Mare fuori – il film e la serie su I promessi sposi, Picomedia cavalca l’onda: “Il nostro modello di business è il futuro”

Il fondatore Roberto Sessa racconta a THR Roma i prossimi progetti della casa di produzione: il multiverso di Mare fuori, l'adattamento di Manzoni scritto da Francesco Piccolo e Giulia Calenda e l'Ulisse di Uberto Pasolini, coproduzione internazionale da 13 milioni

In Picomedia, ormai, “ci sta ‘o mar dentro”. Nel senso che quando si apre la porta d’ingresso della casa di produzione, nel cuore del quartiere romano di Prati, la prima cosa che salta all’occhio, esposto come un trofeo contro i muri rossi dell’appartamento, è un diorama di Mare fuori, di quelli che finiscono nei presepi, fabbricato dagli artigiani napoletani di San Gregorio Armeno per il Natale 2023. 

Fondata nel 2009 dal milanese ex Fremantle Roberto Sessa, 64 anni (“Picomedia” è la crasi dei nomi dei suoi figli, Pietro e Cosima), oggi la casa di produzione – già dietro a film come Nostalgia di Mario Martone, Venuti al mondo di Sergio Castellitto, La scuola Cattolica di Stefano Mordini – è sotto ai riflettori per aver azzeccato il progetto televisivo dalle uova d’oro: la serie Mare fuori, in questi giorni a Napoli sul set della quarta stagione e già in predicato per diventare musical e film, al cinema nel 2024 per la regia di Ivan Silvestrini. Un fenomeno in tutti i sensi, su tutte le piattaforme: lo scorso febbraio la terza stagione ha toccato i 105 milioni di visualizzazioni su Rai Play e il 9% di share su Rai 2 (l’ultima puntata, a marzo, è arrivata al 12%), rimanendo nella top 10 di Netflix per 31 settimane. “Sono tre pubblici che si sommano, e che non si cannibalizzano. – dice Sessa – E questo è un dato che dovrebbe far riflettere l’industria, non solo quella italiana ma anche quella estera. Mare fuori è un case study, dimostra che questo modello di business sarà il futuro. È successo anche in Germania, con Sissi”. 

Mare fuori, il presepe

Mare fuori, il presepe di San Gregorio Armeno

In attesa che la terza serie di Mare fuori arrivi su Netflix (il 26 luglio), Picomedia percorre anche altre strade. Sul set in questi giorni a Roma con The Return, il nuovo film di Uberto Pasolini con Ralph Fiennes e Juliette Binoche, in montaggio con la serie tv tratta da La Storia di Elsa Morante, otto episodi girati da Francesca Archibugi, la casa di produzione punta adesso su una nuova edizione di un classico sempre verde: I Promessi sposi.

È vero che all’inizio Mare fuori non la voleva fare nessuno?

La prima idea l’ho avuta tanti anni fa, intorno alla quarta o quinta stagione de La Squadra. Cercavamo un modo per rinvigorire la serie, che cominciava a dare segni di stanchezza, e dopo due giorni chiusi in un albergo a Napoli ci venne in mente Nisida, questa meravigliosa penisola che si affaccia sul golfo e che ha un carcere che sembra un gioiello di bellezza, ma non lo è. Alla fine però lasciammo perdere. I tempi non erano maturi.

Maturi per cosa?

Una delle caratteristiche vincenti di Mare fuori è il suo realismo, il linguaggio dialettale, l’uso dei sottotitoli. Non era il momento giusto. Ho cominciato a lavorarci nel 2016 e ci abbiamo messo tre anni a partorirlo. Le resistenze riguardavano il carcere e come raccontarlo. Il rischio retorica. 

A chi deve dire grazie per aver sbloccato il progetto?

Tinny Andreatta, che allora era in Rai (ora è vicepresidente contenuti italiani di Netflix, ndr).

In Rai, però, Mare fuori non è decollata subito. Perché?

La prima stagione è passata in sordina. Era stata messa in palinsesto a settembre, perché in Rai non ci credevano. La seconda è passata a novembre. Avevano capito che potevano puntarci di più, e infatti ha avuto un buon esito sia su Rai2 che su RaiPlay. A quel punto Netflix si è interessata. Ha comprato la prima, la seconda e la terza stagione, programmata dalla Rai a febbraio, dopo Sanremo. La posizione in palinsesto è determinante.

La quarta stagione andrà in onda a febbraio? Sempre su Rai, RaiPlay e Netflix?

Ce lo auguriamo. Sto aspettando di parlare con la nuova dirigenza Rai. Ho dato tutta la mia disponibilità, mi sono fatto vivo. Attendo che loro mi contattino. Se hanno voglia di contattarmi.

Le prossime stagioni di Mare fuori?

Stiamo scrivendo il soggetto della quinta e ragionando sulla sesta: potremmo andare avanti ancora molto a lungo. 

Del musical cosa ci può dire?

Avevo provato a metterlo in piedi anche l’anno scorso, con la Regione Campania, ma non è venuto fuori nulla. Quest’anno invece sono stato contattato da alcuni produttori di musical napoletani, imprenditori privati che vogliono rischiare, che hanno un’idea e sanno come realizzarla. La garanzia per me è la regia di Alessandro Siani. La mia stella polare, l’esempio che ho in mente, è Scugnizzi, l’adattamento dal film (C’era una volta… Scugnizzi, di Claudio Mattone ed Enrico Vaime, tratto dal film del 1989 di Nanni Loy, ndr). Al centro della storia ci sarà un gruppo di persone, tra cui alcuni degli attori di Mare fuori, affiancati da cantanti. Ma non avrà nulla a che vedere con la serie. Sarà uno spin-off. 

