Rita Abela, l’altra faccia di Flaminia: “Michela Giraud mi ha tenuta per mano nell’universo alieno del mio personaggio”

L’attrice, già interprete teatrale di lunga data, affianca la comica romana nel suo esordio alla regia, nel ruolo ispirato alla vera sorella. Una storia di “amore puro”, oltre la complessità dello spettro dell’autismo. L’intervista di THR Roma

Rita Abela ha la voce di chi il teatro l’ha respirato per tutta la vita e uno sguardo che attraversa da parte a parte l’interlocutore. THR Roma la incontra alla Casa del cinema a Villa Borghese, in occasione della presentazione di Flaminia, opera prima di Michela Giraud, in sala dall’11 aprile.

Oltre ad aver lavorato per diversi anni nelle rappresentazioni classiche del Teatro greco di Siracusa, Abela ha una lunga esperienza nel teatro nazionale di prosa. Davanti alla macchina da presa è stata diretta da Pupi Avati in Le nozze di Laura e Dante e il pubblico la ricorda per il ruolo di brigantessa nel western Il mio corpo vi seppellirà. In Flaminia interpreta Ludovica, personaggio dalle molte sfaccettature, ispirato alla reale sorella della regista. Una donna complessa, non solo perché nello spettro dell’autismo, dal carattere potente e inaspettato.

Qual è la prima cosa che le viene in mente alla parola sorella o sorellanza?

Amore puro. Io ho un fratello maggiore e per me è amore puro, è una delle persone più importanti della mia vita in assoluto, perché tra fratelli si è complici e ci si conosce, forse, come con nessun altro sarà mai possibile. Se parliamo di sorellanza, però, mi viene anche in mente il legame speciale che può esserci tra donne, per esempio con le amiche di sempre, del liceo, perché sono le testimoni di un momento della vita in cui potevi essere qualsiasi cosa. Mi viene in mente anche la sorellanza tra donne quando si diventa insieme complici di battaglie, soprattutto nella società abbastanza patriarcale nella quale siamo immersi. Credo sia importante avere figure femminili di riferimento.

In Flaminia interpreta una figura che appartiene alla storia di Michela Giraud. Com’è stato entrare nel suo universo?

Michela mi ha condotto veramente tenendomi per mano. Ogni giorno sul set arrivavamo mano nella mano, restando così anche quando il gesto non era previsto in scena. Mi ha portata passo dopo passo all’interno di questo racconto e di questo mondo. Mi ha spiegato le cose nei minimi dettagli, in una sceneggiatura che spiegava già tanto. Essendo coinvolta in prima persona, chiaramente, sapeva darmi delle indicazioni, non soltanto per l’interpretazione ma anche per aprire in me le corde emotive giuste. È stata fondamentale per vedere e valutare quanto fossero importanti certe mancanze del mio personaggio, quanto fosse doloroso per Ludovica sapere che ci sono cose che non farà mai nella vita. Paradossalmente è stato difficilissimo ma anche semplicissimo. Difficilissimo per il peso che questo personaggio ha, per tutte le sue caratteristiche e per tutto l’universo alieno che lei si porta dentro. E uso un termine che usa anche Michela. D’altra parte è stato facilissimo perché è stato un processo naturale di costruzione del personaggio.

Rita Abela. Foto di Francesco Ormando

Rita Abela. Foto di Francesco Ormando

Il suo ruolo è appunto quello di una persona reale, ispirato alla sorella di Michela Giraud, ma che lei ha incontrato solo una volta. Avrebbe voluto incontrarla di più?

Io avrei voluto proprio frequentarla, passare giornate intere con lei. Michela non ha voluto, ma devo dire che con il senno di poi aveva ragione, perché quell’unica volta in cui l’ho vista, prima dell’inizio delle riprese, è stato un incontro veramente totalizzante, nel senso più bello di questa parola. Sono andata lì con l’ottica di studiare, ma dopo tre minuti me ne sono dimenticata. Abbiamo parlato molto, è stato un flusso di discorsi, sui suoi sogni, su quello che le piace fare, della sua passione per la musica e per il canto. È stato bello perché non c’era niente da studiare, c’era solo da essere lì presente. Che poi forse è il segreto della vita. Vedo questo lavoro in maniera molto romantica e penso che sia un’altra faccia dell’amore. Quando ami una persona e sei con quella persona devi essere presente, vuoi essere presente. Se ti distrai, perdi qualcosa. E io nel mio lavoro sono così, in ascolto, in apertura, in accoglienza.

