“Mi è piaciuto il personaggio che ci permetteva di raccontare il mondo di oggi dove, per un pugno di follower, puoi dire o fare qualsiasi. Credo sia la cosa più attuale che abbia mai girato”. Fausto Brizzi, ad un anno dall’uscita del suo ultimo film, Da grandi, torna dietro la macchina da presa. Questa volta per il piccolo schermo con Gloria, mini-serie prodotta da Eagle Pictures in collaborazione con Rai Fiction su Rai Uno dal 19 febbraio scritta a sei mani insieme e Paola Mammini e Roberto Proia, autore della sceneggiatura originale Vorrei vedere te.
Protagonista assoluta Sabrina Ferilli nei panni di Gloria Grandi, una delle grandi indimenticate dive del cinema italiano, convinta che il suo talento sia sprecato per la serialità. Ma, una volta abbandonata la tv, Gloria si ritrova in un mondo dello spettacolo che sembra averle voltato le spalle. Sconfitta ma intenta a riprendersi il posto che sente di meritare, sfrutterà qualsiasi espediente per tornare a far parlare di sé.
Il ruolo di Gloria sembra cucito addosso a Sabrina Ferilli. È sempre stata l’unica scelta?
Sabrina già conosceva il progetto e dove volevamo andare a parare nella serie. Con lei ho un rapporto di lunga data. Ho scritto delle serie tv con lei, e nei nei primi anni Duemila ero lo sceneggiatore dei film di Natale che ha fatto. È la prima persona da cui sono andato a raccontare il progetto, dicendole: “Non puoi perderti il ruolo di Gloria”. Una diva in disarmo disposta a qualsiasi cosa.
C’è stato spazio per l’improvvisazione sul set?
Faccio le prove, come a teatro. Organizzo delle letture con il cast in modo che sul set sia lasciato un 10% di margine. Anche perché sul set hai già preso una serie di decisioni che qualche improvvisazione la vincolano. C’è tanto altro che ti costringe. Al tavolo lascio molta libertà, sul testo un po’ meno (ride, ndr).
Come ha lavorato sull’adattamento della sceneggiatura di Vorrei vedere te?
Il testo originale era per un film in cui una diva ritrovava il successo perché non stava bene. Noi, sostanzialmente, abbiamo preso l’idea di questo personaggio che, pur di avere il successo, è disposta a tutto, anche a far soffrire i suoi cari con l’aiuto del suo agente molto laido. Mi è piaciuto proprio il personaggio che ci permetteva di raccontare il mondo di oggi dove, per un pugno di follower, puoi dire o fare qualsiasi. Credo sia la cosa più attuale che abbia mai girato. È una fotografia, una commedia all’italiana vecchia maniera nel senso che è fortemente ambientata nell’oggi. L’ho scritta con Roberto Proia e Paola Mammini, la più grande sceneggiatrice che c’è in questo momento, che ci ha aiutato anche a dare un punto di vista fortemente femminile alla storia.
Sta già pensando alla seconda stagione?
Sì. Non posso fare spoiler ma c’è un fortissimo gancio per una seconda stagione. Questa storia non può che continuare, non è autoconclusiva. È il lancio di un personaggio che, se il pubblico lo premierà, ci aiuterà a raccontare il mondo della televisione, del cinema e dello spettacolo di oggi.
Gloria si inserisce sulla scia di serie come Boris e Call My Agent che raccontano il dietro le quinte del mondo dell’intrattenimento. Si è divertito nel metterlo in scena?
Tanto, perché questo mondo lo conosco da trent’anni. Le due serie citate le amo molto per motivi diversi. Call My Agent l’ho vista prima nella versione francese e, da subito, mi è venuto in mente di farne una versione molto più crudele. Una fotografia del mondo di oggi, di cosa vuol dire non avere più successo.
Questa storia racconta il dolore di una persona che lo ha provato e poi l’ha perso e quindi è messa in un angolo. Nella serie ci sono diversi momenti in cui qualcuno la tratta da ex diva. Si fanno la foto ma, in qualche modo, poi le fanno coraggio come per dire: “Tornerà il momento”.
Sabrina è fantastica nel fare il doppio ruolo. Inoltre ci sono una quantità di camei inaudita. Da Sergio Rubini a Carlo Conti, da Leonardo Pieraccioni a Mara Venier passando per Virginia Raffaele, Enrico Brignano e Paolo Conticini che, con grandissima autoironia, si fa prendere anche in giro. Li dovrò ringraziare pubblicamente (ride, ndr).
