Simone Godano continua il suo percorso in un cinema da commedia, che si tinge sempre di più con i toni del racconto amaro. Moglie e marito del 2017 rimane il più ordinario dei film che il regista romano ha diretto, esordio arrivato dopo anni di studio e progetti nell’ambito pubblicitario.
Un’incrinatura di fondo che si proporrà ben più pronunciata nel secondo Croce e delizia del 2019, storia di due uomini omosessuali che devono sposarsi con lo sfavore delle famiglie, mentre confluirà interamente nel terzo Marilyn ha gli occhi neri, in cui cerca di innestare in una classica storia d’amore i disagi della malattia mentale, tutto sulla base di una storia vera.
Per Sei fratelli, scritto assieme a Luca Infascelli, Godano si spinge oltre, cercando altri lidi, altre atmosfere. Il film non solo è una co-produzione con la Francia, ma dei territori di Bordeaux e dintorni, dove in parte è stato girato, ha anche il respiro e il tentativo di emularne le suggestioni, sia artistiche, che narrative, che visive.
L’opera è infatti malinconica, ma mai oscura e mai tragica. È ironica ma non umoristica, un luogo in cui la risata compare come un’increspatura della bocca tra l’ennesima incomprensione familiare e la consapevolezza che, in fondo, se si è lasciato il nido e lo si è lasciato ben lontano un motivo ben preciso deve starci.
Sei fratelli
Cast: Riccardo Scamarcio, Adriano Giannini, Linda Caridi, Valentina Bellè, Gabriel Montesi, Mati Galey
Regista: Simone Godano
Sceneggiatori: Simone Godano, Luca Infascelli
Durata: 103 min
Sei fratelli, crucci e meriti
Più commedia francese o nord europea che tipico richiamo “all’italiana” – pur con temi che ricorrono e qualche strafalcione caratteriale appartenente ai personaggi tipicamente nostrani – Sei fratelli oscilla in ciò che è e ciò che vorrebbe essere. E ancor più tra quello che vorrebbe fare e ciò che riesce a fare.
Non sempre, in questo suo continuo rimbalzarsi, l’andamento con cui racconta la storia dei fratelli e delle sorelle – una di loro appena arrivata nella famiglia Alicante – è ritmico e sostenuto, fruibile con scioltezza e liscio nella stesura del racconto.
È come se la pellicola fosse turbata tanto quanto lo sono i protagonisti. E questo è il suo merito e il suo cruccio. È incredibilmente vicina ai disagi di un padre che non ha saputo ricoprire un ruolo convenzione per i propri figli e che è indubbio non sia stato in grado di fornire loro gli strumenti adeguati per muoversi nella vita. Non con abilità, almeno.
È il suo cruccio perché come si tormentano e come rimuginano i personaggi sembra farlo anche il film in quasi ogni scena, quasi ogni scambio di dialogo. Indugia spesso Sei fratelli. A volte si interrompe, altre si ripete. È insicuro e fragile, di quell’insicurezza e fragilità di chi non sa bene cosa fare. Ma, e questo è da riconoscerlo, lo fa. Tenta, non si arresta.
La famiglia (allargata) di attori
Prova a fare qualcosa fuori dalla propria zona di confort, cerca di inquadrare un nucleo privato come tanti ne esistono soprattutto da quando è stato sdoganato il concetto di famiglia allargata e si affida completamente ai propri attori, sapendoli scegliere benissimo. Ogni volto, ogni carattere, si appiccica con coerenza e naturalezza ai nomi del cast.
Riccardo Scamarcio è il primogenito che si sente il preferito, presuntuoso e arrogante, concentrato sulla propria carriera e ormai fonte di fastidio per la moglie interpreta da Linda Caridi. Adriano Giannini, che dopo Adagio continua a mostrare un’ottima forma, racchiude placidità e compostezza per quel figlio che, in assenza di una figura paterna costante, ha sempre sentito di doverne fare le veci.
E poi c’è Gabriel Montesi, spogliato delle solite armature che indossa ogni volta per i propri ruoli (la calotta inverosimilmente liscia del serial killer di Io sono l’abisso, i baffi e i costumi d’epoca del militante delle brigate rosse per Esterno notte di Marco Bellocchio), vulnerabile e spontaneo, come ci si aspetterebbe di trovarselo davanti. Un’altra inaspettata nuance per l’attore romano, che non sfigura di fronte ai suoi colleghi-fratelli maggiori.
Incerto, ma a suo modo onesto, Sei fratelli non sappiamo se lascerà un’eredità nel panorama italiano, ma è un tassello peculiare nel suo filone da commedia drammatica attuale. Un’opera fallace, come un genitore di cui si riconoscono tutti i difetti. Ma che, alla fine, non si riesce troppo a biasimare.
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