La signora delle interviste da paura fa 90, buon compleanno Franca Leosini, regina delle Storie Maledette

Un po' Truman Capote, un po' Gianni Minà, è la giornalista più amata dagli italiani, almeno da quelli appassionati di cronaca nera. Nella banalità di contenitori pruriginosi come La vita in diretta o di Pomeriggio Cinque non ritroverete mai la grandezza di chi ha parlato con gli assassinii senza spettinarsi mai

Franca Leosini è la regina della tv. E Storie Maledette è (stata?)la trasmissione meglio scritta, costruita, condotta del servizio pubblico e della televisione italiana generalista, provare Raiplay per credere. Sono verità assolute, per i Leosiners – chi lo scrive lo è – setta di adepti della giornalista più elegante e dal linguaggio più forbito, riconosciuti persino dalla Treccani che dal 2019 ha accolto la parola leosiner come neologismo. E noi per festeggiare i suoi 90 anni abbiamo visto una delle sue trasmissioni mitiche, sul caso Kercher.

Chi è Franca Leosini, la regina del noir

La qualità giornalistica do Franca Leosini, la potenza narrativa di una professionista che ha saputo dare una cifra stilistica al racconto della cronaca nera originale e controcorrente, quella giornalista curiosa senza essere morbosa, rigorosa senza essere noiosa, è la luce in un mondo che ha perso riferimenti, ideologie, ideali.

Ecco, se dovessimo tornare indietro nel tempo, ha superato, nello stesso solco, anche il mitico Telefono Giallo di Corrado Augias. Che non a caso fu la sua prima tappa verso la grandezza, perché proprio lui la chiamò perché divenisse autrice di quella trasmissione mitica. Ma lei firmava inchieste già 50 anni fa, Le zie di Sicilia sull’Espresso raccontava, prima di tutti, la componente femminile come fondante e fondamentale nella cultura e nella quotidianità mafiosa, con un intervento importante di Sciascia, raccolto da lei, che poi 14 anni più tardi avrebbe assaggiato la cronaca nera con quel format che tutti ricordano ancora (e non prima di aver diretto Cosmopolitan, perché l’eleganza dei suoi tailleur, in un’intera carriera, doveva essere premiata).

Franca ci introduce all’orrore con l’eleganza di una scheda che mischia fatti ed espressioni auliche, definizioni immaginifiche e che hanno la stessa complessa semplicità di un testo di Carmen Consoli, battute e risposte perfette nella loro diversità. E può permettersi tutto, dall’usare espressione “dito birichino” per figurare un petting con tanto di masturbazione della partner, a “Cenerentolo fuori stagione” per raccontare Rudy Guede (unico colpevole, anzi complice di assassini mai condannati, di Meredith Kercher) che dalla Costa d’Avorio finisce in una famiglia bene umbra, passando per un padre che “non c’era mai e aveva un turn-over di donne”.

La lingua di Franca Leosini

La grammatica di Franca Leosini è irresistibile. Dice “oggettini” invece di preservativi, “la mazzéano” per dire che qualcuno rimprovera il suo interlocutore. Capisci che è in forma quando racconta il primo incontro con l’unico condannato dell’omicidio Kercher. “Si ricorda, Rudy, quando mi raccontò di lei piccolo, a 5 anni, conteso da madre e zia paterna. La tiravano per le braccia e lei guardandomi e raccontandomelo le allargò, come su una croce”. Perché epica e vita, amore e morte, follia e quotidianità si mescolano nella dialettica leosiniana con prosa limpida e forbita, con la stessa audace classicità di quella pettinatura e dei suoi tailleur. Franca ha i e le #leosiners su twitter, ammiratori che arrivano quasi al feticismo come il sottoscritto.

Che vanno in brodo di giuggiole quando un Donato Bilancia intorpidito, incalzato dalla temeraria eroina dei nostri sogni, in un attimo ritrova l’istinto del killer e vorrebbe probabilmente aggredirla.

Perché Franca Leosini va a fondo dell’efferatezza più atroce senza dimenticare la grazia, sa essere empatica senza immedesimarsi, coccola l’assassino o il presunto tale donandogli umanità senza però indietreggiare di fronte alla verità processuale, sempre studiata sul suo librone, da lei vergato in corsivo, ovvio, che sfoglia con vezzosa evidenza, per inchiodare alle proprie contraddizioni chi intervista. Contraddizioni, dettagli, piccolezze studiate e colte con quella sua memoria infallibile.

Impossibile non amarla

“La sua maestra Ivana mi ha raccontato che quando tornava tardi, dopo le 18, suo padre la lasciava fuori casa”, afferma quasi con voluttà, rendendosi conto della potenza di un aneddoto solo apparentemente marginale, un po’ inquirente e un po’ romanziera. Franca Leosini è la nostra Truman Capote: capace di scendere nell’abisso senza spettinarsi, una Gianni Minà che può intervistare per ore chiunque, e fartelo capire davvero. Giornalisti che seguono la verità senza rinunciare a dare un taglio personale, che guardano le storie e le restituiscono secondo le loro sensibilità, che non hanno paura di dire come la pensano. Di mostrartelo, senza nascondersi. Che sia per Gianni il complotto contro Maradona a Usa ’94 o per Franca Guede nel caso Kercher.

Ti tiene attaccato alla poltrona con un confronto serrato, a te e all’interlocutore. Sa creare suspense e attesa, ti destabilizza con le doppie verità della cronaca nera, che gli altri ci restituiscono con banale e ripetitiva bidimensionalità e lei invece vuole rivivere emotivamente e nei fatti. Nelle parole e nelle immagini (chi avrebbe potuto mai potuto mandare in prima serata il sangue di Meredith nella villetta di Perugia senza darti l’impressione di cinismo? Solo lei), nell’inchiesta che non è solo giudiziaria, ma antropologica e sociale.

Grazie e torna presto con Storie Maledette, ti aspettiamo

Franca Leosini è unica. Perché per otto anni Rudy Guede ce l’hanno mostrato come un truce ladruncolo, un ignorante satiro, un negro bastardo che ha turbato la serenità di wasp universitari.

E lei ti dà in pasto una trasmissione diesel, in cui l’omicidio come spesso accade con lei, tarda ad arrivare. Con la consapevolezza di chi sa di essere diversa, di cogliere ciò che altri neanche immaginano, ci dice che Rudy è colto, gentile, sereno. Che sa tenerle testa – e per due volte contraddirla e per altre due le dà persino della “vecchia” (sacrilego!) quando osa chiederle se sa cos’è una discoteca e lei con vanità e determinazione dice solo “lo so” e quando dice “come succede tra noi giovani, scatta il good mood” -, che si impone ma sa ascoltarla, perché le sue non sono domande, ma maieutica. E così ci toglie certezze, ci impone di non accontentarci di cronisti pigri, di populismo giornalistico e morbosi opinionisti. Lei va oltre e noi con lei.

Franca, come lei nessuno mai.