Il cinema italiano sta diventando un brutto film di genere, scritto male. E senza colonna sonora

L'Associazione Compositori Musica per Film interviene nella polemica sui David di Donatello che oppone le maestranze del cinema italiano a un sistema che privilegia, a partire dai premi, soprattutto registi e attori. E ci parla di una battaglia di cui pochi sanno i contorni. E nessuno gli esiti. Tutte le categorie coinvolte hanno espresso “rammarico”, "parola - dice l'ACMF - che francamente ci suona quale triste eufemismo di termini ben più congeniali a raccontare l'evento di cui stiamo discutendo"

Caro Direttore, in quanto membri dell’ACMF vorremmo provare a raccontare la trama di un triste film di genere non fantascientifico che sta già generando ulteriori spin-off (ci concentreremo in particolare su uno di questi verso la fine del racconto). La sceneggiatura di quest’opera cinematografica si svolgerà su vari piani temporali e probabilmente solo alla fine il disegno completo prenderà un suo senso.

Fin dall’inizio dell’evento si erano percepiti segnali di possibili corto-circuiti con l’esibizione di Mahmood e della sua Tuta gold, utilizzata in maniera abbastanza discutibile quale omaggio al mondo di Fellini (?).

Questo bizzarro meccanismo di catapultare il mondo del cinema nei meandri del pop italico si ripeterà altre volte, quasi sempre con motivazioni poco plausibili (semi-cit. di uno dei capolavori di Elio e le Storie Tese), fatta salva l’interpretazione da parte di Giorgia di un noto brano scritto da Giorgio Moroder che stava per ricevere un meritatissimo premio alla carriera.

Fino ad arrivare all’ultima canzone interpretata da Irama ed associata al tradizionale ricordo dei colleghi scomparsi durante l’anno passato: l’aggancio emozionale in questo caso sarebbe stato che tale canzone era stata dedicata dal cantante alla figura della sua nonna scomparsa (?), il tutto in un contesto in cui, mentre l’esibizione procedeva, si assisteva sullo schermo alla visualizzazione dei nomi dei vari artisti, dapprima scritti con grandi caratteri e che poi diventavano sempre più piccoli (?).

Piccola deviazione nel racconto: siamo tutti consapevoli che una serata di premiazione in diretta televisiva può essere di una noia mortale se non sei direttamente coinvolto, e quindi gli interventi musicali con canzoni diventano fondamentali per spezzare la monotonia dello spettacolo; ma allora, perché non copiare da quelli che fanno le cose a modino, facendo per esempio eseguire le canzoni candidate in cinquina dagli stessi interpreti del film – e quest’anno ce n’erano pure di notevoli – senza genuflettersi totalmente alle dinamiche “sanremasche”?

Ma questo succedeva su un piano temporale in cui i climax più importanti di questo triste film di genere non fantascientifico avevano già trovato un proprio sviluppo.

Segnale (non) pervenuto

Il primo segnale, forte e chiaro, era arrivato dall’aver relegato in una sorta di sottoscala la premiazione di due categorie, definite “tecniche”, cioè quelle degli scenografi e dei costumisti, in una situazione che definire imbarazzante ed umiliante sarebbe fare un complimento all’umiliazione e all’imbarazzo.

Questi “magici momenti” si sarebbero poi ripetuti con la premiazione delle altre cosiddette categorie “tecniche”, cioè direttori della fotografia, montatori, tecnici del suono, responsabili degli effetti visivi, truccatori ed acconciatori, questa volta nello Studio 18 di Cinecittà, in uno spazio enorme, vuoto, illuminato male e con riprese che certo non potevano rendere omaggio a tutte quelle eccellenze, peraltro le stesse che spesso sono i nostri veri portabandiera in occasioni internazionali come gli Oscar.

Il tutto senza la minima possibilità di poter provare la gioia del pubblico presente nella sala principale che avrebbe sicuramente condiviso ed applaudito ogni singolo premio, e contravvenendo ad una delle sensazioni più forti che contraddistinguono il mondo del cinema: la consapevolezza di far parte di un meccanismo molto complesso in cui però ogni contributo è fondamentale e senza il quale il risultato finale potrebbe connotarsi in maniera anche estremamente negativa.

Non è un caso che quasi immediatamente dopo sia partita una comunicazione ufficiale firmata da tutte le organizzazioni di settore coinvolte in quella orribile rappresentazione in cui appare una parola chiave (comunicazione a cui ha aderito anche ACMF): “Rammarico”, parola che francamente ci suona quale triste eufemismo di termini ben più congeniali a raccontare l’evento di cui stiamo discutendo.

Vincitori da “sottoscala”

Sembra che le intenzioni iniziali (almeno così ce le hanno “vendute” durante la trasmissione, probabilmente anche a seguito dell’istintivo “rammarico” espresso proprio da Sergio Ballo, premiato nel succitato sottoscala assieme a Daria Calvelli per il notevole lavoro ai costumi di Rapito) fossero di valorizzare i luoghi in cui i film vengono sviluppati e realizzati. Supponiamo che ci fosse davvero questa buona (potenzialmente ottima) idea, ma allora ci sorge spontanea la domanda: perché non approfittare di questa illuminata ispirazione per consegnare l’ambita statuetta in tali luoghi, per esempio, alla miglior regia o al miglior attore protagonista?

Se si fosse realizzata questa condizione, probabilmente nessuno avrebbe avuto nulla da eccepire e probabilmente questo coinvolgimento avrebbe imposto una qualità ed un’attenzione ben diversa per le singole riprese del caso: migliori luci, migliori inquadrature, altre soluzioni rispetto all’incresciosa presenza in piedi dei singoli candidati in ieratica attesa della consegna del premio. E diciamo questo anche perché conosciamo bene la tensione che si prova in quei momenti in cui non sai (i risultati finali sono sconosciuti fino all’apertura della fatidica busta) se alla fine sarai stato davvero votato come vincitore.

Comunque, alcuni ipotetici segnali di quanto successo all’ultima premiazione si erano già percepiti pochi anni fa quando a causa delle limitazioni dovute al Covid, si era stati obbligati a dividere in due tronconi la partecipazione alla serata: una parte delle categorie nello studio principale e le altre (che combinazione, proprio le stesse incriminate nel triste film di genere non fantascientifico, con l’aggiunta anche dei compositori) presso il teatro lirico di Roma, che almeno come location avrebbe anche un suo perché, se paragonato al succitato sottoscala.

Si potrebbe obiettare: “Eh, ma in quel periodo c’era l’onda lunga del Covid”. Giusto, però abbiamo come il sospetto che qualche altro virus, i cui effetti ti portano a definire classi di merito diverse, si fosse già infiltrato nel corpo di qualcuno.

Per non parlare, pensando a tempi recentissimi, quando durante la conferenza stampa dell’evento, tutte le categorie coinvolte nella discussa “dislocazione spazio-temporale”, cui si aggiungevano ad esse le categorie musicali di miglior compositore e miglior canzone originale, erano state bellamente ignorate, come se tale annuncio fosse di fatto un’inutile appendice di cui si può comunque fare a meno. Ma, come dicevamo all’inizio, questo è un triste film di genere non fantascientifico, e le ipotesi di una diversa sceneggiatura restano solo ipotesi.

La rinuncia alla candidatura di Franco Piersanti e la “rinuncia” dei David di Donatello ad accoglierla

C’è un altro aspetto che probabilmente pochi hanno colto e che invece meriterebbe di essere quantomeno menzionato, ed è tutto insito alla categoria che rappresentiamo. Qualche giorno prima della manifestazione il Maestro Franco Piersanti aveva comunicato ufficialmente, anche a mezzo stampa, la decisione di rinunciare alla sua candidatura ottenuta con le musiche per Il sol dell’avvenire diretto da Nanni Moretti, con la motivazione che non si sentiva rappresentato dai meccanismi in vigore per la selezione delle cinquine musicali (il suo intervento era, ovviamente, più articolato; l’abbiamo necessariamente condensato).

Non staremo ora a discutere tali motivazioni, fatto sta che di questa sua decisione – che andava comunque accettata – non è rimasta traccia alcuna durante la serata di premiazione: la sua candidatura è stata tranquillamente annunciata, è stato messo in onda il suo nome come se nulla fosse accaduto nel frattempo, con il suo dissenso totalmente ignorato. E qui entra in gioco uno dei possibili spin-off.

Torniamo a circa 5 anni fa. È in quel periodo che la nostra associazione, ACMF, partendo da quanto scritto nello statuto dell’Accademia (poi anche leggermente riveduto) ha iniziato a chiedere di prendere in considerazione l’”opportunità” dell’ingresso della nostra categoria nel direttivo del David. Perché noi e non altre? Ci limiteremo a riprendere quanto scritto nello statuto succitato, in cui si fa evidente riferimento al fatto che nell’organo direttivo sono presenti le figure autoriali di un’opera filmica.