In un mondo in cui l’immagine è tutto, c’è ancora chi sa prendersi in giro.
Non solo. Sabrina stessa facendo questa serie dimostra di essere veramente una fuoriclasse. Trovatemi un’altra attrice, diva vera, come Sabrina Ferilli, che accetta che nella serie continuamente le si dia dell’anziana in quest’epoca in cui tutti fanno qualsiasi cosa per sembrare giovani.
La serie si potrebbe chiamare Vecchia Gloria. Perché il tema vero è che la protagonista è una vecchia gloria. Cosa che Sabrina non è affatto nella vita. Però solo accettare di farla dimostra un grande senso dell’umorismo.
La bolla degli influencer si sta sgonfiando?
Il punto più basso a me è successo in alcune riunioni degli anni passati in cui, quando proponevo un attore, la controparte produttiva, quando facevo vedere un provino, mi chiedeva: “Sì, ma quanti follower ha?”. Erano le avvisaglie di quest’ondata. Adesso sembra essere iniziata una risacca, anche se non è detto che sia vera e che non ci siano altre risorse. Detto questo: a me fa sempre molto ridere vedere attori famosissimi che stanno su TikTok a parlare con poche persone collegate. È impietoso perché i social, in qualche modo, ti mettono in giudizio continuo. “Quanti like hai preso? Quanti follower ci sono in diretta?”. E tu pensi: “Ma veramente sei sveglio alle 23.58 con 132 persone collegate?”.
Crede che l’ossessione per social, like e follower abbiano modificato l’industria? E la commistione di questi due mondi funziona?
L’ho visto in tanti casi, anche di cose che ho prodotto. Non c’è questa osmosi. Se sei abituato ad avere un prodotto gratis e il tuo prodotto – quindi il tuo influencer – lo sposti in un altro media, non è detto che lo seguirai. Una volta ho inserito una persona con molti follower all’interno di un mio film. Siamo andati a fare un’anteprima ed effettivamente abbiamo trovato una hall con mille persone che ci si volevano fare il selfie. Ma quelle stesse persone non sono entrate a vedere il film.
Il box office delle ultime settimane sta registrando incassi e partecipazione da parte del pubblico.
Questa cosa è stata molto rivalutata con l’innesco del bellissimo film di Paola Cortellesi. Le presentazioni e i saluti in sala sono tornate molto in voga. Ci sono dei prodotti che attirano. Non è che alla gente improvvisamente, da un giorno all’altro, il cinema non piace più. È come il ristorante. Alle persone piace mangiare, ma dipende da cosa trovano nel menù.
Mesi fa sono andato a vedere Barbie in una sala in cui ero l’unico non vestito di rosa. Sembrava un happening. È un buon momento. E lo dico anche attraverso un altro medium. Ho una produzione teatrale molto attiva e il teatro sta vivendo un momento di splendore. Distribuisco spettacoli che sono sold out ovunque.
Oggi qual è la sfida di uno sceneggiatore o regista?
Non ho le statistiche ma sono certo che ci sia un’inversione di tendenza delle ore che passiamo sul telefonino. L’esplosione delle piattaforme, che io amo perché hanno dato occasione di lavoro a tutti e ne fruisco, hanno moltiplicato il tempo che le persone passano a vedere racconti. Prima andavi al cinema una volta a settimana e vedevi delle cose in televisione. Ma il tuo tempo di permanenza con qualcuno che ti raccontava una storia era sicuramente inferiore a quello che è successo negli ultimi anni.
Banalmente per chi vuole fare cinema si è alzata l’asticella. Devi combattere contro Berlino su Netflix, devi fare una cosa che convinca la gente ad uscire e andare al cinema a vedere Povere creature!.
Il suo immaginario cinematografico e televisivo è nostalgico?
Sì, sicuramente. Già a partire dal mio primo film come regista. In Notte prima degli esami racconto la cosa che conosco di più: cioè la mia vera storia degli esami di maturità. Era un racconto orale che facevo da vent’anni alle cene che a un certo punto diventa un film. Poi divorzio e faccio Ex. Ho fatto due film per bambini e, guarda un po’, ho un bimbo di 4 mesi.
