestri. Sembrava (sembra tutt’oggi) che il manifesto fatto con la computergrafica fosse fatto “dalla” computergrafica. Noi grafici-creativi “moderni” non siamo pittori, illustratori, disegnatori. Siamo costruttori di immagini semplici o complesse, utilizziamo le fotografie, ma spesso siamo noi a proporre e suggerire chi, come, quando e perché produrre del materiale con cui mettere su la grafica del poster. Comunque se devo dirne uno, allo sprint prima degli altri: Casaro.
Nella storia degli artisti che si sono dedicati a questo genere, è difficile valutare quale sia la formazione più adeguata e proficua: la caricatura, l’illustrazione, la pittura vera e propria. Qual è la tua opinione?
Direi l’illustrazione. Ma parliamo sempre della parte esecutiva. In questo modo, prima di tutto rimane la capacità di immaginare la composizione corretta. Bella, giusta, efficace. Che poi sia dipinta o fotografata poco cambia.
Spesso citi Rotella come tuo principale riferimento, soprattutto per la memoria urbana dello strappo sul muro (anche se oggi, come sai, è molto difficile “strappare” un manifesto visto che la cartellonistica è quasi esclusivamente realizzata sulle superfici metalliche dei para pedonali). A me sembra però che i tuoi collage mostrino un riferimento molto più evidente all’opera di artisti dell’elettronica come Zbig (Rybczynski), l’autore polacco che vinse anche un oscar con un corto – quando lavoravo a Fuori Orario con Enrico Ghezzi, negli anni ’90, abbiamo mandato in onda sue cose molto belle che somigliano ai tuoi quadri – e in generale ai processi digitali che riescono a riempire per accumulo fino all’inverosimile di qualsiasi cosa, corpo, segno, l’inquadratura. Mi piacerebbe sapere se conosci questo tipo di lavori.
Qui ora parliamo non più dei manifesti dei film ma dei collage digitali che realizzo da oltre 15 anni sempre nell’ambito delle immagini cinematografiche. Sono tentato dal bluff e dirti che conosco alla perfezione il regista polacco. In verità non lo conoscevo affatto e mi dai lo spunto per colmare questa lacuna. Rotella strappava i manifesti dei film e li ricomponeva incollandoli sulla tela esaltando le zone strappate. Io ricompongo digitalmente pezzi di manifesti d’epoca (a volta anche quelli contemporanei, a volte anche quelli che ho fatto io) ma li metto in relazione con opere pittoriche classiche, mettendo sullo stesso piano la Venere di Botticelli con la Catherine Spaak di La voglia matta, come se fossero due coprotagoniste di un film immaginario che lo spettatore “gira” dentro la sua mente. Oltre a Mimmo Rotella (per il gesto dello strappo) mi piacerebbe essere accostato a Jacovitti e a Escher per la strategia di “riempimento per accumulo” della superficie. Alla fine, comunque, sulla superficie stampata su tela, incollo pezzi di carta che strappo dai manifesti in strada (non solo di cinema) non solo per omaggiare il gesto di Rotella, ma per dare un pizzico di materia all’immagine bidimensionale.
Cinema, sport, storia della pittura, cronaca. Le tue opere sembrano anche una sorta di mash up che è quanto ci ritroviamo alla fine del giorno, nei nostri occhi, dopo ore di scroll al cellulare, immersione nei social, live ininterrotto dei media che ci accompagna oramai nella nostra vita “onlife”, come la chiama il filosofo Luciano Floridi. È una lettura che ti sembra credibile?
Sì esattamente: con un ‘però’. Mi piacerebbe che lo spettatore dei miei collage vivesse un’esperienza inversa, ovvero non il passaggio randomico da un frame singolo all’altro, a volte, quasi sempre direi, senza nessuna connessione logica, senza nessun filo rosso; ma con la visione sinottica di decine e decine di frame che in un apparente caos hanno invece un legame, un’analogia, una contrapposizione più o meno razionale, una relazione ironica e suggestiva.
Se dovessi ridisegnare l’oscar oggi, a cosa ti ispireresti?
Le statue/statuette sono sempre celebrazioni di un eroe, di un singolo protagonista umano o animale. David, Leone, Orso. Senza scivolare nel politicamente corretto forse ci sarebbe bisogno di rappresentare un gruppo, una squadra, e non un singolo. Il cinema del resto è fatto di stelle che brillano grazie al lavoro di tanti professionisti che le fabbricano e le accendono. Mi ispirerei a La danza di Henri Matisse, un bel girotondo di maschi e femmine che ballano allegramente, nudi e imperfetti.

150 x 100 Titolo dell’opera 150 “A mezzanotte va” – BrividoPop
Domanda d’obbligo. L’ AI. In che modo finirà per entrare e sconvolgere il tuo lavoro?
Lo sta già facendo. L’unica cosa che posso augurarmi è che sia utilizzata in ogni caso da persone che fanno della comunicazione creativa la loro professione. Diventerebbe così uno strumento tecnico al pari di un software grafico innovativo. Il problema sarà quando un “semi addetto ai lavori” si prenderà la responsabilità di realizzare un’immagine manifesto per un film, non solo di commissionarla ad un grafico-creativo.
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