Stando alla legge 633 del 22 aprile 1941, tuttora in vigore, tali figure autoriali sono quattro: soggettista, sceneggiatore, regista, compositore. Analizzando chi è presente nel direttivo dell’Accademia, l’unico autore non presente, benché riconosciuto dalla legge, è proprio il compositore. Da qui la reiterata richiesta di poter partecipare attivamente ai lavori degli organi direttivi. E parliamo di reiterazione perché ad oggi siamo ancora nella condizione di dover discutere tale accesso a distanza di 5 anni dai nostri primi timidi tentativi in tal senso.

Ad inizio ottobre 2023 abbiamo avuto, finalmente, un primo – ed al momento ultimo – incontro con alcuni esponenti del succitato organo. Tale riunione, svoltasi su un piano sufficientemente cordiale, ci ha lasciato comunque molto amaro in bocca, sentendoci ribadire da uno di tali esponenti che uno dei motivi per cui non può essere accolta la nostra candidatura è perché la nostra figura autoriale non viene riconosciuta come tale, indipendentemente dal fatto che, oltre al buon senso, lo dica anche una legge dello stato, e questo per motivi “identitari” (parole sue) – sempre nel succitato statuto è stato precisato in un altro successivo articolo, onde evitare che ci fossero possibili discussioni in merito, che all’interno dell’Accademia per autori di opere cinematografiche si debbano intendere solo registi e sceneggiatori.

La reazione della ACMF

Per sua fortuna (cioè del membro del direttivo di cui si parlava poc’anzi), all’incontro non ha potuto partecipare il compianto Maestro Ennio Morricone, nostro Presidente Onorario, che, ne siamo certi, non avrebbe digerito la cosa senza esprimere la sua “contrarietà” con le modalità che tutti possiamo ben immaginare. Va comunque osservato che non tutti i componenti di tale organo direttivo condividono l’aberrante pensiero precedentemente espresso e non possiamo che ribadire di essere grati a questi del loro supporto alla nostra causa.

In questi 5 anni, per quanto possibile, abbiamo comunque continuato ad assicurare come ACMF la nostra  collaborazione con interventi esterni al fine di evitare, proprio grazie ad essi, possibili brutte figure all’Accademia, le stesse che si erano già realizzate in passato come la candidatura (e spesso anche vittoria) di canzoni non originali (basti pensare al caso avvenuto anni fa di una canzone vincitrice che non era neanche cantata) o di partiture non realizzate apposta per il film (anche se, non più tardi dell’anno scorso, ci si è di nuovo ritrovati proprio di fronte all’ennesimo caso del genere).

Diciamo questo rilevando, nonostante alcuni cambiamenti in corsa, ancora seri problemi nei meccanismi di accesso al voto e di definizione delle cinquine (vedasi l’intervento di Piersanti) che fanno sì che solo alcune categorie (quelle rappresentate nell’attuale direttivo) possano votare tutte le possibili preferenze, mentre le restanti si ritrovano a poter dare il proprio voto solo ad un sottoinsieme delle singole figure.

Se poi analizziamo la partecipazione numerica dei votanti, appare evidente che nessuna categoria “tecnica” (per una volta usiamo anche noi questo termine), comprese quelle musicali (che infatti non hanno accesso a tutti i voti), può forzare la selezione di una cinquina garantita dalla propria categoria di appartenenza, dato che in generale questa esprime solo poche decine di votanti per tipologia contro le alcune centinaia ottenibili dall’unione di registi (i più presenti in assoluto) e sceneggiatori.

Utile peraltro ricordare che in prospettiva la forbice tra i pesi elettorali delle varie categorie potrebbe farsi ancora più consistente dato che per entrare nell’Accademia, relativamente ai vari mestieri del cinema, è necessario aver ottenuto l’accesso alle cinquine: spannometricamente parlando, ogni anno potrebbero potenzialmente entrare circa 25 nuovi rappresentanti degli autori (nell’accezione attualmente in vigore presso l’Accademia) mentre le altre categorie potrebbero esprimere 5 nuovi ingressi.

Cosa succederà nell’immediato futuro non è dato a sapersi; potrebbe anche essere che a seguito del  rumore mediatico che si è sviluppato ora dopo ora, tutte le categorie possano trarne un vantaggio, magari con una pesante revisione delle condizioni al contorno al fine della partecipazione di tutte le figure professionali/artistiche, nessuna esclusa, alla vita dell’Accademia (cosa che probabilmente eviterebbe da subito il ripetersi di quanto visto venerdì scorso), esattamente nel segno tracciato anche da molte altre analoghe accademie europee ed extraeuropee. Siamo forse di fronte alla sceneggiatura di un incredibilmente nuovo film di genere fantascientifico?

Il direttivo di ACMF