Non è la copertina che vi aspettavate, ma è la copertina che ci meritiamo. Almeno per i David di Donatello 2024. Nell’anno di Paola Cortellesi, che abbiamo amato follemente e prima di chi poi è salito sul carro della vincitrice, noi cerchiamo gli outsider, quelli che hanno il coraggio di essere tutti e tutto.
I premi possono essere soprammobili (Giuliano Montaldo un David lo teneva in bagno, i Taviani li usavano come fermaporte, i Manetti il loro l’hanno rotto), riconoscimenti o propellente per una carriera e un modo di intendere e desiderare l’arte. Per noi sono soprattutto questi ultimi, un lasciapassare per essere più influenti e indipendenti, un testimone da lanciare verso il futuro, il proprio e quello della propria ispirazione.
David di Donatello 2024: i nostri favoriti
Premiare chi non cammina nell’alveo sicuro del mainstream, quindi, è un modo per rendere migliore il nostro cinema. E allora proviamo a svelarvi chi, oltre ai soliti noti o i favoriti, sono quei sei artisti in cerca di David che vorremmo vedere vincitori. Probabilmente non ci riusciranno, ma sarebbe bello se registi, produttori, agenti, casting director mettessero questa copertina nel loro ufficio, come orizzonte.
Perché ciò che immagineremo e scopriremo, in un modo o nell’altro, passerà da questi volti, sguardi, da questa generazione di mezzo che ancora esordisce, per necessità artistica ma anche perché chi come loro è nato nella seconda metà degli anni ’70 (uno è del 1975, due del 1977, tre del 1979, Linda Caridi fa loro da sorella minore, classe 1988) ha vissuto il crollo di un’epoca.
Un’epoca che sembrava segnata da destini magnifici e progressivi e si è rivelata un inferno di globalizzazione selvaggia, ingiustizia sociale, opportunità mancate. Quella generazione che per prima si è trovata più povera e indifesa di quella dei propri genitori. Non succedeva dalla seconda rivoluzione industriale.
Lo vedete nei loro occhi: dolenti ma vivi, ironici e tenaci, capaci di sognare ma segnati anche dagli incubi che hanno saputo vedere. E magari raccontare.
I magnifici sei
Brunori Sas canta la vita com’è, citando la canzone per cui è candidato – il film in cui la sentiamo è il grazioso Il più bel secolo della mia vita -, nessuno più e come lui ha saputo disegnare la paura, l’amore ostinato e duraturo e (anti) romantico, la verità, la fragilità di quelli come noi, schiacciati da chi ha fatto razzia di tutto, da quegli allievi di grandi maestri e quasi sempre raffinati bluffatori, finti rivoluzionari e drogati di status quo che hanno sfruttato la gerontocrazia ossessiva di questo paese.
Micaela Ramazzotti, che è sempre stata altro dal cinema italiano, star stralunata che in Tutta la vita davanti portava il suo corpo con la purezza sensuale di chi poi avrebbe raccontato donne ferite e fuori posto, trova nella sua prima regia la capacità di raccontarci Roma e il mondo dello spettacolo con spietata dolcezza, dai salotti radical chic di Piazza Vittorio a una periferia grottesca e squallida nel suo essere specchio deformante di un’umanità sconfitta. Felicità è un film ossimoro, coraggioso nella normalità che racconta, prezioso nei suoi tanti momenti di mai trascurabile infelicità inanellati uno dopo l’altro.
Michele Riondino è la nostra coscienza, dura, pura e battagliera, che non viene sporcata neanche dalle polveri dell’Ilva, che con la rabbia e l’orgoglio e la visionaria arte di un Elio Petri entra nella Palazzina Laf e ci mostra chi siamo, ci dice che la classe operaia è andata a fanculo, perché il paradiso era chiuso, che di Caterini è pieno il mondo, di chi è vittima e carnefice perché ingranaggio di un pianeta bastardo e avvelenato da un capitalismo infame e predatorio.
Riondino è Volonté che incontra Petri e precipita nell’ultimo Loach. Riondino è l’artista scomodo che non ha paura, pure di alzare i toni. Uno che si sporca le mani, perché questo paese si indigna per una foto rovesciata, ma non per una presidenza del senato svilita da chi la occupa.
Kasia Smutniak è la bellezza abbagliante che non si è mai accontentata di sé, che ha combattuto per essere se stessa, per un mestiere d’attrice che sembra onorare ma non amare del tutto, pur avendovi riversato per anni tutto il suo talento. Ma poi vedi Mur e capisci perché sentivi quella sensazione di incompiutezza. Perché in quegli occhi profondi e spesso enigmatici di Caos Calmo e Loro, in quella ironia di Moglie e Marito e in quella ostinazione audace di Tutti contro tutti o nella borghese oscura di Diavoli c’era un’autrice.
C’era qualcosa in più che doveva esprimersi. E con la forza di chi vuole raccontare la verità, vuole agire e non stare a guardare, rischia tutto e ci porta dove tutto sta succedendo, qui e ora. A sprezzo del pericolo personale, creativo, politico.
Vinicio Marchioni, spesso non protagonista al cinema e capocomico, protagonista e regista a teatro, insegnante al Teatro della Pergola e allievo nella vita, sempre alla gioiosa ricerca di migliorare se stesso e questo mondo con l’arte, capace di inseguire Cechov per anni e di fuggire da Romanzo Criminale per altrettanti, è quello che dovremmo essere tutti noi. Sempre in movimento, sempre ossessionati dal poter cambiare il mondo, sognare e sorridere alla vita anche quando è difficile. Così bravo e umile, ma al contempo follemente ambizioso. Come il suo romanzo Tre notti, che uscirà il 7 maggio per Rizzoli.
Linda Caridi è una che nello stesso anno può fare L’ultima notte di Amore e Supersex, sa dare ai suoi personaggi l’impronta di quella dolcezza inquieta, delle sue scelte sempre dedicate a sparigliare le carte, perché con quel viso e quel talento può essere con la stessa credibilità Viviana e Tina, capace come poche altre di firmare la sua performance anche in poche pause, dando qualcosa in più al film e modificando l’immaginario di chi guarda. Può essere eretica ed erotica, di questi magnifici sei è la “piccola” di casa, ma la scuola sembra la stessa. Non a caso ha vinto a dicembre scorso il premio Toni Bertorelli. Meritatissimo, perché di lui ha la curiosità discola e il rigore sorridente.
The Hollywood Reporter Roma può decidere di ammiccare al mainstream, di fare le scelte più facili, oppure dare i propri David, premi alla carriera che verrà, a chi saprà cambiare il nostro modo di vedere e sentire le cose. Questi sei, che un giorno ci piacerebbe vedere lavorare insieme, possono farlo.
Anzi, devono. Noi, intanto, apriamo sei feritoie sul futuro. A cui loro arrivano da una gavetta importante, un presente che li ha consacrati e appunto un avvenire che dovrà essere all’altezza dei loro talenti.
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