Quando, nel 2023, ha portato il sala An Irish Goodby, Oscar al miglior cortometraggio diretto da Tom Berkeley e Ross White, in molti credevano si trattasse di una proiezione che precedeva un lungometraggio. Impossibile pensare che qualcuno andasse al cinema e pagasse il biglietto per vedere un’opera della durata di 23 minuti. Si sbagliavano. Alessandro Loprieno, Ceo e fondatore di WeShort, piattaforma nata alla fine del 2020 dedicata al corti di tutto il mondo, sta per ripetere l’impresa.
Ma questa volta non si limiterà ad uno solo titolo. Il 6, 7 e 8 maggio arrivano nelle sale di tutta Italia i dieci corti candidati agli Academy Awards 2024, compresi il vincitore della statuetta per la migliore animazione War is Over! Inspired by the music of John & Yoko e La meravigliosa storia di Henry Sugar di Wes Anderson che, proprio grazie a un cortometraggio, ha vinto il suo primo Oscar. “Dal mio punto di vista il corto si può posizionare come formato alla pari di film e serie tv” racconta a THR Roma Loprieno. “Per questo mi piace chiamarlo grande cinema breve”.
Che tipo di crescita avete riscontrato con WeShort in questi anni?
Siamo partiti da zero a dicembre 2020 e a marzo 2021 eravamo già sul mercato. Il lancio è stato molto rapido. Non è stato fatto un grande marketing all’inizio perché volevamo validare il modello di business, il mercato e la soluzione che stavamo portando. Poi abbiamo iniziato a vedere utenti che si iscrivevano in piattaforma, aziende e festival interessati a fare delle partnership. La crescita è stata organica, costante e in crescendo. Compresi i ricavi derivanti dagli abbonamenti e dalle operazioni B2B (transazioni commerciali elettroniche tra imprese, ndr), una tra queste quella di Trenitalia. In questi tre anni abbiamo validato l’interesse del pubblico nei confronti del corto e capito che ci sono tutti i presupposti per poterci investire in maniera ancora più importante.
Avete consapevolezza di quali sono i device sui quali i contenuti vengono maggiormente visti?
Sulla fruizione abbiamo la versione desktop della piattaforma, quindi con un accesso da browser, e l’app. Abbiamo notato che molte persone la utilizzano anche per registrarsi. Anche la fruizione va molto bene sul mobile. Al momento se la contende con il web ma c’è una propensione maggiore a vedere contenuti da smartphone. Era anche la nostra scommessa iniziale. Nel senso che la nostra ipotesi era proprio quella che il pubblico oggi avrebbe guardato maggiormente i corti da mobile ed è una cosa che si è confermata. Stiamo per lanciare anche le app smart tv e quindi questo andrà rimodulato nel corso dei prossimi mesi.
Crede di aver avuto l’idea giusta al momento giusto? WeShort nasce alla fine del 2020, in un anno da dimenticare per la sala ma che ha visto consolidarsi definitivamente le piattaforme
Di pancia direi di sì. La mia ipotesi era che quando la pandemia sarebbe terminata ci sarebbe stata una fortissima impennata di mobilità in generale in tutto il mondo. Se rinchiudi in casa le persone per un tot di mesi, dopo non vogliono stare sul divano a vedere la tv ma vogliono stare in spazi aperti. L’idea di fare un lancio in quel periodo ha contribuito a diffondere la piattaforma anche con costi di marketing relativamente molto bassi. Per fortuna la propensione al rischio ci ha premiato in molti casi e abbiamo consolidato un posizionamento non solo in Italia ma anche internazionale.
Ad esempio siamo diventati partner del Sundance Institute e fatto moltissimo networking anche in festival internazionali. In questi tre anni la pacca sulla spalla che ci possiamo dare è aver validato il mercato e aver consolidato un posizionamento anche nei confronti di chi fa cortometraggi che oggi, per la prima volta, ha un punto di riferimento che sta anche portando i corti al cinema. Volevamo proprio arrivare con questo eco positivo sul mercato.
In anni in cui il cinema si sta espandendo a livello temporale, Martin Scorsese tra The Irishman e Killers of the Flower Moon ne è l’esempio più celebre, WeShort serve a ricordare che per raccontare una grande storia basta anche un corto?
Sicuramente sì. Dal mio punto di vista il corto si può posizionare come formato alla pari di film e serie tv. Se offri un formato e una qualità visibile, il pubblico ha la facoltà di scegliere. Ad esempio se dopo cena ha mezz’ora a disposizione non per forza deve vedere un film e interromperlo, ma può guardare un corto che identifica a 360 gradi quel tipo di esperienza cinematografica. Per questo mi piace chiamarlo “grande cinema breve”. Perché vogliamo che il pubblico possa smarcare quella casella lì che magari prima era vuota ed anche molto dispersiva alla ricerca di cortometraggi online. O addirittura in sala.
L’Oscar a Wes Anderson può contribuire a gettare un cono di luce sulla realtà dei corti?
