Matthew Perry, l’equilibrista che camminò (meglio di tutti) sul confine tra allegria e malinconia

Non solo Friends: l'attore, morto all'età di 54 anni, era capace di far affezionare gli spettatori ai suoi personaggi, servendosi dell'umorismo per mascherare un profondo senso di insicurezza, tristezza e dolore. Una panoramica dei suoi migliori ruoli, da Go On a Mr. Sunshine fino al Roger di Beverly Hills, 90210

Come attore, Matthew Perry è stato nominato per quattro Emmy. È stato una presenza fissa in Friends, la serie di successo che ha definito una generazione e, come guest star, si è integrato perfettamente nel cast di serie come West Wing – Tutti gli uomini del Presidente e The Good Wife.

La serie che meglio ha compreso la sensibilità di Perry e, soprattutto, l’essenza di ciò che lui proiettava al meglio sullo schermo, potrebbe non essere stata uno dei suoi successi più significativi e potrebbe non essere una di quella prima mezza dozzina di serie che i fan affranti ricordano quando pensano a Perry, morto questo fine settimana a 54 anni.

Go On è andata in onda per 22 episodi sulla NBC tra il 2012 e il 2013 ed è stata cancellata dopo quell’unica stagione. Aveva unio zoccolo duro di fan – qualsiasi serie con un cast che comprende Tyler James Williams, Laura Benanti, Brett Gelman, Sarah Baker, John Cho e altri ancora finisce per avere dei fan. Go On è stata, soprattutto per la televisione, una serie coraggiosa. Ed è stata sicuramente un’interpretazione coraggiosa per un attore che, dopo il fenomeno di Friends, si è chiaramente divertito a testare fino a che punto poteva spingersi con il suo pubblico, di cui sentiva l’affetto a ogni nuovo ruolo.

In Go On, Perry interpretava un conduttore radiofonico sportivo in lutto per la morte della moglie. Preferendo evitare di fare i conti con i suoi sentimenti, il personaggio torna al lavoro troppo presto e, dopo un crollo, inizia a trovare la strada verso una nuova normalità con l’aiuto di un gruppo di supporto, in cui ogni membro è in qualche modo danneggiato. Con Go On, Perry ha portato tutto il dolore, la tristezza e l’insicurezza sublimati che fungevano da sfondo nei ruoli precedenti, invertendo l’archetipo.

In molte delle sue prime interpretazioni, Perry si è orientato verso personaggi che usavano l’umorismo come meccanismo di difesa e, per la maggior parte, avevano successo. A volte ci riuscivano in modo così rocambolesco che la maggior parte degli spettatori non si accorgeva nemmeno che il sarcasmo e le battute stavano mascherando qualcosa.

Matthew Perry, dal successo di Friends a Go On

Nei ruoli successivi a Friends, tuttavia, Perry ha preferito parti che non erano sarcastiche, ma ciniche e persino nichiliste, personaggi che cercavano di ritrovare la strada verso qualcosa di leggero come il “sarcasmo”. Gli spettatori potevano tranquillamente fingere che Chandler Bing in Friends fosse un ragazzo felice, tranne nei momenti in cui non lo era, ma non si poteva dire lo stesso di Matt Albie in Studio 60 on the Sunset Strip o di Ben in Mr. Sunshine, che erano forse al 50% “dolenti” e al 50% “divertenti” e, per questo, erano tanto più complicati.

Ma in Go On, Perry interpretava un uomo che tutti consideravano divertente, che tutti trattavano come tale, che ricordava se stesso come spiritoso, ma che in qualche modo non riusciva a ritrovare la sua strada, che si chiedeva se sarebbe mai tornato a essere quella persona. La serie aveva vari personaggi di supporto e ampie dosi di comicità stravagante, ma c’erano episodi in cui il Ryan King di Perry non era affatto divertente, perché non poteva esserlo.

Era un tipo pungente e antisociale, in difficoltà in un modo che sarebbe stato proprio nelle corde di innumerevoli show via cavo di prestigio, e se Go On fosse stata trasmessa in tale maniera, avrebbe potuto garantirsi una solida durata di tre-cinque stagioni e avrebbe potuto accrescere il bottino di nomination agli Emmy di Perry. Era davvero bravo. La serie era adatta ai suoi punti di forza e forse è per questo che non era adatta agli spettatori tradizionali.