Diciamo che sono sempre abbastanza sincrono con quello che mi succede. Mi guardo intorno e poi ci metto dentro le cose che mi piacciono. E, ovviamente, come quasi tutti sono quelle che ho vissuto quando avevo 18 anni. Quindi mi viene inevitabile usare Gloria di Umberto Tozzi se la serie si chiama Gloria (ride, ndr). La nostalgia dei vent’anni in qualche modo è dentro tutti noi. Alcuni lo esplicitano maggiormente.
C’è un film che vorrebbe realizzare?
Degli anni al Centro Sperimentale mi ricorderò sempre un insegnante: Vincenzo Cerami. Un grandissimo sceneggiatore, ma – soprattutto – grandissimo affabulatore. In una lezione ci disse che uno sceneggiatore non deve stare chiuso in casa. E non è soltanto quello che dicevano i grandi della commedia all’italiana. “Prendete l’autobus e guardatevi intorno”.
Vincenzo faceva un passo oltre e diceva: “Mettetevi nei guai; vivete esperienze; rubate la moglie di un amico; perdete il passaporto in una città straniera; insultate un poliziotto; fate in modo che la vita vi sorprenda con avventure e disavventure, perché poi le racconterete e vi nutrirete di quella roba lì”. Mi faceva molto sorridere questa cosa. Però è vero. Alla fine la vita ti racconta da sola quello che devi scrivere.
Tra i film candidati agli Oscar quest’anno, qual è il suo preferito?
Tra i miei colleghi ho una predilezione per Matteo Garrone. Non solo mi fa simpatia nella vita, il che non guasta, ma per me è veramente inarrivabile in questo momento per noi. Quando ho visto il suo film ero a Venezia alla prima e ho pensato: “Io questo non lo so fare. Manco con il doppio del budget (ride, ndr)”. È come quando guardi una partita di tennis e vedi Federer che gioca con una facilità estrema.
Per il miglior film, io quest’anno ho amato Barbie. Facendo questo lavoro ci sono i film che invidio. Ci sono film che mi piacciono, ma anche quelli che guardo e dico: “L’avrei voluto fare io questo film”. Come per Ritorno al Futuro, Grease e La La Land. Poi ci sono film come Oppenheimer, che mi piace ma non avrei voluto e neanche saputo fare. Barbie quest’anno è il film che invidio.
Greta Gerwig e Margot Robbie non sono state candidate, rispettivamente come miglior registe e miglior attrice, per Barbie. Che idea si è fatto del perché?
In Italia c’è il meccanismo che se un film fa troppo al botteghino paradossalmente è meno bello, meno autoriale. Uno dei miei film italiani preferiti degli ultimi anni, Perfetti sconosciuti, che ha avuto il maggior numero di remake del mondo, non l’abbiamo mandato agli Oscar. Ha fatto troppi soldi, è diventato troppo popolare. Alla fine è un film disimpegnato Barbie? Non lo so. Secondo me no. È forse il film di maggiore impegno che c’è quest’anno.
Personalmente penso che sia un film più autoriale Barbie di Oppenheimer. Quando tu hai un’idea – ancor prima di un copione – ci sono mille modi per farla. E lì che hai un bivio tra un film riuscito e un film sbagliato.
Hai la storia di Oppenheimer e, naturalmente, la metti in scena in una maniera abbastanza realistica. Il film segue quelle ricerche. Invece Barbie è proprio un’idea. E non l’hanno valutato abbastanza. L’Academy non è un’entità. Sono teste che votano. E alcuni magari lo invidiano. Come da noi ai David. Io sono libero di votare nella mia scheda. È inevitabile che uno si faccia prendere dall’empatia, dalla simpatia. “Barbie è il film già più visto dell’anno al mondo. Non ha bisogno del mio voto”. E invece sì. Non è quello che mi aspettavo di andare a vedere.
Ho trovato una cosa diversa. Si sono inventati un mondo, un tema. Hanno reso adulto il film, sono riusciti a fare un’operazione molto intelligente. È una cosa che succede nei migliori film della Pixar.
Qualche esempio?
In Inside Out improvvisamente i bambini impazziscono, ma a me viene il groppo in gola quando l’isola della stupidera crolla. A Toy Story 4 cominci a piangere perché i tuoi giocattoli se ne vanno. E i tuoi figli ti guardano e ti dicono: “Perché piangi?”.
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