Scritte sui muri, sui corpi, polemiche. Ma Woody Allen parla solo della sua fortuna. Un marziano a Venezia

Il cineasta, arrivato al cinquantesimo film "che potrebbe essere l'ultimo" fa un bilancio felice della propria carriera, mentre Ariane Labed, in gara alla SIC con The Vourdalak, usa il proprio corpo per protestare contro premi e selezioni ufficiali per i cineasti coinvolti in processi per stupro

Ottantotto anni, Woody Allen “e neanche un giorno ricoverato in ospedale”. Al Lido qualcuno attacca sui muri scritte (non rivendicate) contro i (presunti) stupratori Besson, Polanski e appunto lo stesso Allen. Quello a lui dedicato accusa la giustizia di non fare il suo corso: peccato che per i fatti imputatigli sia stato assolto anni fa, dopo una lunga inchiesta giudiziaria sotto le luci dei riflettori, ma quelle accuse, che ogni volta riemergono a orologeria, ora gli impediscono di trovare finanziamenti e portano molti attori a rinnegarlo.

Nonostante tutto, però, lui arriva al Festival sorridente, sornione, pacificato. Il suo umore non sembra rovinato dalle polemiche.

Probabilmente nessuno gli ha fatto ancora vedere le foto di Ariane Labed che sul corpo, precisamente sul collo, sul petto e sulla scollatura ha scritto un atto d’accusa non esplicito – non ha fatto, anzi scritto nomi – ma chiarissimo: “No more honors for Abusers” con una A rossa simile a quella della scritta apparsa ieri “Polanski wAnted” e affine a quella anarchica.

L’ennesimo capitolo di iniziative di un movimento di protesta nato fin dall’annuncio del programma, slegato e multiforme, ma molto agguerrito. Woody Allen, però, come detto, sembra non curarsene e passare oltre.

Ariane Labed nel photocall di The Vordulak, selezionato alla Settimana della Critica, mostra sul proprio corpo il dissenso per la presenza al Lido di registi coinvolti in storie di abusi

Ariane Labed nel photocall di The Vourdalak, selezionato alla Settimana della Critica, mostra sul proprio corpo il dissenso per la presenza al Lido di registi coinvolti in storie di abusi

Nessun accenno, se non lontano, alle sue vicissitudini. “Potrebbe essere il mio ultimo film, anche se ho ancora molte idee. Non so però se ho la forza di andare ancora a cercare i finanziamenti. Ora per esempio ho un ottimo spunto per una storia newyorkese e potrei farla se qualcuno dall’oscurità dovesse uscire e offrirsi di produrmi alle mie folli regole: ovvero non poter leggere la sceneggiatura dandomi i soldi e basta. E se dovessero venirmi buone idee, sarei felicissimo di lavorare ancora in Europa, anche in Islanda e Germania, anche in tedesco, se la fantasia mi spingesse in quella direzione”.

È così sereno il regista statunitense che sospetti che da un momento all’altro possa iniziare a cantare Ragazzo Fortunato di Jovanotti. “All’inizio ho avuto due genitori molto bravi, dei buoni amici, una moglie meravigliosa e due figlie. Ai miei esordi molti hanno enfatizzato tutti i lati positivi del mio lavoro con generosità, ho avuto più successo e premi di quanto meritassi. Almeno fino a oggi, speriamo ancora fino a oggi pomeriggio”.

Insomma, eccolo il marziano a Venezia, che finge di non capire e notare il subbuglio creato dalla sua presenza e minacciando il mondo del cinema che Coup de chance possa essere la sua ultima opera, rivela che però ne ha già un’altra in testa. E fossimo in lui andremmo a vedere il bel film The Vourdalak alla Sic, con Ariane Labed. Che per il suo cinema, peraltro, sarebbe perfetta.