Roma, primo pomeriggio. Il mercato di Campo de’ Fiori è assalito da gruppi di turisti. Nadia Tereszkiewicz, t-shirt nera, jeans e capelli biondi raccolti, arriva puntualissima all’appuntamento davanti al cinema che ospiterà l’anteprima serale di Rosalie. Il film scritto e diretto da Stéphanie Di Giusto – in sala dal 30 maggio con Wanted Cinema – che l’attrice accompagnerà in un piccolo tour in giro per l’Italia (Milano il 21 maggio, Torino, il 22 maggio e Bologna il 23 maggio). Con lei un’amica speciale conosciuta su Instagram: Pilar Fogliati. “Ho visto Odio il Natale e l’ho trovata divertentissima, così le ho scritto e siamo diventate amiche” racconta in un italiano impeccabile, eredità di una scuola internazionale frequentata da ragazza.
Nella pellicola, ambientata nella Francia rurale del XIX secolo, l’attrice – classe ’96 che vedremo anche in Testa o croce?, western diretto dai registi di Re granchio Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis – interpreta una giovane donna il cui viso e corpo sono interamente ricoperti di peli. Una diversità che decide di trasformare nella sua forza, lottando contro il pregiudizio. Un film in costume ma fortemente attuale. “Credo che oggi con i social sia ancora più difficile per le donne perché c’è ancora pressione da tutte le parti. E penso che il cinema abbia il potere di dare un’immagine nuova, di cambiare un po’ le mentalità, di aiutare”.
“Non è mai facile essere una donna”. Una frase pronunciata nel film. Crede sia ancora così?
Penso di essere fiera di far parte di una generazione dove le cose si muovono, cambiano. Se parliamo di cinema ci sono più donne, registe e produttrici. I ruoli stessi sono più interessanti. Non vivo quella cosa lì. Nel senso che sento di star lavorando in modo bello. Sono consapevole che dobbiamo lottare perché non è mai finito. E il cinema per me è un modo di aiutare a cambiare delle cose, di parlare dell’uguaglianza delle donne, di desideri, di che cosa vogliamo veramente fare. Perché, per esempio, dobbiamo giudicare i peli? Possiamo lasciare andare queste cose? Credo che oggi con i social sia ancora più difficile per le donne perché c’è ancora pressione da tutte le parti. E penso che il cinema abbia il potere di dare un’immagine nuova, di cambiare un po’ le mentalità, di aiutare.
La prima volta che si è vista con la barba e i peli sul corpo cos’ha provato?
Devo dire che, in realtà, all’inizio mi vergognavo. Era difficile. Non sono indipendente nello sguardo altrui. Ma ho fatto un percorso come Rosalie per amare la barba, per dimenticarla e per vedere che in realtà mi ha dato un po’ di forza. Anche di essere diversa. Un aspetto molto bello del film è che quando il mio personaggio ha la barba è veramente donna. Quell’elemento è la sua femminilità. È con la barba che può avere i desideri veri di una donna.
Però devo dire che mi ha fatto molto strano, perché mi ha interrogato sulla mia di femminilità. Perché Rosalie non può essere desiderata? Perché è così importante l’immagine che abbiamo della donna? Perché ho bisogno di essere più femminile secondo i codici della società? Perché ho bisogno di provare agli altri che sono una donna? È stato un percorso molto interessante anche per me come persona.
Ha avuto modo di parlare con donne che vivono la stessa condizione del suo personaggio? O che semplicemente grazie a lei si sono sentire più libere di essere come sono?
Tante, anche giovani. Perché quando dico che “tutti abbiamo una barba”, vuole dire che abbiamo tutti qualcosa di differente. Ho anche incontrato una donna con la barba – ma rasata – che piangendo mi ha detto: “Grazie per darci una possibilità di esistere”. Ho girato 39 città in Francia e ho visto tanta gente. Ma lei mi ha colpita. In Spagna una donna mi ha fatto ridere. Dopo aver visto il film mi ha detto: “A 40 anni, oggi, inizio a farmi crescere i peli sulle gambe. Per tutta la mia infanzia ho avuto il complesso di essere barbuta, anche se non lo sono, e adesso mi sento bene a lasciarmi andare”. Il mio personaggio non risponde ai codici della donna perfetta, però mi piace il fatto di trovare una sensualità, una bellezza dove non ci aspettiamo. La bellezza è anche nelle cose che stai facendo, nella tua personalità. Se qualcuno dice che Rosalie è bella, abbiamo vinto.
Il suo percorso artistico nasce nella danza dove l’aspetto fisico è fondamentale e dove spesso, fin da piccole, si subisce pressione perché il corpo risponda a determinati standard. È qualcosa che ha sofferto?
Certo. Ma ho avuto un percorso un po’ diverso dagli altri. So che ne cinema c’è una pressione enorme, ma io ho trovato una libertà incredibile. Per me il cinema è stata la possibilità di esplorare tutte le donne che posso essere, di cercare di essere me stessa, di abbandonarmi. Per 15 anni ho ballato 8 ore al giorno. Sono cresciuta con l’idea che diventare donna fosse un fallimento. Mi ricordo che quando vedevo qualcuna con il seno nella mia testa dicevo: “Povera”. Il mio corpo a 18 anni era quello di un bambino di 12, perché smette di crescere. Non vuole crescere.
Devi essere nei codici della danza classica che sono molto violenti. Nel cinema c’è competizione, ma io non l’ho mai vissuta. Mi ha detto: “Ti prendiamo per la tua personalità”. La danza classica chiede di non esistere per essere nella massa, con tutti. Il cinema mi ha presa con tutti i miei problemi e difetti. Nel cercare una sincerità nei ruoli che mi hanno proposto, mi sono trovata. È il mestiere più bello del mondo, non sono mai stata così felice come in questi ultimi anni. È stata una liberazione.
Sarà protagonista di Testa o croce?, il nuovo film di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis, già registi di Re granchio.
Sarà un western ambientato nel 1800. È in fase di preparazione. La mattina vado a cavallo. Sono contentissima perché volevo fare un progetto in Italia. Però volevo fosse qualcosa di nuovo, eccitante. Avevo visto Re granchio e mi ricordo di aver detto tra me e me: “Vorrei lavorare con loro”. Ma non ho mai detto niente. E mi hanno chiamata! Una cosa pazzesca. Gireremo a settembre, ma abbiamo iniziato il lavoro a dicembre. Non credo nel girare film in una settimana. Penso che dobbiamo trovare un’anima, un linguaggio comune. Avere il tempo di sognare, di conoscere esattamente quello che stiamo facendo. E mi piace, perché loro lavorano così.
Lo scorso 17 maggio, in Francia, l’associazione dei produttori e dei sindacati ha approvato un emendamento al contratto collettivo contro la violenza sessuale e di genere. Lei si è sempre sentita tutelata? O ci sono stati dei momenti in cui ha pensato di non esserlo?
Siamo in un movimento enorme in Francia e, ripeto, sono fiera di essere parte di questa generazione. Ringrazio le donne che stanno parlando, che danno una voce a quelle che non la possono avere, che fanno in modo che noi potremmo sempre lavorare in sicurezza. Penso che c’è una presa di coscienza collettiva. Spero che non cambierà, che sia irreversibile. Perché lo so che è un mestiere è complicato. Io sono stata fortunata, ho lavorato con persone gentilissime. Anche perché io, seppur non mi renda conto, ho sempre messo la distanza. Nel senso che sono sempre andata su progetti dove mi sentivo benissimo, dove sapevo di essere libera. Perché, altrimenti, non posso abbandonarmi.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma