Francesca De Lisi: “Dobbiamo puntare su nuove idee. E sulla tenerezza con cui raccontare i personaggi”

"C'è qualcosa di inesplorato nelle nuove tecnologie. Le serie tv potrebbero presto evolversi sia nella scrittura sia nei medium", racconta la development supervisor di The Apartment tra i protagonisti di Incontri, l'appuntamento di IDM Film Commission Südtirol, per parlare di Supersex. "Una serie che credo resterà nella memoria"

Per capire quanto interesse ci sia attorno a Supersex, serie Netflix dedicata alla vita di Rocco Siffredi, basterebbe trascorrere il tempo di un brunch vicino a Francesca De Lisi, development supervisor di The Apartment, la società di produzione dietro al progetto con protagonista Alessandro Borghi. “Quanti anni avete impiegato a scriverla?, “Siffredi è stato coinvolto? Quanti registi c’erano?”.

Sono solo alcune delle domande poste da colleghi stranieri presenti a Incontri – appuntamento ideato e organizzato da IDM Film Commission Südtirol per gli addetti al lavoro dell’audiovisivo – curiosi di scoprire qualche dettaglio in più sul titolo del momento. E c’è addirittura chi si prenota per una chiacchierata sul treno che da Bolzano riporta a Roma. “Credo che intimamente in ogni produttore c’è il desiderio di fare una serie che resti nella memoria” racconta a THR Roma. “E penso che Supersex ne sia un esempio”.

Francesca De Lisi durante il panel di Incontri dedicato a Supersex

Francesca De Lisi durante il panel di Incontri dedicato a Supersex

Come descriverebbe il suo lavoro?

Mi occupo principalmente nell’editoriale di una casa di produzione come The Apartment, il che significa che leggiamo moltissimo e cerchiamo di migliorare tutto quello che si può migliorare. Cerchiamo di essere dei validi, attenti, devoti, sparring partner degli sceneggiatori o degli autori con i quali lavoriamo. Lorenzo Mieli è anche un grande scopritore di voci. Una persona che fa del suo meglio, quando crede in un particolare sguardo, per proteggerlo e per fare in modo che, nel lunghissimo processo che è lo sviluppo, l’identità precisa e chiara di quel progetto, di quella voce non vada smarrita.

Una cosa che non succede tantissimo in Italia. Ecco perché non abbiamo tante serie che restano memorabili. E alla fine questo è il vero scopo di chi fa questo mestiere. “Voglio fare un grande successo”. Ma credo che intimamente in ogni produttore – sicuramente nel nostro e nella nostra casa di produzione – c’è il desiderio di fare una serie che resti nella memoria. E penso che Supersex ne sia un esempio.

Da spettatrice ci sono serie o film che le sono rimasti impressi?

Mi sento più di parlare delle serie perché c’è ancora molto bisogno di farlo, soprattutto nel nostro Paese. Film memorabili ne abbiamo, serie un po’ meno. Ci sono i grandi classici come Mad Men e i Soprano. E poi ci sono le piccole chicche. Per me, ad esempio – sto per dire una cosa che è fuori da ogni immaginazione se si pensa a The Apartment (ride, ndr) – due serie assolutamente memorabili sono da un lato Sabrina, un’operazione costruita in maniera meravigliosa e scritta benissimo, e Glow che non è stato un enorme successo ma che io trovo sia estremamente sofisticata. E che, forse, è rimasta più impressa agli addetti ai lavori.

Il percorso che ha portato alla realizzazione e all’uscita di Supersex è stato molto lungo. Come vive l’attesa di vedere finito un progetto al quale lavora?

Confesso di aver iniziato a lavorare nell’editoriale di The Apartment dopo aver fatto la sceneggiatrice. Quando lavori nelle fasi dello sviluppo, soprattutto se sei lo sceneggiatore, vivi quell’aspettativa incredibile. È stato fatto uno studio negli Stati Uniti e quelli che muoiono più giovani di tutti sono gli sceneggiatori. Qualcuno potrebbe dire lo stile di vita, qualcun altro sostiene che è una questione di aspettative frustrate.

Essendo quelli che arrivano per primi nel processo, vedono più “figli” morire. Ho iniziato a lavorare in The Apartment pensando che l’editoriale avrebbe messo una distanza e che quindi queste delusioni, queste lunghe attese, questi momenti di up and down sarebbero stati accolti con maggiore freddezza. Devo dire che non è vero (ride, ndr). In realtà ti senti molto parte, tenti in tutti i modi di contribuire.

