Rocco Siffredi. Trovate qualcuno al mondo che non lo conosca. Come Diego Armando Maradona, il suo nome di battesimo basta a raccontarlo, a definirlo, a dire chi sia o cosa faccia. Il primo è il sesso, il porno, l’altro è il calcio, il genio.
Rocco Siffredi per tanti è, è (stato?) il diavolo, ma anche l’uomo che ha saputo piangere in diretta, raccontare l’esplosione della gioia e la depressione in una vita che sembrava meravigliosa, o comunque desiderabile almeno da tutti i maschi eterosessuali.
Supersex, dal 6 marzo 2024 su Netflix, è proprio questo, il racconto di un uomo che viene da Ortona, dal nulla, da un dolore che lo colpisce a fondo in tenera età e si reinventa già dieci volte prima della maggiore età e poi diventa il re del mondo, o almeno del suo mondo. Fino a oggi, a un 2024 in cui in più di 190 paesi, si racconta la sua storia, in sette episodi, con il volto di uno degli attori italiani più bravi e iconici, Alessandro Borghi. Che ne ha dato una definizione meravigliosa, di quest’opera, “la storia di un uomo che ci mette sette puntate a dire ti amo”.
In questa intervista conosciamo più Rocco Tano della superstar Siffredi (ispirato a Roch Siffredi, il personaggio di Borsalino interpretato da Alain Delon), il suo cognome d’arte.
Rocco, cinque lettere sinonimo di virilità, di un immaginario erotico, di quarant’anni di cinema a luci rosse, ma anche un bimbo, figlio di un carpentiere, che perde un fratello e fin da piccolissimo comincia a lavorare. Comincia, questo ragazzo, negli anni ’80 a Parigi con Belle d’Amour, scoperto da un divo dell’hard come Gabriel Pontello, poi in Italia trova il successo, insieme all’altra icona, purtroppo scomparsa a soli 32 anni, Moana Pozzi, in Fantastica Moana. Viene considerato il più grande della storia dell’hard, unico e vero erede di John Stagliano.
È però Curse of the Catwoman di John Leslie (che poi lo renderà protagonista del suo capolavoro, Chamaleons), a Los Angeles, a dargli l’attuale successo mondiale. Quaranta oscar del porno, centinaia di film, tra cui la mitica saga Rocco lo stallone italiano e il cult Rocco e le storie tese, celebre per la scena dell’orgia mentre gli EELST cantano Tapparella, parte della colonna sonora a cura di uno degli Elii, Rocco Tanica, pseudonimo di Sergio Conforti, si dice, proprio in onore del pornodivo.
Una storia da regista, attore e produttore che è unica nel suo genere, persino un’università dell’hard fondata e portata avanti con successo, la Rocco Siffredi Hard Academy.
E infine una filmografia anche mainstream, dall’autorialità di Catherine Breillat ad Amorestremo di Maria Martinelli fino ai cinepanettoni Natale a 5 stelle, nella parte di se stesso, o Matrimonio a Parigi con Massimo Boldi, in cui interpreta uno stilista bisessuale, François Leroy.
Di lui un’altra grande ìcona del porno, la mitica Bobbi Starr ha detto: “parlate con qualunque ragazza nel settore che è stata con lui e vi dirà che ha fatto con lui cose che non farà con nessun altro”.
Come ha reagito la prima volta che ha saputo che alla sua vita sarebbe stata dedicata una serie televisiva?
Finalmente si capisce che ho fatto qualcosa di bello e unico, finora nel porno nessuno ha avuto questa fortuna, di essere raccontato come un’icona, con un’opera così ambiziosa, di essere considerato come chi ha portato al proprio mondo una luce. Che sia bella o cupa, questa luce e questa storia, chi lo sa, chi può dirlo, la mia era ovviamente una battuta, visto che le serie le dedicano pure a Jeffrey Dahmer o ai dittatori o ai grandi trafficanti di droga come Pablo Escobar.