Assolutamente. Wes Anderson insieme a Pedro Almodóvar con Strange Way of Life, ma anche il corto con Tom Holland protagonista, Last Call, presentato ad Alice nella città, sono tutti nei nostri radar. Il grande regista, il grande nome che produce o realizza un corto con magari un attore celebre contribuisce all’espansione di questo mercato. Il nostro lavoro è quello di tradurre poi questo in distribuzione attraverso lo streaming, eventi, collaborazione con i festival. Poi è chiaro che il pubblico va dove già conosce. Wes Anderson vince il suo primo Oscar con un corto prodotto da Netflix e WeShort, che nasce come piattaforma, distribuisce il corto prodotto da Netflix al cinema. Questo fa capire che i cortometraggi aprono delle possibilità anche nello stesso settore, magari mettendo in contatto realtà che apparentemente sulla carta possono essere competitor.
E non è così?
Mi piace pensare che noi come WeShort siamo una sorta di vivaio dove Netflix e piattaforme simili possono trovare idee originali ma anche talenti. Abbiamo un comitato di selezione che guarda tantissimi cortometraggi che ci arrivano da tutto il mondo. Non solo da personalità note ma anche da registi di talento che magari hanno fatto il loro primo corto ma magari non hanno un ufficio stampa che li promuove, agenti e distribuzione. Quello è un po’ il nostro lavoro.
C’è un team dedicato alla selezione, dunque.
Sì. Negli ultimi tre anni abbiamo ricevuto più di 15 mila cortometraggi che si sono candidati spontaneamente. Di quelli abbiamo selezionato i 2.500 oggi presenti in piattaforma e che aumentano a dismisura ogni settimana. Inoltre abbiamo una lista di titoli che aspetta di entrare abbastanza lunga. La cura è alla base perché bisogna offrire un prodotto che abbia delle qualità estetiche e narrative che rispecchino quello che vorremmo che si conosca del corto. Su alcuni che magari non hanno raggiunto quella maturità, non diciamo ai produttori che non ci interessa. Ci preme coltivare anche la relazione con loro perché più avanti potrebbero realizzare titoli maturi abbastanza per poter essere inseriti in piattaforma.
In Italia registi come Mattero Rovere, Sydney Sibilia e Gabriele Mainetti che tutti sono partiti da corti per poi contribuire a cambiare il volto del nostro cinema. Con WeShort puntate anche a dare visibilità a registi italiani emergenti, magari collaborando con scuole di cinema?
È già successo, in realtà. Sulla piattaforma abbiamo tantissimi cortometraggi prodotti dal Centro sperimentale di cinematografia e da altre scuole di cinema italiane, tra cui NABA, ma anche internazionali. Un contatto che c’è sempre stato e che oggi sta trovando anche delle forme un po’ più strutturate di collaborazione. Se prima ci mandavano semplicemente i corti, oggi stiamo lavorando su delle partnership che siano un po’ più continuative, su un dialogo già in fase di realizzazione.
Crede ci sia stato o ci sia ancora un pregiudizio nei confronti del corto?
Sì, è inutile raccontarsela. Ma con WeShort abbiamo un progetto a lungo termine, sappiamo che alcune cose richiedono tempo. Dal mio punto di vista il nostro lavoro è quello di ribrandizzare e rimodernizzare la parola cortometraggio, magari anche chiamandolo in forme diverse come grande cinema breve. Senza mai dimenticarci che il cinema nasce i cortometraggi. Viaggio nella Luna di George Méliès è di 22 minuti, di fatto è un corto. Così come il primo film horror della storia, sempre di Méliès, Le manoir du diable, della durata di sei minuti, quindi il cinema nasce breve, questo è proprio, come dire, il verso d’inizio della nostra storia. È chiaro che la storia in molti casi si ripete. Oggi più che mai lo stiamo vivendo.
In che modo?
Le produzioni con l’intelligenza artificiale. Da dove sono ripartite? Dal corto. Il primo film di OpenAI, Air Head realizzato da the shy guy, è un corto. Stessa cosa per la realtà virtuale. Stiamo vivendo un cosiddetto time to market favorevole. Sicuramente servono maggiori investimenti, ed è quello che stiamo facendo. Molto spesso in Italia chi fa impresa viene giudicato se una cosa non funziona, anziché capire come addrizzare il tiro. Cristoforo Colombo voleva andare in India da Ovest, è arrivato in America. Sulla carta ha sbagliato tutto il suo business plan, però ha scoperto qualcosa di più grande. Per me il cortometraggio è l’India verso Ovest. Magari hai intuito la direzione e che c’è qualcosa di grande. Nella mia idea da qua a cinque anni il corto sarà un mezzo di intrattenimento mainstream come film e serie tv.
Dei corti che verranno proiettati al cinema qual è il suo preferito?
Mi ha colpito molto il messaggio di War is Over! Inspired by the music of John & Yoko, vincitore dell’Oscar per l’animazione. Arriva nel momento giusto, quello in cui bisogna ricordare al mondo che la pace è qualcosa di importante. Anche noi in un settore in cui si parla sempre di streaming war, di guerra dello streaming, stiamo facendo la pace dello streaming. Siamo una piattaforma che atterra su altre piattaforme. Vogliamo che questi registi talentuosi abbiano un pubblico già con i corti, senza dover ambire a lungo per essere conosciuti, Il concetto di pace per me oggi è fondamentale e anche noi dal nostro piccolo angolino del mondo, che è quello del cinema, possiamo contribuire a questo. Per me portare nelle sale un film del genere, che dura 11 minuti, e parla della pace, è già una missione compiuta. Poi se il pubblico lo apprezzerà e recepirà il messaggio lo sarà ancora di più.
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