The Apartment è una realtà giovane, eppure si è riuscita a ritagliare uno spazio e una voce riconoscibile in un lasso di tempo breve. Secondo lei cosa lo ha reso possibile?

Credo faccia parte del lavoro che Lorenzo è stato in grado di fare. Si è speso perché gli venissero date le condizioni per poter proteggere l’identità di un racconto in cui crede, nella direzione in cui crede che debba andare. Questo per esempio significa che su parecchi progetti The Apartment, il lavoro che ha fatto è stato sviluppare un po’ di più, arrivare al momento in cui ti metti sul mercato con i tuoi lavori e cerchi un commissioner quando quel prodotto ha già maturato un’identità che non può essere scalfita. Qualcosa nei confronti della quale sei attratto. È diventato un produttore che viene percepito come una persona di cui ti puoi fidare anche degli autori internazionali.

Francesca De Lisi durante il panel di Incontri dedicato a Supersex

Francesca De Lisi durante il panel di Incontri dedicato a Supersex

Crede che in questo momento ci sia un appiattimento narrativo generale? E c’è, invece, un titolo che l’ha sorpresa?

The Bear 2. Credo che la seconda stagione sia migliore della prima come poche volte capita. Hanno fatto un lavoro di precisazione sul concept fortissimo. Tanto che si sono potuti allargare nel racconto dei punti di vista dei personaggi. Alcune cose sicuramente ancora si fanno notare. Penso anche però che abbiamo delle aspettative molto più alte. Non solo perché veniamo da tanti anni in cui il seriale potrebbe addirittura aver espresso tutto quello che aveva da esprimere in termini di novità, di cose scioccanti e inedite. Altro problema che abbiamo secondo me è che, oggigiorno, con tutte queste piattaforme, le tue serie devono competere con il presente e il passato. Una cosa senza precedenti.

Se c’è stato un appiattimento, penso che c’è anche stato un momento in cui si è iper prodotto per ragioni economiche. Per quanto è rischiosa come affermazione, mi auguro che il lato migliore del momento economico non altrettanto fortunato e favorevole che stiamo vivendo adesso sarà un po’ come ha detto lo sceneggiatore e autore di American Fiction agli Oscar. Il ritorno, cioè, a delle cose forse meno costose e che quindi non possono puntare su un esagerato sopra la linea o su una fattura eccezionale, ma su una nuova idea, su un punto di vista, sulla tenerezza con cui sei in grado di raccontare i personaggi. Che per esempio è la chiave che ti fa vincere una cosa come The Bear.

Ci sono aspetti che l’attirano più di altri?

Per come sono fatta io, vado a vedere sempre e comunque il racconto. Per me la scrittura conta tantissimo. Spero di trovare più quello, senza nulla togliere a tutte le altre professionalità che pure sono importantissime. Però credo sia la più sfidante. Potrebbe anche essere che il seriale, così come lo conosciamo, debba cambiare ancora il medium. È sorprendente quanto poco le piattaforme abbiano modificato realmente il modo in cui scriviamo le cose.

Credo ci sia qualcosa di ancora inesplorato nelle nuove tecnologie. Qualcosa che si pensava potesse avere degli esiti e in realtà non li ha avuti. Un esempio sono i pochi esperimenti che sono stati fatti con il racconto interattivo. Però ho come la sensazione che nessuno abbia ancora trovato la quadra. E poi può anche darsi che qualche novità dirompente debba ancora arrivare.

Da sceneggiatrice, l’intelligenza artificiale la vive come una minaccia?

Per quel poco che la frequento – perché voglio sapere e vedere da vicino questi allarmi che vengono lanciati in continuazione del tipo: “Oh mio Dio, gli sceneggiatori sono tutti spacciati” (ride, ndr) – lo vedo come uno strumento di organizzazione del pensiero tecnico. Non è una cosa a cui siamo abituati. Quello che trovo interessante è che riesce sempre a organizzare un discorso, una cosa che nei paesi anglofoni viene insegnata e che da noi non sono convinta venga trasmessa con altrettanta precisione.

Penso possa essere uno strumento fantastico con cui interagire e mi piacerebbe che mio figlio facesse il prompt designer (professionista in grado di dare istruzioni ad un’IA per ottenere il risultato desiderato, ndr). Come creativa, per quello che ho visto finora, non mi direi preoccupata. Quello che diventerà alla portata dell’intelligenza artificiale nel breve termine è la paccottiglia, con cui non ci fai niente. Insomma, nulla di memorabile (ride, ndr).