Massimo Ceccherini: “La gente che sperava che io morissi tra le fiamme ora mi vede in un film di Garrone. Godo”

La storia con il regista di Io, Capitano "sembra una barzelletta: uno che potrebbe lavorare con chiunque, viene a chiedere consiglio a me". La storia con Elena, "l'angelo, l'amore che mi ha salvato la vita". La storia con Lucio, l'amico fedele per cui ha installato Whatsapp. L'intervista con THR Roma

“Ecco, vedi? Alla fine ho messo Whatsapp anch’io”. Le prime parole di Massimo Ceccherini, al telefono, non te le aspetti. “L’ho fatto solo per vedere Lucio in videochiamata quando sono lontano. Perché io non ci posso stare, senza vederlo”.

È un tuo amico, Lucio?

Molto di più: è il mio cane. In questo momento sto vivendo la storia d’amore più grande della mia vita: con Lucio sono felice” E poi, d’improvviso, aggiunge: “La gente che sperava che io morissi tra le fiamme ora mi vede in un film di Garrone. Certo che è strana la vita. Però ci godo”.

Massimo Ceccherini, la faccia di Picasso che va verso l’Oscar

Eravamo abituati a considerarlo, distrattamente, superficialmente, come “attore comico”. Quello con il coraggio di dire le parole che altri non avrebbero mai pronunciato. Quello con la faccia di Picasso. Quello libero da ogni inibizione. Quello che parla di sesso senza freni. Quello condannato all’inferno mediatico per aver bestemmiato in diretta. Poi lo avevamo un po’ perso di vista. Ed ecco, riappare dove non te lo aspetti. Nei titoli del film italiano del quale più si parla in questi giorni, Io capitano di Matteo Garrone. Come sceneggiatore.

Ma in che senso? Nell’unico senso possibile. Ha scritto il film insieme a Garrone. Il film che l’Italia ha designato per concorrere all’Oscar – la strada è ancora lunghissima, c’è da arrivare alla shortlist, e poi magari alla cinquina: ma intanto, è il film che l’Italia ha scelto, per affacciarsi al mondo. Ed è il film che il pubblico italiano sta premiando, dopo l’iniziale diffidenza.

Così, gli telefoni. Per farti spiegare come abbia conquistato la fiducia di Matteo Garrone, che si è voluto portare Massimo anche sul set, in Africa. Ma mentre ti racconta questa storia, Massimo te ne racconta anche un’altra. Altrettanto drammatica, raccontata con una sincerità assoluta e disarmante. La sua.

Massimo, nella tua storia personale hai avuto molte cadute, e per fortuna una sorta di resurrezione. Come vedi, ora, la tua vita?

Non do la colpa agli altri di quello che mi è successo. La colpa è solo mia, e posso solo ringraziare di quello che mi è successo nella vita. Ho avuto fortuna, ho lavorato con un genio come Monicelli, in Cari fottutissimi amici, con Paolo Villaggio. Ho avuto il successo, ho avuto tutto. E ho anche perso tutto.

Ci sono stati momenti in cui non vedevi l’uscita, momenti in cui sembravi non avere pietà di te stesso

Potevo fare la fine di Nuti. Di Francesco, che è caduto, ha battuto la testa e per sedici anni è stato su una sedia a rotelle. Potevo morire. Ho avuto dei segnali che i miei bonus stavano finendo. Poi è arrivato il miracolo.

Il miracolo Elena.

Sì: Elena è la donna che mi ha salvato la vita. Un miracolo di Dio.

Tu ci credi in Dio?

Non solo ci credo, ma quando l’ho chiamato è venuto. È venuto a salvarmi. Sotto forma di questa donna, Elena, che forse è stata mandata da Carlo Monni, che di sicuro deve essere in cielo, perché una persona più buona e più pura di lui non l’ho mai conosciuta.

Per che cosa avevi chiesto aiuto?

Perché non sapevo più come uscire dall’alcol e dalla droga e da tutti i vizi che mi portavano alla morte.

Elena come ha fatto a salvarti?

Non mi ha mollato mai. E mi ha anche preso a schiaffi, quando c’era bisogno.

E ora la “bestia” se ne è andata.

No. È legata, non è che è sparita. La tieni a bada, ma magari torna. La bestia non muore più, ti accompagna fino alla morte. La bestia mi ha preso quando ero giovane, ho goduto, mi piaceva, mi sono divertito. È come essere incinta: la bestia cresce dentro di te, cresce, cresce. Ho iniziato a bere e a drogarmi da ragazzino. Inizi con le canne e con il bere, poi passi alla cocaina. La richiesta piano piano aumenta, e il piacere diminuisce. Se hai la fortuna di non morire e non cadere battendo la testa, come è successo a Francesco Nuti, hai degli avvertimenti. Dei segnali di allarme. E forse riesci a dominarti, a fermarti.

Hai avuto paura di morire?

Una volta Marco Masini dice – io non mi ricordo nulla, naturalmente – di avermi raccolto con un piede già fuori da Ponte Vecchio, di notte, che mi volevo buttare. Ero lì lì per perdere con la bestia.

Chi ti ha aiutato?

