Uno Maggio di Taranto, Roy Paci: “In Italia la formula lavoro, libertà, diritti è saltata da settant’anni”

"Odio gli indifferenti. Equivale a dare il voto a certe storture della vita". L'artista è direttore artistico insieme a Michele Riondino e Antonio Diodato della manifestazione pugliese

“Come sto? Bello esaurito (ride, ndr). Siamo carichi di tante cose. In dirittura d’arrivo ma con tanto da fare!”. Roy Paci è a capo della direzione artistica dell’Uno Maggio Taranto Libero e Pensante insieme a Michele Riondino e Antonio Diodato. Una manifestazione, organizzata dal Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, arrivata alla sua decima edizione e oggi più forte che mai.

“A Taranto finalmente qualcosa si è svegliato da dieci anni a questa parte e sta diventando la cassa di risonanza per tante problematiche dello stivale” ci racconta l’artista.

Quest’anno sul palco si avvicenderanno alcuni dei nomi più importanti della scena musicale italiana, da La rappresentante di lista a Vinicio Capossela passando per Venerus e Niccolò Fabi. “Avremmo bisogno di fare due Uno Maggio per permettere a tutti di esibirsi!”.

Dieci anni di Uno Maggio Taranto Libero. Cosa ti rende più orgoglioso?

Ho visto un sogno iniziale diventare una realtà così importante. Non più solo territoriale come per le prime edizioni. Si è aperta su scala nazionale. E non solo. Perché Taranto ormai è conosciuta oltre i nostri confini. Girando tanto mi rendo conto che l’Uno maggio di Taranto ha un valore molto alto.

Come lo hai visto cambiare?

Sono arrivato a Taranto proprio perché ero l’elemento di congiunzione con la parte musicale. Avevo tanti amici lì che abbiamo coinvolto. La soddisfazione è quella di essere riuscito ad organizzare tutto questo. E dall’Uno Maggio sono nate tante altre cose parallele. C’è stato chi ha imparato il mestiere e ha organizzato un festival come il Cinzella o artisti che hanno raggiunto maggiore notorietà. Ma, sopratutto, tante realtà che non avevano voce hanno ottenuto un po’ di risonanza anche su scala nazionale. Mi riferisco ai movimenti importati che abbiamo ospitato in tutti questi anni sul palco e che continueremo a ospitare anche quest’anno.

La libertà è la parola d’ordine di questa edizione. 

È una parola importantissima. A volte non ci rendiamo conto che, anche sul nostro pianerottolo, troviamo persone che non hanno libertà. Segnali da parte di donne sottomesse o bambini. La libertà è talmente tangibile nel quotidiano, in ogni sfaccettatura e circostanza, che probabilmente la diamo per scontato ma è proprio quella che ci manca. Nel caso specifico di Taranto parte da una situazione di cui si parla molto ma ancora gli operai non ne hanno assolutamente.

Taranto è diventata un simbolo di quello che non funziona in Italia quando si parla di lavoro?

In Italia la formula lavoro, libertà, diritti è saltata da settant’anni. È una mia visione e interpretazione personale ma non credo ci sia attualmente la possibilità di poter parlare di diritti dei lavoratori perché siamo la prova comprovante del fatto che, ahimè, anche i sindacati hanno fallito a Taranto. I sindacati che tanto volevamo dalla nostra parte sono falliti da tantissimi anni. E lo dico a malincuore perché ho sempre avuto fiducia non tanto nella politica – rimango fermo a Enrico Berlinguer e Aldo Moro – quanto nei sindacati. Ma hanno svolto un cattivo lavoro per quanto riguarda Taranto e per tanti altri territori.

Come la tua città, Augusta?

Un altro territorio devastante. Lì non ho avuto neanche la possibilità di avere vicino compagni di lavoro come quelli che ho trovato a Taranto per dire: ‘Cerchiamo di fare qualcosa!’. Ho combattuto tanti anni ma non posso essere soppresso dal peso incombente dell’ignoranza della mala politica, delle cattive gestioni. A Taranto finalmente qualcosa si è svegliato da dieci anni a questa parte e sta diventando la cassa di risonanza per tante problematiche dello stivale. Isole comprese.

Parlando di musica, la line up degli artisti che si esibiranno quest’anno è ricchissima. Quando lavoro c’è dietro?

Il lavoro, vorrei sottolinearlo tantissimo, lo fa sopratutto chi sta dietro le quinte. Non solo all’Uno Maggio Taranto ma in tutti i festival. Sono sempre un po’ messi da parte, ma il grande lavoro lo fanno, per esempio, i tecnici, chi porta dall’aeroporto le persone, il servizio d’accoglienza. Io mi ci immergo tanto. Sono quello che arriva una settima prima a Taranto. Ma devo dire che, rispetto ai primi anni, non abbiamo più lo sbattimento per andar a cercare i nostri amici e far capire cos’è Taranto. Adesso già da dicembre chiudiamo la line up. Avremmo bisogno di fare due Uno Maggio per permettere a tutti di esibirsi. È un dispiacere dover dire no a qualcuno perché adesso chiamano tutti per esserci. È una cosa che fa stare di un bene indescrivibile (ride, ndr).

Come vi dividete i compiti con Michele e Antonio?

All’inizio Michele si occupava della parte più politica degli interventi della prima edizione mentre io della parte musicale. Poi, negli anni, abbiamo prima avuto Antonio a cantare sul palco per poi, da tarantino, ci è sembrato bello dare anche a lui la cittadinanza onoraria del festival. Adesso ci distribuiamo anche i vari contatti degli artisti che saliranno sul palco.

Cosa dobbiamo aspettarci da quest’edizione?

Ci saranno molti interventi. E questa è una cosa molto bella. Interventi di tantissime realtà italiane ed estere. Avremo Francesca Cesarotti che rappresenta Amnesty International, i ragazzi di Fridays For Future, SOS Méditerranée, Luisa Impastato e Salvo Ruvolo della Casa Memoria Peppino Impastato e tante altre realtà che provocheranno secondo me tante emozioni come ogni anni. Ma anche tanta rabbia per certi versi.

Hai fiducia nel futuro?

Penso che qualcosa possa cambiare definitivamente. Vedo che i giovani stanno mettendo da parte quella che era la politica partitocratica. Non gliele frega nulla del colore del partito, hanno a cuore l’essere umano. Ho tanta speranza in loro. Sono genitore di ragazzi ventenni e vedo in loro un impegno ecologico più che partitocratico. So che farà storcere il naso a molti, ma non abbiamo più bisogno di quelli che mangiano sopra la facciata di un partito o di una fazione. Abbiamo bisogno di donne e uomini che si battano per poter far sì che questa nostra storia venga riscritta in maniera pulita, sana e giusta.

Cosa diresti agli indifferenti?

Io odio gli indifferenti (ride, ndr). Gramsci l’ha già detto. Per me l’indifferenza è sinonimo di omertà. Avendo io il buon Peppino (Impastato, ndr) ormai tatuato nel cuore, per me l’omertà non ha alcun senso di esistere. I giovani in Sicilia si sono svegliati. O sei da una parte o sei dall’altra. L’indifferenza equivale a dare il voto a certe storture della vita.