Il film quando?

Per il 2024. Abbiamo fatto i primi incontri con Cristiana Farina e Maurizio Careddu, gli sceneggiatori della serie, cui abbiamo affidato anche la scrittura del film, che verrà diretto da Ivan Silvestrini. Anche in questo caso si tratterà di uno spin-off, non si chiamerà Mare fuori e non racconterà nulla di quello che c’è all’interno dell’IPM (Istituto Penale Minorile, ndr). Sarà una costola di una storia che abbiamo individuato, che coinvolgerà alcuni attori della serie e che fungerà da connessione tra la stagione 4 e la stagione 5. Lo vorremmo in sala per l’inverno dell’anno prossimo, prima della messa in onda della quinta stagione.

Roberto Sessa

Roberto Sessa, fondatore di Picomedia

Per il cinema un progetto internazionale, The Return. Di cosa parla?

Il cuore del film è il ritorno di Ulisse a Itaca. Non il viaggio, ma il ritorno. Ovviamente alla maniera di Pasolini, quindi un film sui personaggi, sulle dinamiche, sui rapporti. È la prima volta che Uberto si confronta con un budget importante, intorno ai 13 milioni di euro. La sceneggiatura l’ha scritta più di 20 anni fa, non immaginava di realizzarla lui. Un giorno però Fiennes gli ha detto: ‘Se la giri tu, io la faccio”.

A che punto siete?

Abbiamo finito le riprese in Grecia, dove siamo stati per cinque settimane, ora giriamo a Roma. Come Picomedia ci siamo presi la responsabilità di essere il centro del finanziamento del film, realizzato insieme a Uberto in Inghilterra, a un coproduttore greco, ai nostri partner francesi e Rai Cinema. È un film internazionale girato in inglese. Abbiamo tante ambizioni. Vogliamo essere ambiziosi.

Ambiziosa anche la serie da La Storia di Elsa Morante. Quando?

I diritti de La Storia erano scaduti da quattro anni. Morante aveva stretto personalmente un accordo con un produttore, Roberto Infascelli, che poi era fallito. Quel contratto andò perso e nessuno riusciva a ritrovarlo. Mi sono attivato con i miei avvocati, e quando siamo entrati in possesso del documento ne abbiamo parlato con Carlo Cecchi, il garante editoriale della famiglia. Era molto riluttante, ma l’abbiamo convinto. Abbiamo appena finito il montaggio video, concluso la registrazione delle musiche, e stiamo decidendo con la Rai quando mandarlo in onda. Non nego che ci piacerebbe essere accompagnati da un festival. La stessa squadra di scrittura, adesso, è impegnata in un altro progetto.

Quale?

I promessi sposi. Scrivono Francesco Piccolo e Giulia Calenda. È una storia universale, bellissima, un romanzo avvincente, moderno, anche divertente. Il soggetto di serie sarà consegnato prima dell’estate. Naturalmente il nostro primo pensiero va alla Rai, ma vedremo. Su un progetto del genere mi piacerebbe riuscire a coinvolgere più players, come per Mare fuori. Sarebbe un segnale molto importante: la dimostrazione che l’audiovisivo italiano, anche senza contributi esteri, se si mette insieme come sistema attraverso le varie piattaforme distributive può concepire un progetto di respiro internazionale. Possiamo essere competitivi. 

C’è però un progetto che rimane nel limbo, la fiction Rai Tutto il mondo è paese sulla Riace di Mimmo Lucano. Rinuncia?

Mai. Considero Mimmo una persona cui voglio bene, cristallina, speciale. Detto questo, noi lavoriamo con il servizio pubblico, che ha le sue regole. Una di queste è che, se ci sono vicende giudiziarie in corso, il progetto deve essere congelato. Si poteva avere più coraggio nel 2018. Non si è avuto, e adesso la paghiamo.

Sulla crisi delle sale che idea si è fatto?

Nel pubblico, soprattutto fra i giovani, c’è voglia di uscire di casa. Secondo me la gente sarebbe ben contenta di spendere anche qualche soldo in più per una serata al cinema. Il che vuol dire godersi il film, ma anche il contesto. Non penso che abbassando il prezzo del biglietto si ottengano risultati. Non credo che quella sia la medicina. La medicina è costruire un evento. Penso all’esperienza del Cinema Troisi di Roma: un esempio virtuoso, che varrebbe la pena studiare e mettere a sistema. Certo, vorrebbe dire ribaltare la situazione, cambiare. Ma è una strada. Vedo la luce in fondo al tunnel. 

Pensa che all’industria italiana manchi l’ambizione?

No. Se guardo ai miei trenta e passa anni di lavoro, e se penso alla televisione, che è quella che ho fatto di più, siamo certamente più ambiziosi oggi che non vent’anni fa. O cinque anni fa. C’è un cambio generazionale tra i produttori che si sono affacciati nel corso degli ultimi dieci anni, penso a Matteo Rovere, Lorenzo Mieli, Mario Gianani, che sono riusciti a farsi notare. Io vedo una progressione positiva. Resto ottimista.