Però credo che se me l’hanno chiesto è perché hanno visto qualcosa oltre Siffredi, hanno guardato Rocco. E ritenuto, appunto, che fosse una parabola irripetibile, la mia.
Quando lei ha iniziato il porno era uno stigma sociale e sessuale. Ora è oggetto di narrazione mainstream e invade l’immaginario collettivo. Lei ora è un divo quasi per famiglie. Avrebbe mai pensato che lo sguardo su di lei sarebbe cambiato così tanto?
Figurati, quando ho cominciato io ero incredulo persino davanti ai pagamenti, mi chiedevo come fosse possibile che oltre a divertirmi potessi anche guadagnare. Tutto ha inizio, per me, nell’adolescenza, anzi prima. Da quel dramma della perdita di mio fratello, avevo solo sei anni, un dolore acuito dalla catastrofe emotiva di una madre che viene colpita drammaticamente da quell’evento.
Stava male, tanto, e ha dovuto rinunciare a un figlio che non poteva, né voleva mettere da parte.
Sono cresciuto davvero in fretta, a 8-9 anni già pulivo le spiagge, nessuno lo sa. E così è stato anche nella sessualità, ho bruciato le tappe. E il fatto che fosse redditizia, che potessi monetizzarla e aiutare a casa con ciò che guadagnavo per me era molto importante.
Quindi questa vita, questa carriera nasce da una grande ferita?
No, non è esatto. Come ti dicevo lo avrei fatto anche gratis, perché io sono nato per fare il porno. C’è una passione profonda in me, è stata la mia scelta di vita, ho fatto quello che amavo. E l’ho scelta quando non era facile né conveniente, io me lo ricordo bene che tutti mi davano del pazzo.
Quanto le è pesato in questi decenni essere solo il Rocco di cui non serviva neanche dire il cognome, perché detto con un certo tono era già sufficiente per capire di chi si stesse parlando? Quanto questa è anche un’occasione per mostrarsi al mondo come raramente è successo? Ricordo l’intervista a Belve e poco altro, in merito.
Sai che hai detto la stessa cosa che proprietario degli AVN Awards (Rocco Siffredi ne ha vinto 40, gli ultimi 3 a 54 anni come miglior attore e regista straniero e per la migliore scena in due, nel 2019)? Due anni fa, consegnandomi l’Oscar alla carriera, lui che non aveva mai presentato, lo fece solo per me. E mi introdusse definendomi “l’uomo di cui non serve dire nient’altro che il nome”. Mi hai sbloccato un bel ricordo.
Comunque io ho sempre saputo che avevo scelto un lavoro per cui si doveva essere capaci di non prendersi troppo sul serio, di avere autoironia. Non puoi dire “cazzo, sono un pornostar” e non aspettarti una risata, che può essere ironica ma anche solo di imbarazzo. So sempre che in uno spettacolo, in un’intervista, rispetto agli altri parto da meno dieci. E fa parte della mia vita fare i conti con questa mancanza di considerazione e combattere per far ricredere le persone.
È vero che per 30 anni di me la gente ha visto solo la mia sessualità, le mie scopate. A parte qualche eccezione, penso alle incredibili mini-interviste con Gregoretti padre che ancora mi fanno vergognare perché con la voce ridicolmente impostata dico “noi pornodivi dobbiamo anche saper recitare”. Quando le rivedo mi chiedo “ma come ho fatto a dì ‘ste stronzate?”. Ma ci stava, avevo l’età di mio figlio.
Quanto era difficile allora essere Rocco?
Oggi, dopo aver tolto la maschera quasi 40 anni fa, dopo quei due anni in cui mentivo dicendo che facevo il modello e non l’attore hard, proprio per quel pregiudizio così pesante, lo posso dire: io sono stato sempre me stesso. Allora capii che era giusto che facessi i conti con la mia scelta, che ci convivessi serenamente. Perché era ciò che sono.
Ora con la maturità mi è venuta voglia di farmi conoscere più profondamente, credo che sia dai tempi de L’isola dei famosi, quasi 10 anni fa, che ho cominciato davvero a mostrare anche la mia anima.
Ora si sente capito?
Intendiamoci: io ero sincero e me stesso anche prima, ma quasi a nessuno interessava. Non mi consideravano e quindi certe domande neanche arrivavano. Ora invece mi chiedono di parlare ai ragazzi, nelle scuole, addirittura la ministra Roccella mi chiede aiuto. Io sto dicendo da anni che stiamo crescendo una generazione di pornostar e lo vedo che molti storcono il naso, pensano che mi sono imborghesito, che rinnego il mio passato. Ma io ho scelto questo lavoro sin da ragazzino, è stata una vita bellissima anche se tutti amano raccontare solo il lato dark di questo lavoro e di questo percorso, quello più cupo – anche perché quella gioiosa è evidente a tutti, in centinaia di film – ma so cosa è diventato il porno e lo dico.
Voglio raccontare questa realtà, perché altri prendano scelte consapevoli, questo mondo è adatto solo a chi ha una vera vocazione. Devono sapere che questo mondo è una ragnatela, quando ci entri non è facile uscirne. Per me non è stato difficile restare, mi piace, stare sul set mi fa stare a mio agio persino più che a casa mia. Sul set dimentico i problemi, quella depressione che è tornata a trovarmi diverse volte, non di rado causata dal mio desiderio di continuare a fare porno mentre una parte di me chiedeva di fermarmi. Il corpo, la dipendenza dicevano una cosa, la testa un’altra.
Ora la chiamano “il diavolo”, ma è un’addiction come qualsiasi altra. Un effetto collaterale da affrontare, non una catastrofe.
C’è stata mai la voglia di smettere con il porno e di cimentarsi solo con il cinema d’autore? Lo ha fatto, estemporaneamente, a cavallo del nuovo millennio.
Hai davvero una sensibilità spiccata. È come se tu avessi intuito una mia esigenza profonda in questo momento. Sul set del film di Massimo Boldi – Matrimonio a Parigi – ho incontrato Davide Cincis, che lì era assistente alla regia: pochi mesi fa mi ha parlato di un progetto e mi ha detto che avrebbe potuto farlo solo con me. Mi ha detto “solo tu puoi raccontare quel dolore, quella dipendenza che hai dentro e che io voglio raccontare, mi serve la tua autenticità”. Ed è un film autobiografico, il suo.
Questo è pazzesco, perché ci sono persone che sanno guardarti dentro e capirti, come te o come lui, e so una cosa, quanto so che non ho mai voluto lasciare il porno. Che se avessi fatto un altro tipo di cinema, lo avrei fatto come l’hard, con la stessa serietà e abnegazione. E sarei stato un bravissimo attore anche di altro genere, te lo posso garantire. Perché io do l’anima in tutto ciò che faccio e lo faccio per il pubblico, per farlo stare bene.
Non ho mai pensato “sono Rocco Siffredi e qualsiasi cosa io metta in mostra si vende”, per me l’obiettivo numero uno è il benessere dei miei fan, dare il massimo per loro, sorprenderli e mai deluderli.
Lei e Alessandro Borghi vi somigliate non solo esteticamente. Sbaglio o avete un’etica e una visione del lavoro molto simile?
Per questo lo ammiro Alessandro Borghi, è un mostro, si dedica a questo lavoro con devozione oltre che con smisurato talento. Ma ha una grande fortuna, il suo mondo lo sostiene e ne riconosce la grandezza, attorno a sé ha sempre strutture che cercano di ottenere il suo stesso obiettivo, noi spesso siamo lasciati soli, siamo in pochi a voler fare le cose per bene, a credere in ciò che stai facendo e magari chi ti sta attorno quando chiedi più qualità ti ride in faccia.
Il film di Davide Cincis quando inizia a girarlo?
In teoria inizieremo a farlo in autunno, finanziamenti permettendo. Sarà la storia di Davide, molto dolorosa, e sta scrivendo ora la sceneggiatura. È un film drammatico e risponde ai miei desideri, nel cinema “vero” ho bisogno di tirar fuori le emozioni e il dolore che mi hanno abitato, non ambisco certo a un action movie. Penso di poter dare molto scavando dentro me stesso.
Che rapporto si è creato con Alessandro Borghi?
Inizio col dirti che nessun altro in Italia poteva interpretarmi. E non te lo dico perché lo ha fatto, ma perché credo che ci sia una connessione profonda tra noi. Io ho sentito in lui qualcosa di profondamente affine, problemi simili ai miei nella sessualità, gliel’ho detto subito: “non me la racconti giusta, tu vuoi fare questo progetto per capire qualcosa di più di te stesso”.
Ricordo una volta di averlo visto alla serata dei David di Donatello e mi colpì quanto fosse figo, inoltre i suoi lineamenti sono molto simili ai miei, soprattutto ai miei tratti giovanili. E mi ha toccato così tanto vedere i suoi occhi su uno dei miei set, nessun altro avrebbe capito il mio ambiente, il mio lavoro meglio di lui, perché mentre si aggirava nella location in cui giravo per capire meglio ciò che faccio e come, viverlo dall’interno, vedevo il suo atteggiamento attento e profondamente curioso e ne ero rapito.
Questa grande curiosità è una delle qualità che lo rendono un grande attore. E poi, evidentemente, deve essere cresciuto con me, sarà stato uno di quei ragazzi che guardava i miei film e anche per questo voleva sapere cosa avevo dentro.
Credo che in Supersex abbia cercato qualche risposta su di sé, perché il mondo del porno è come il cilindro del mago, continui a tirar fuori cose sorprendenti all’infinito. E il cervello comincia a fantasticare, poi a riflettere sui grandi temi: la cultura, la religione, dove sbagliamo.
Il porno, al contrario di quanto molti credono, è un luogo pulito perché come Borghi può essere un eroe senza macchia e senza paura una volta e un bad boy ferocissimo un’altra, così nell’hard tu puoi vivere anche le fantasie più estreme in sicurezza, in un posto dove nessuno ti giudica e dove tutto si fa nel modo corretto, tutelando tutti, se sei serio.
Puoi andare dove non potresti al di fuori di quel contesto e farlo senza paura, senza far del male a nessuno.
Non era scontato che accettasse questo ruolo. Su un’icona ancora vivente e per il pubblico generalista anche un po’ controversa
Io devo ringraziare Borghi perché s’è preso una bella gatta da pelare. Anzi due. La prima è che si è sforzato di capirmi quando neanche io so chi cazzo sia Rocco Siffredi veramente; la seconda è la quantità enorme di rotture di coglioni che è andato a prendersi. Lui è uno dei migliori attori italiani, poteva decidere di non farlo, evitare quei pregiudizi che ho vissuto in prima persona per anni, quelle umiliazioni che ti rifilano conduttori che dietro le quinte si dichiarano tuoi grandi ammiratori, citano tuoi film e poi in diretta prendono le distanze.
Noi rappresentiamo il lato più privato e nascosto di uomini e donne, quello che tutti vogliono chiudere in un cassetto appena finito di viverlo. Appena finito il film porno, torniamo in soffitta o in cantina. Ecco io voglio ringraziare Alessandro perché è un attore libero e se ne sbatte il cazzo di quello che pensa la gente.
E questo lo apprezzo ancora di più della sua splendida performance.
Sia sincero, lei ama il porno anche perché è maschio. Non è la terra dei balocchi per le donne.
Capita molto spesso che le mie colleghe si sveglino una mattina, nauseate, e cambino vita, pelle, carriera. In modo anche traumatico, rivoluzionandosi e volendo quasi allontanare, dimenticare il loro passato. Questa cosa non mi ha mai toccato, non ho mai rinnegato me stesso e il mio mondo, neanche con mia moglie: è stata dura a volte, ma lei sa che per me il porno è un’arte in cui non si può recitare, devi farlo davvero, con professionalità, facendo attenzione allo stare in scena, alle luci, a dove sta la macchina da presa.
Il sesso finto si vede subito, se non lo fai davvero se ne accorgono tutti, non è possibile simularlo.
Per le donne però è diverso, troppo a lungo il mio mondo è stato maschiocentrico, sul set e davanti agli schermi. Ora però il pubblico non è esclusivamente o a grande maggioranza maschile, non siamo neanche arrivati al 50 e 50, ma le donne che amano e vedono il porno sono aumentate esponenzialmente e di conseguenza anche il desiderio, lo sguardo femminile cominciano a essere mostrati. Ma lo sguardo maschile è difficile da estirpare.
Ed è per questo che Rocco Siffredi è un mito e Moana Pozzi era una zoccola. Tutti mi invidiano, ma nessuno mi dice che ho coraggio a mettermi in gioco ogni giorno, nudo, senza difese. Chi lo farebbe dei miei fan? Eppure sanno quanto possa essere difficile avere un’erezione tutti i giorni, anzi più erezioni, con qualsiasi donna.
Questa mentalità in Italia è persino peggiore, gli uomini devono essere tutti machi, senza fragilità e le donne le vorremmo tutte mogli e sante, le cattive ragazze possono essere tutte le altre, tranne la tua compagna e la tua mamma. E così soffrono tanto queste donne che vivono la loro libertà, i loro desideri, le loro ambizioni con molta più fatica e dolore di noi uomini.
Credo che con Onlyfans tutto questo sia pure peggiorato. Fingendo di normalizzare il porno, ha perso di sacralità, non se ne capiscono le conseguenze.
Però il bello di Supersex è che è figlio della penna e dello sguardo di due donne.
Stupendo. Francesca Mazzoleni è avanti, ha una testa fantastica e anche un modo di guardare le cose che mi piace molto. E poi la sceneggiatrice, Francesca Manieri. Ti confesserò che all’inizio ero terrorizzato. Quando mi hanno proposto una sceneggiatrice femminista e lesbica ho detto loro “ma che volete, mettermi l’Anticristo davanti?”. All’inizio non è stato facile, e non per colpa sua. Il pregiudizio era mio! Pensavo che non potesse accettare Siffredi, la sua mascolinità e invece ci siamo trovati, piano piano ci siamo capiti e abbiamo capito che entrambi volevamo che fosse raccontato un essere umano.
Io faccio questo lavoro dal 1985 e le femministe mi hanno attaccato spesso, per la presunta mercificazione del corpo femminile nei miei film, perché consideravano alcune delle cose che facevamo degli abusi, ma sfido loro a trovare anche solo una collega che dica una cosa del genere. E in questo senso loro, come tanti altri, non si rendono conto che anche io, spesso, sono stato spinto anche brutalmente dai registi a fare certe cose. Ma era lavoro. Sai che c’è? Il sesso e il porno possono giudicarli solo coloro che lo praticano, altrimenti è teoria.
Le posso confessare un sogno? Rocco Siffredi che presenta Sanremo. Direbbe a tutti che questo paese è diventato adulto e meno bacchettone.
Magari, è un’ambizione bellissima quella di condurre Sanremo, ma so che non succederà mai. Non sarebbe una prima volta, poi, visto che Elio e le Storie Tese mi hanno invitato sul palco a leggere una poesia. E persino una come Luciana Littizzetto era tesa, guardandomi li e chiedendosi cosa stessi facendo lì e cosa avrei potuto fare.
Sanremo o non Sanremo vorrei che tutti capissero che la sessualità deve essere percorsa da tutti noi senza sentirsi obbligati a viverla come gli altri vorrebbero.
Se ci sono donne che amano sperimentare tutti i giorni anche con uomini diversi, dobbiamo cambiare giudizi su di loro. Uomini e donne devono stare allo stesso livello. Quindi ti dirò, su quel palco dobbiamo portarci anche un’attrice porno.
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