TotoLeone / 2. La speranza si chiama Agnieszka: che vinca il coraggio della veterana

Se non prevalgono logiche modaiole, chissà che la giuria non punti sul dramma dei rifugiati al confine fra Polonia e Bielorussia. E dovessimo scommettere su un italiano in zona premi (non necessariamente Leone d’oro) giocheremmo una copeca su Io, capitano di Matteo Garrone

Pronostico per il Leone d’oro: uno fra Lanthimos, Bonello e Holland. Lanthimos (non visto da chi scrive) e Bonello se nella giuria prevarrà il gusto trendy, modaiolo, paravento e “famolo strano”, come direbbe Verdone. Holland se prevarrà un certo gusto per il cinema solido, narrativo e soprattutto il senso civile per la crudezza e l’importanza della storia raccontata. In più sarebbe un Leone a una donna, e in giuria ci sono quattro donne. Da non sottovalutare la presenza di due giurati come Santiago Mitre, regista di Argentina 1985 (il processo ai militari della Junta); e di Martin McDonagh, regista di Gli spiriti dell’isola. Due cineasti – appunto – non modaioli che potrebbero apprezzare il lavoro della polacca Agnieszka Holland sul dramma dei rifugiati al confine fra Polonia e Bielorussia. Dovessimo scommettere su un italiano in zona premi (non necessariamente Leone d’oro) giocheremmo una copeca su Io, capitano di Matteo Garrone.

Desiderio (strettamente personale) per il Leone d’oro: Agnieszka Holland. Sì, ci piacerebbe se il Leone andasse a questa veterana polacca che ha firmato un film coraggioso, che farà imbufalire (anzi, già lo sta facendo) il governo di Varsavia. È lo stesso tema di Io, capitano, certo, ma con una concretezza e una virulenza politica che il film italiano non ha, per precisa scelta del regista.

Tra l’altro, confessiamo di avere un difetto: quando si tratta di palmarès dei grandi festival, non siamo patriottici. Ci piace vedere premiati dei bei film.

I sei film italiani presentati a Venezia in concorso erano troppi – lo ribadiamo – ed erano tutti piuttosto belli, chi più chi meno, ma nessuno sembra avere la forza e il respiro per ambire a un riconoscimento assegnato da una giuria internazionale. In questi contesti il giurato italiano, Gabriele Mainetti, si autoassegna a volte il ruolo di difensore dei connazionali, ma non è obbligatorio farlo e non sempre avviene. Mainetti è molto amico di Pietro Castellitto (era uno degli interpreti di Freaks Out), ma nessuno si aspetta né si augura che qui debbano vincere gli amici degli amici (oddio, una volta accadde: Quentin Tarantino, presidente di giuria, fece vincere la sua ex fidanzata – Sofia Coppola Leone per Somewhere – e il suo ex produttore – Monte Hellman Leone al complesso della carriera per Road to Nowhere; pochissimi ricordano i due film, tutti ricordano che non fu una cosa elegantissima).

E comunque serve sempre una maggioranza all’interno della giuria: se Enea vincerà qualcosa, sarà perché molti dei giurati l’avranno apprezzato.

Ah, un’ultima cosa: ci piacerebbe se il premio Mastroianni a un interprete esordiente, o quasi, andasse a Rebecca Antonaci, la ragazza di Finalmente l’alba di Saverio Costanzo. A domani.