Pieraccioni ha cercato di aiutarmi. Carlo Monni, tanto, finché è stato qui, sulla terra. Non lo sa nessuno, ma quando andava a fare degli spettacoli in un posto di religiosi, diceva ai frati: non voglio essere pagato. Ma per favore, pregate per Ceccherini.

Quanto è stato importante per te Carlo Monni?

Solo a stare abbracciato al Monni, ti passava tutto. Era un fuoriclasse, diverso da tutti. Non si imparentava con nessuno. Lo conobbi nel 1990, quando giravamo Benvenuti in casa Gori di Alessandro Benvenuti. C’erano i Mondiali di calcio, e i bar non davano da bere. Ma lui non poteva stare senza bere: allora andavamo in giro per tutta Roma, a piedi, per cercare un po’ di vino. E siccome lui camminava velocissimo, io arrancavo dietro: sembravo Dustin Hoffman in Un uomo da marciapiede.

È stato lui, dici, a mandarti Elena

Sì. La prima volta che l’ho vista, aveva una maglia su cui c’era scritto ‘Misericordia’. È il nome della confraternita di assistenza fiorentina, la più antica del mondo, che esiste fino dal Duecento. Ma io ho pensato alla Misericordia di Dio.

E così Elena Labate, operatrice sanitaria, è diventata la salvatrice e la donna amata da Massimo.

Anche nei momenti più bui, qualcuno c’è stato, dalla tua parte: il pubblico.

È vero, mi ha sempre voluto bene. Anche quando facevo roba marcia, anche quando ho bestemmiato in televisione. Sono stati gli unici a consolarmi, mentre i televisivi mi evitavano come se avessi avuto la rabbia, o la peste. Perché io avevo detto una parola, una. Ma loro, che sfruttano l’essere umano in tutti i modi possibili?.

In che senso?

Per esempio, quei programmi che creano mostriciattoli: illusi fin da quando sono ragazzini, e sognano di diventare star con Amici, fino a quando sono più grandi, con Uomini e donne.

Poi è arrivato Matteo Garrone. Prima con Il racconto dei racconti, poi con Pinocchio e adesso con Io capitano. Come funziona il tuo rapporto con lui?

La cosa più bella di Matteo è che non gliene importa nulla di imparentarsi col mondo del cinema, che non fa parte delle conventicole dei ‘cinematografari’. Non va a una cena per tenersi buono qualcuno che conta. E così, ce ne freghiamo di tutto e andiamo a pescare. Con suo figlio.

Come ti sei avvicinato alla storia dei ragazzi di Io capitano?

Da ignorante. Io sapevo solo quello che dicono i telegiornali: i servizi che raccontano le tragedie dei barconi, i numeri dei morti e dei sopravvissuti. Poi ho sentito un sacco di testimonianze. Ho capito quello che i telegiornali non mi avevano fatto capire: che ognuno di loro ha una storia che non è solo il viaggio nel barcone, ma che inizia molto, molto, molto prima.

Non riesco a immaginare il vostro lavoro “a tavolino”! Non riesco a vederti fermo, come a scuola

E invece è andata proprio così. Abbiamo lavorato per ore nella stessa stanza, d’estate, con una temperatura da Africa nera, perché Matteo non vuole l’aria condizionata. Si lavorava senza orari, nel senso che non si finiva mai. Se a Matteo si accendeva l’entusiasmo, potevamo stare ore e ore senza smettere di scrivere.

Qual è stato il tuo contributo, il tuo intervento?

Matteo dice che ho reso il film più ‘pop’, mentre lui è più borghese. Io non so che cosa vogliano dire queste due parole, ma vedo che gli danno ragione e mi adeguo. In realtà, quando scrivo con Matteo, se una cosa non mi piace io la dico. E non ho paura a dire che qualcosa mi sembra una s….

…stupidaggine.

Esatto. Una stupidaggine.

Poi ti ha voluto anche sul set. Non un set da film di Ceccherini

Quale film puoi immaginare più lontano da me? Deserto di giorno, deserto di notte, sabbia negli occhi, freddo, mai un posto comodo.
Ma a lui serviva che io stessi lì. Se qualcosa mi sembrava che non funzionasse, glielo dicevo. E si riscriveva la scena. Garrone che chiede consiglio a Ceccherini sembra una barzelletta: uno che potrebbe lavorare con chiunque, viene a chiedere consiglio a me? Eppure è andata così.

Sul set non eri solo un osservatore, dunque.

Non mi sentivo uno che pensa ‘che culo che ho a star qui, stiamo zitti e non disturbiamo’. Mi sentivo come uno che aveva qualcosa da fare.

Prima di girare Io capitano, Matteo Garrone aveva pensato anche ad un film con te come attore?

In una delle tante idee che ci sono venute, c’era un film con me protagonista. Era una storia che ci piaceva, all’inizio. Abbiamo scritto un bel pezzo di film. Poi ho visto Matteo incupirsi, e anche io, stranamente, non ero contento. Quando mi ha detto ‘Massimo, non sono convinto di questa storia’ è stata quasi una liberazione.

E adesso, dice Massimo, “scusa. Ma devo tirare la pallina a Lucio, se no mi si intristisce”.