“La voce ribelle di Rosa Balistreri è un nuovo mondo”: dal Texas Amanda Pascali canta il folk siciliano

La giovane artista statunitense ha scoperto la “Billie Holiday italiana" per caso, su internet. Adesso traduce i suoi brani in inglese. "Per chiunque abbia bisogno di ascoltarli", ma ancora non lo sa

La Sicilia, Amanda Pascali, la porta sempre con sé, in un piccolo ciondolo dorato. Lei, venticinquenne texana ma nata a New York, l’isola non l’aveva nemmeno mai visitata prima di iniziare il suo progetto di traduzione in inglese dei brani della “cantatrice del sud”, Rosa Balistreri. Eppure le ha dato subito un significato particolare. A partire dal padre, rifugiato politico che fuggì dalla Romania comunista, e dalla madre emigrata giovanissima dall’Egitto: “Sono cresciuta in una famiglia multiculturale, mi sentivo sempre ‘in mezzo’ nella mia vita: in mezzo a diverse lingue, origini, culture. La Sicilia è quello spazio in mezzo in cui mi sento molto a casa. Un po’ araba, un po’ europea, ma mai abbastanza in entrambi i casi”.

Rosa Balistreri, “la più punk di tutte”

Rosa Balistreri, morta a Palermo il 20 settembre 1990, l’ha conosciuta come avrebbe fatto chiunque altro della Generazione Z, su internet. “Avevo 17 anni e fra tutte le band di cui avevo i poster appesi in camera, lei era la più punk. La ribellione urlava oltre le casse del computer. Ho scoperto la voce di Rosa ed è stato come aver scoperto un mondo”. Lo si è detto spesso di Balistreri, aveva la stessa anima del blues americano, la stessa potenza di Billie Holiday. Lei che fino all’adolescenza non aveva mai indossato un paio di scarpe, che aveva vissuto nella povertà assoluta a Licata (Agrigento), raccogliendo spighe insieme al padre, per poi arrivare al successo, al teatro con Dario Fo fino all’amicizia con Leonardo Sciascia e il poeta Ignazio Buttitta, ai due decenni vissuti a Firenze e poi l’oblio, dimenticata una volta tornata nella sua Sicilia.

Cantava la Terra can un sente (la terra che non sente, come il brano che fu escluso in extremis al Sanremo 1973), l’isola madre e matrigna, un sud che feriva i suoi stessi figli. In questa sua lotta e in questa resistenza, Amanda Pascali ha sentito qualcosa che le appartiene: “Anche noi texani siamo meridionali. C’è sempre un sud in ogni parte del mondo e noi, donne del sud degli Stati Uniti, siamo in una lotta costante per i nostri diritti”.

Il riferimento è chiaramente quello alle restrizioni sul diritto all’aborto dopo il rovesciamento della sentenza Roe vs Wade, nel 2022, che in Texas hanno portato a una delle leggi più dure in assoluto dei cinquanta stati (l’Heartbeat act, come è più noto il Senate bill 8) e all’attivazione di reti sotterranee di volontarie che da oltre un anno attraversano il confine con il Messico per aiutare le donne statunitensi a ottenere pillole abortive (anche 300 al giorno secondo alcune associazioni come Marea Verde). Fenomeno che adesso, con la piena decriminalizzazione dell’aborto in Messico, annunciata a inizio settembre, diventerà con ogni probabilità ancora più diffuso.

Essere donna, un ponte fra due lingue

La voce di Balistreri, per Amanda Pascali – abituata dalla storia della sua famiglia a parlare e cantare di resistenza – suona come la voce delle esperienze dimenticate, comprese quelle delle donne texane invisibili sui canali mainstream. Donne che non vogliono solo “essere sentite e viste”, ma vogliono “il diritto di vivere controcorrente”, afferma la cantautrice. Quando l’ha ascoltata per la prima volta, quella voce, ha percepito l’esperienza del padre, “la guerra, la fame, il campo di lavoro e l’esilio” e ha ripensato alla storia di sua madre, “una donna che ha sempre combattuto in un mondo di uomini, fin da giovanissima”.

Per loro e “per chiunque si sia mai sentito fuori posto”, Amanda – che è musicista autodidatta e suona per il mondo insieme al marito polistrumentista – ha iniziato a entrare e abitare in quello spazio condiviso e comunitario che sono le canzoni di Rosa Balistreri, con l’intento di diffonderle il più possibile attraverso la lingua inglese. Il progetto – sostenuto da una borsa di studio Fulbright che l’ha portata a trasferirsi per circa un anno a Palermo – le ha permesso fino a oggi di tradurre dieci brani, tra cui Cu ti lu dissi, che una volta finalizzati gli accordi con la Siae dovrebbero confluire in un album.

 

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Tradurre è tradire

Proprio la cover della celebre canzone folk, durante l’estate appena trascorsa, ha raggiunto una certa viralità sui social network, generando anche diverse critiche e riflessioni sull’atto della traduzione in sé, dalla lingua siciliana, riconosciuta dall’Unesco, alla lingua inglese. “Alla fine di questo secolo l’Unesco prevede che solo un terzo dell’isola parlerà il siciliano. Voglio tradurre questi brani affinché la lingua non venga dimenticata e non lo faccio per un pubblico americano. Lo faccio per chiunque abbia bisogno di ascoltarli ma non può capirli”, afferma Pascali ribadendo l’universalità e l’attualità del messaggio di Balistreri, al di là delle barriere linguistiche. E a chi in Sicilia e in Italia l’ha attaccata per aver cambiato alcuni versi risponde che “è lo stesso bisogno di chi legge un libro tradotto o guarda un film doppiato”, quello di entrare dentro una storia e capirla e farla propria.

Per chi traduce non c’è solo la necessità di aderire al testo: “Traduttore è traditore, si dice, no? C’è bisogno di tenere il ritmo, il significato, e la passione. E c’è tanto da imparare e studiare per capire com’era la vita per una donna a quei tempi, com’era la fame, com’era la guerra”. Ha dovuto inventare tutto a modo suo, ammette Pascali parlando con THR Roma, cercando di immaginare qualcosa che non è possibile per lei capire davvero fino in fondo, ma “la traduzione è un’arte in cui si riflettono anche le proprie esperienze e le proprie origini. Queste sono le mie”. È per questo motivo che nelle sue versioni dei brani di Balistreri risuona in parte l’anima e il suono folk del suo Texas, insieme alla rabbia e all’energia della cantatrice del sud, di quella voce profonda che insieme a una chitarra era capace di scuotere il mondo borghese e intellettuale tra gli anni Sessanta e Settanta in Italia.

Oggi quel mondo non esiste più o comunque non è quello a cui si rivolge una ragazza di 25 anni proveniente dall’altra parte del pianeta. Eppure quelle canzoni risuonano ancora, per tutte e per tutti, e Amanda Pascali, a chi le chiede quale sia la sua preferita in assoluto, risponde: “Quannu moru. Perché ho pianto quando ho sentito Rosa intonare “quannu moru cantate li me canti” (quando muoio, cantatemi, non dimenticatemi, ndr). L’ho sentito che stava parlando con me”.