Biennale College Cinema: un nuovo sistema di produzione è possibile. E di distribuzione?

All'80esima Mostra del Cinema di Venezia si è tenuto l'incontro Beyond Conventional: Eleven years of the Biennale College Cinema, un confronto tra critici e registi sul rapporto tra cinema arthouse e grande schermo

“Questi film hanno creato paesaggi incredibili”. A parlare è Stephanie Zacharek, critica cinematografica per la rivista Time magazine, riferendosi ai titoli di Biennale College Cinema 2023. “Una boccata d’aria da ogni angolo del globo. È vero, a tutti piacciono prodotti come Succession e l’industria dell’audiovisivo tende a riproporre ciò che piace alla maggioranza. Ma il pubblico è affamato anche di cose che non conosce. O che non sa di volere”. Le sue parole sono arrivate durante l’incontro annuale dedicato ai progetti di Biennale College, “Beyond Conventional: Eleven years of the Biennale College Cinema”, e i film in questione sono l’italiano L’anno dell’uovo di Claudio Casale, il messicano Lumbresueño e l’ungherese Árni di Dorka Vermes. Prodotti ritenuti da Chris Vognar (The New York Times, Los Angeles Time, Rolling Stone) “Nuovi mondi immaginifici creati per scappare dalla realtà” e dalla critica finlandese Sara Ehnholm Hielm “meglio di tantissimi film convenzionali”.

Dinamica realtà dell’industria cinematografica mondiale, Biennale College offre un investimento di 200 mila euro per la realizzazione di lungometraggi a micro-budget. Opere che, altrimenti, non avrebbero la possibilità di arrivare in sala, e che trovano nell’investimento “contenuto” un’opportunità impagabile: la lente del panel si è perciò concentrata sugli avanzamenti del programma formativo e produttivo, nonché sui risultati che i progetti selezionati possono raggiungere al di fuori dei workshop.

Biennale College e il futuro della distribuzione

“Ogni film ha una strada unica e speciale”, ha detto la  responsabile del programma Savina Neirotti, citando i giorni di incontri e proiezioni in occasione del Venice Film Festival Presents: Next Generation a New York, in cui sono stati ripresentati sei titoli che hanno partecipato a Biennale College. Anche i diretti interessati, i registi dei lungometraggi, hanno preso parte alla discussione: “Credo che i giovani filmaker stiano cercando di rendere unica l’esperienza del grande schermo”, ha detto Claudio Casale. “Oggi può sembrare strano che i ragazzi escano di casa per andare al cinema a vedere un film senza effetti speciali. Ma non esiste un solo modello di industria. Io sono un ottimista, e vedo più problemi nel marketing che nella vendita dei film. Siamo in un’epoca in cui si spendono soldi per comprare di tutto. Ma c’è bisogno di incrementare la promozione di opere che vogliono rinnovare la forma artistica e visuale. Sono convinto che, tra cento anni, il cinema non sarà altro che film astratti, con linee e cerchi a raccontare una storia”.

Tra streaming e multinazionali

Un sistema, quello delle grandi piattaforme, criticato aspramente durante la conversazione del Beyond Conventional: Eleven years of the Biennale College Cinema, con Glenn Kenny – giornalista per il New York Times pronto a sparare a zero sulle multinazionali, individuando nel CEO Disney Bob Iger il nemico: “Qualche anno fa feci delle dichiarazioni sciocche a sostegno dello streaming. Oggi me le rimangio tutte. Le piattaforme stanno divorando l’arte. Non è detto che titoli come quelli di Biennale College Cinema debbano affidarsi per forza allo streaming per uscire. Le piattaforme ragionano in maniera individuale e gli scioperi americani ci dimostrano che c’è una battaglia da fare, contro persone come Bob Iger”.