Addio Vera Pescarolo Montaldo: muore una donna di grande talento e incrocio di destini nella strana storia del cinema

"Una creatura splendida, il portamento elegante, lo sguardo intenso. Una giovane donna che sorride. Sorride a me. Avanzo incerto, senza riuscire a staccare gli occhi da quella meraviglia”. Le parole di Giuliano Montaldo raccontano quel fascino irresistibile, qui proviamo a dirvi anche chi era questa donna straordinaria anche oltre quell'autore che ha saputo raccontarci, con lei, storie meravigliose

Vera Pescarolo Montaldo è stata tante cose. Tante donne, tanti ruoli, tanta arte, tanta umanità. Per questo è giusto ribellarsi alla barbara usanza, sia pure affettuosa, di affibbiarle il solo epiteto, persino nell’estremo saluto, di “moglie di Giuliano Montaldo”.

Intendiamoci, conoscendola questa femminista vera, da sempre, così orgogliosa e consapevole di sé, avrebbe riso persino compiaciuta di tutti questi titoli che ricordano il suo grande amore, con cui viveva una simbiosi totale, una corrispondenza di amorosi e cinematografici sensi che brillava di luce propria.

Avrebbe riso della mediocre fantasia dei titolasti (ma anche della permalosità di chi notava l’errore, “sono questo, anche questo no?” avrebbe detto), si sarebbe fatta spiegare perché il SEO li obbligava ad agire così, poi avrebbe guardato fuori dalla finestra pensando a lui, al sodale e compagno di sempre, sentendosi alla fine pienamente rappresentata da quel legame inossidabile, persino nel definirla.

Vera Pescarolo Montaldo, artista prima che moglie e sorella

Lei, semplicemente, non aveva bisogno di parole e rivendicazioni per definirsi. Vera era.

Ma è giusto ricordarlo, perché se c’è un libro meraviglioso, tenero, epico e vibrante di cinema e di vita che si chiama Un grande amore (ed. La nave di Teseo) a  raccontare quel sentimento (e una cavalcata fianco a fianco sui set e in esistenze entusiasmanti e complesse), di lei e solo di lei si è parlato poco.

Ha lavorato con e per Giuliano Montaldo, Vera, perché ne riconobbe subito il talento, insieme al fascino. Nel momento più duro, peraltro. E non sarebbe stato il grande autore che è stato, lui, senza di lei. Fino alla fine è stato uno straordinario sodalizio, eccezionale come quell’amore che li ha fatti essere gelosi l’uno dell’altra fino alla fine.

Vera, se un’attrice in un festival o in una cena si avvicinava sorridente al suo Giuliano, arrivava a presidiare il territorio. E lui si divertiva a sfidarla, ad affascinare la malcapitata con il suo charme irresistibile e allo stesso tempo consentire alla moglie di sfoggiare il suo. Uno spettacolo, un minuetto, un duetto che si ripeteva sempre diverso.

Un grande amore

Quando lui fumava di nascosto a lei, rubando all’interlocutore di turno la sigaretta per poi restituirgliela di nascosto – chi scrive ha ancora una bruciatura sul palmo della mano a testimoniarlo -, quando lei rideva alla battuta di un altro e lui si rabbuiava per qualche secondo, prima di stendere lo stand-up comedian improvvisato con uno dei suoi aneddoti che avresti sentito centinaia di volte. E probabilmente lo hai fatto, trovandolo sempre diverso.

Uno, però, tornava più spesso: “sai, il 22 febbraio 1930 non è solo la mia data di nascita. È anche la data del matrimonio di Vera e Orio Pescarolo. I suoi genitori”. Immancabilmente le sorrideva, quante volte lo faceva. “E nove mesi dopo è nata lei”. Il 28 novembre successivo. Nove mesi di distanza nella nascita, sette nella morte, voi due.

Non diceva altro, lasciando danzare tra chi lo ascoltava quella predestinazione che era evidente a chiunque li vedesse insieme, pure fosse stata la prima volta.

Vera Pescarolo Montaldo, incrocio di destini

Vera è stata produttrice. Perché Vera Pescarolo Montaldo è stata anche un incrocio di destini di una strana storia di cui ai giorni nostri si è persa la memoria, citando Francesco De Gregori. Genitori artisti (lei attrice, lui giornalista, fotografo e scrittore), il fratello è quel Leo, esplosivo e carismatico e entropico produttore che nel suo ufficio ha visto passare tutti e succedere di tutto.