A proposito di studio, ha fatto delle ricerche al di là di questo incontro?

Certamente, questa è anche la mia modalità di lavoro. Parto sempre dalla teoria. Oggi per fortuna è anche facile reperire documenti, esperienze e fonti mediche per approfondire alcuni aspetti dello spettro autistico. Si chiama spettro proprio perché si dice che ogni autismo è un caso a sé, però ci sono dei tratti comuni, come le ripetizioni, alcuni movimenti o la prosodia piatta. Tratti comuni che ho studiato in modo approfondito. A questo si aggiunge l’esperienza teatrale di alcuni laboratori che ho diretto o per cui ho scritto i testi, pensati per persone nello spettro autistico e per persone con disabilità fisico-mentale. Ci sono cose che ho introiettato nel tempo che ho trascorso insieme a loro. L’unione di questi fattori, insieme alla guida di Michela, mi ha portata poi al lavoro più specifico sul personaggio. Mi sono chiesta quali fossero le sue ferite e quali combaciassero con le mie, cosa avessimo in comune. Lo scopo è sempre quello di proporre un personaggio che sia prima di tutto autentico. Si lavora in questo senso e si studia anche per questo. Rivedendomi penso di esserci riuscita, non per presunzione, ma perché so come ho lavorato e so quanto fosse vero e sofferto quello che stavamo facendo, sia nei momenti più emotivi che negli aspetti più comici. È tutto reale.

Rita Abela e Michela Giraud in una scena di Flaminia

Rita Abela e Michela Giraud in una scena di Flaminia. Courtesy of Eagle Orginal Content

Questo metodo deriva anche dalla sua esperienza teatrale?

È l’unico modo che conosco di fare questo mestiere. Credo sia necessario avere molto rispetto per le storie che si raccontano, per il pubblico che le vedrà, per i registi che ci scelgono, per i produttori che si fidano delle scelte dei registi. Non si può prescindere dall’avere questo tipo di approccio.

Cosa si porta quindi dall’esperienza teatrale a quella cinematografica-televisiva e viceversa?

Sono due linguaggi diversi della stessa materia. Sicuramente del teatro porto con me il metodo di studio, di preparazione, di concentrazione. Porto con me l’essere allenata alla replica, perché è chiaro che lo spettatore che vede l’ultima replica merita la stessa concentrazione di quello che ha visto il debutto. Dal teatro, poi, ho avuto grandi esempi come Leo Gullotta, che dà sempre tutto se stesso al cento per cento, sia nel teatro enorme che nel piccolo palco di provincia. Il teatro ti allena a questo, allo show must go on, soprattutto perché nella prosa in Italia non esistono sostituti. Essendo poi due linguaggi diversi cambia proprio il modo di stare in scena, la tecnica, il modo di portare la voce. In un teatro enorme come quello di Siracusa ci si allena a portare tutto fuori, per arrivare fino all’ultimo spettatore in cima alla cavea. Il cinema invece ti chiede di lavorare in sottrazione, interiorizzando. Aspetto, questo, che ha arricchito in realtà anche il mio lavoro in teatro. Grazie al cinema ho capito meglio l’importanza dello studio di alcuni aspetti del personaggio, per dar loro una maggiore sostanza di pensiero ed emotività.

Sia a teatro che al cinema o in tv, quali sono i suoi prossimi progetti?

Sono in attesa di alcune risposte. Nel frattempo chiuderò, soprattutto in Sicilia, alcuni progetti di quest’anno molto proficuo. Ho fatto uno spettacolo molto bello a Prato, al Metastasio, e uno al Teatro Bellini di Catania,  in co-produzione con il Teatro Stabile, Peer Gynt di Ibsen con un’orchestra di 150 elementi dal vivo. A maggio sarò a Milano con Cianciana, uno spettacolo che racconta i moti contadini e le ribellioni contro i baroni in Sicilia. Storie e tentativi di liberazione che spesso non sono finiti bene. Per il resto, aspettiamo.

E qual è un sogno che ha in questo momento?

Vorrei tanto che un’attrice con una fisicità non stereotipata facesse dei ruoli da protagonista, anche nella tv generalista. Senza ovviamente nulla togliere a tutte le altre bravissime colleghe, secondo me è arrivato il momento anche di aprire il ventaglio delle possibilità. Lo diceva anche Maurizio Costanzo, la tv è lo specchio della platea e allora è importante che il pubblico da casa veda qualcuno in cui, talvolta, può anche riconoscersi.