Il pubblico era abituato a sentirsi protettivo nei confronti di Perry. Aveva parlato pubblicamente delle sue lotte contro la dipendenza mentre era in Friends e, poiché la serie era al centro della bolla culturale, il pubblico non era in grado di scindere completamente le preoccupazioni per i problemi di Perry da quelle per Chandler Bing e viceversa, il che contribuì alla soddisfazione collettiva ogni volta che la narrativa della serie metteva Chandler in relazioni sentimentali più felici e stabili.

Gli spettatori hanno insistito perché la storia di Chandler avesse un epilogo felice, più che per ogni altro personaggio. Ross e Rachel erano in rotta di collisione verso la “felicità”, che ce la bevessimo o meno. Phoebe aveva affrontato le tenebre, ma la sua tendenza era sempre a muoversi verso la luce. Se Joey poteva accontentarsi della sfortunata tresca con Rachel, i suoi standard erano tali che per lui tutto sarebbe finito bene. Monica, una volta che avesse avuto un Tom Selleck su cui contare, sarebbe stata bene.

Ma Chandler? Aveva talmente tanti problemi con i suoi genitori che sarebbe servita una stagione intera di In Treatment per risolverli. Aveva un lavoro di cui nessuno si ricordava e che non gli dava alcuna soddisfazione, ma che evidentemente era troppo ben pagato perché potesse lasciarlo. Aveva silurato le relazioni a favore dell’amicizia in un modo magari nobile, ma non sano. Continuava a tornare da Janice, e questo la diceva lunga sul suo tasso di autostima. Quando Chandler ha trovato Monica, però, lei ha riconosciuto tutti i suoi difetti e li ha amati, con sua grande sorpresa e con nostro grande sollievo.

Tutti noi siamo Chandler Bing

Ha fatto emergere la sua sincerità, senza far svanire mai del tutto il suo sarcasmo. E Perry ha reso credibili tutti i difetti di Chandler, ci ha fatto affezionare e ci ha fatto ridere di questi. In retrospettiva, è grazie a Perry che oggi ci rendiamo conto che Chandler è sempre stato solo un work-in-progress e che Ross era quello patologicamente danneggiato. Ma questo è materiale per un’altra rubrica.

È facile dire che Chandler abbia stimolato l’istinto protettivo degli spettatori nei confronti di Perry, e che la vita reale di Perry abbia stimolato negli spettatori l’istinto protettivo nei confronti di Chandler e dei suoi personaggi successivi, ma questo probabilmente confonderebbe troppo le cose. E rischierebbe di sminuire il fatto che Matthew Perry sia stato una grande star della televisione, e quanto sia stato bravo a interpretare personaggi che mascheravano il dolore prima che si sapesse qualcosa dell’attore che li interpretava.

Si pensi anche a una serie come Beverly Hills, 90210, dove il Roger Azarian di Perry dava la perfetta impressione dell’agio. Era popolare, intelligente e destinato a un successo così evidente che aveva rotto con Kelly Taylor perché lei non era abbastanza per lui, o almeno così diceva suo padre. Ma Roger era distrutto dentro. Era schiacciato dalle aspettative del padre, schiacciato dalle aspettative di Beverly Hills. Roger era, in un certo senso, l’incarnazione di tutto ciò che Darren Star voleva dire in quelle prime stagioni della serie, su come ciò che si vede in superficie, per quanto ideale, sia spesso una maschera. E Roger è stato un modello per molti ruoli di Matthew Perry a seguire.

Come chiunque usi il sarcasmo come arma contro la tristezza e la felicità, noi siamo stati Chandler e abbiamo tifato per quel personaggio per tutta la durata di Friends e in tutti i suoi ruoli successivi. Avremmo voluto che Ben in Mr. Sunshine avesse a disposizione abbastanza stagioni per superare il suo narcisismo e la sua crisi di mezza età. Avremmo voluto che Ryan in Go On potesse contare su un numero sufficiente di stagioni per arrivare alla fine del suo percorso di lutto e passare alla fase successiva della sua vita. E avremmo voluto che Matthew Perry avesse avuto decenni in più di opportunità, per lavorare su quello scomodo confine tra allegria e malinconia che ha saputo incarnare così bene.

Traduzione di Nadia Cazzaniga