Uomo particolarissimo, capace di produrre Cavani e Crispino, Bellocchio e Archibugi, Rosi e Dallamano, Von Trier e ovviamente Montaldo. Per poi ritirarsi a fare il ristoratore a Rabat. Dove a volte tornava sul luogo del delitto divertendosi a raccontare alcune delle scelte più sbagliate. La migliore, indimenticabile, quella su Oliver Stone.

Il regista irrompe nel suo ufficio e gli racconta Platoon. Leo lo liquida, irritato. “Non ci posso pensare, era così fatto che non si capiva nulla. Quando ho visto il film ho capito che mi stava parlando di quello che sarebbe stato il suo più grande successo”.

Difficile immaginare due persone più diverse di Leo e Giuliano, ma facile capire come Vera potesse essere amata da entrambi e perché li amasse entrambi. Vera era diretta, sfacciata, volitiva come il primo, ma era anche raffinata (i suoi red carpet la vedevano perfetta persino nel colore e nella forma dei bastoni, quando ne ha avuto bisogno), seducente, dolce come l’altro.

Casting director, sceneggiatrice, aiuto regista

Vera sapeva scegliere gli attori meglio di chiunque altro, capirli e comprendere come e perché sarebbero stati perfetti per il “suo” regista, prima che quest’ultimo se ne rendesse conto. Sapeva vedere una scena così bene nella mente dell’autore, il “suo” autore, che nessun aiuto regia parlava meno e era più influente su un set (però se lo faceva, come si faceva sentire).

Quanti progetti senza di lei come produttrice non si sarebbero realizzati, quante idee ha avuto e quante balzane ne ha impedite.

Sapeva che Giuliano Montaldo avrebbe fatto la storia come regista e non lo voleva come attore. Così, lei che non aveva mezze misure, una sera, durante una proiezione in cui lei recitava, ad alta voce urla “certo che come attore sei proprio un cane”.

E lui, che se l’era legata al dito, decenni dopo, ritirando il David di Donatello come miglior protagonista per Tutto quello che vuoi di Francesco Bruni (opera meravigliosa in cui lei ha un delizioso e ora commovente cameo), si lascia scappare “ero tentato di ritirarlo abbaiando, ma l’ho vista troppo commossa e ho desistito”.

Istrionica e precisa, tagliente nelle battute e capace di una visione d’insieme che altri raramente avevano, sapeva poi farsi amare grazie all’umorismo – sapeva ridere, ma ancora di più far ridere -, farsi valere con gentile fermezza ma anche ruvidità, quando serviva, in mezzo a un mondo di uomini. Quegli uomini che sapeva aiutare nei momenti di maggiore fragilità.

Il primo incontro, un colpo di fulmine

“Una creatura splendida, il portamento elegante, lo sguardo intenso. Una giovane donna che sorride. Sorride a me. Avanzo incerto, senza riuscire a staccare gli occhi da quella meraviglia”.

Così racconta Giuliano Montaldo il loro primo incontro nell’ufficio del fratello di lei e futuro cognato di lui Leo, nella loro biografia d’amore, e quell’epifania di bellezza e grinta è ciò che lo aiuterà a diventare un grande maestro proprio quando stava per mollare tutto, amareggiato dal pestaggio critico nei confronti del suo esordio Tiro al piccione (“il piccione ero io” raccontava con un sorriso amaro, ancora dopo una vita e mezza).

Lei gli diede la forza per continuare, facendo quello che faceva sempre: mettersi in prima fila, facendosi vedere, dargli sicurezza e sorridergli. Ridere con lui, per lui e a volte di lui, perché sapeva metterlo al posto suo quando la ruota del pavone si faceva troppo grande. Lo si vede, quello e molto altro, nel delizioso e gentile Vera e Giuliano, documentario di Fabrizio Corallo che con la grazia da giornalista e regista di quest’ultimo, ti vede discretamente protagonista, ragazza (“la mia ragazza” ti chiamava Giuliano) per una volta.

E allora ti immagino Vera, adesso, in quel letto in un albergo di Venezia. Con Giuliano, state dormendo. E a un certo punto irrompe Gian Maria vostro, sì proprio Gian Maria Volonté. Che senza chiedervi nulla – e tu dopo decenni ancora a chiederti “ma come è entrato?” – si mette in mezzo a voi e vi rimprovera “io domani vado a morire sul rogo e voi dormite?”.

E così, fino all’alba, a macerarsi e tenervi svegli, in tre in quel letto.

Ecco, ora che vi siete rincontrati vi immagino così.

E sì, Vera, quella sera ti corteggiavo. Giuliano ci aveva visto giusto. E aveva ragione, farti ridere era il regalo più grande che un uomo potesse desiderare.