Mummie, licantropi, zombie, vampiri e serial killer: breve guida al cinema horror del Novecento

Dai primi esperimenti in bianco e nero di Georges Méliès ai classici del genere firmati da Alfred Hitchcock e Wes Craven fino alla saga di Scream e il successo di The Blair Witch Project: il cinema dell'orrore nel XX secolo

Un pipistrello che si trasforma in uno stregone e una bacchetta magica capace di far comparire calderoni fumanti e scheletri. Sono alcuni degli elementi di quello che, a tutti gli effetti, viene considerato il primo horror della storia: Le manoir du diable. A dirigerlo, nel 1896, uno dei padri fondatori del cinema: Georges Méliès. Tre minuti in bianco e nero dall’atmosfera giocosa più che spaventosa. Ma da lì si traccia una linea che porta dritta fino a nostri giorni. In mezzo litri di sangue, esseri mostruosi, serial killer, zombie, vampiri.

Il cinema espressionista tedesco – da Nosferatu il vampiro di Friedrich Wilhelm Murnau a Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene – è stato fondamentale nell’evoluzione del genere, ed è stato largamente ripreso nelle influenze visive da registi come, per esempio, Robert Eggers nel suo The Lighthouse. Mentre le ispirazioni letterarie delle opere – tra i tanti, soprattutto Mary Shelley e Edgar Allan Poe, centrali per i film hollywoodiani degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta – rappresentano le prime fasi di un cinema horror costellato di mummie, licantropi ed mutanti.

La paura secondo Alfred Hitchcock, Dario Argento e gli altri

E poi c’è lui. Il maestro del brivido: Alfred Hitchcock. I mostri spariscono e arriva un’altro tipo di paura, quella della psiche (tanto cara ai registi contemporanei, da Ari Aster a Jordan Peele e, ancor prima di loro, a Stanley Kubrick in Shining). L’horror psicologico prende il centro del racconto, da Psyco a Gli uccelli, e la suspense ne detta il ritmo.

Gli anni Sessanta, invece, vanno a braccetto con storie legate all’occulto e al soprannaturale, specie se associate a possessioni demoniache. Ne sono esempi Rosemary’s Baby di Roman Polanski e L’esorcista di William Friedkin. Ma come ogni altra forma artistica, anche l’horror assorbe i cambiamenti sociali. Basta pensare ai film di Wes Craven (L’ultima casa a sinistra) o di Tobe Hooper (Non aprite quella porta) usciti negli Stati Uniti nel bel mezzo della guerra in Vietnam e influenzati nel sottotesto narrativo da ciò che li circondava.

In Italia, invece, maestri come Dario Argento, Mario Bava, Pupi Avati, Ruggero Deodato e Lucio Fulci contribuiscono a fare la storia del genere superando i nostri confini geografici con titoli come Suspiria, Profondo rosso, La maschera del demonio o il controverso Cannibal Holocaust.

Da Michael Myers a Freddy Krueger: l’era dei serial killer

Gli anni Ottanta vedono la nascita di alcuni delle più grandi icone del cinema horror moderno: Michael Myers (la saga di Halloween creata da John Carpenter), Freddy Krueger (protagonista dei capitoli di Nightmare) e Jason Voorhees (maschera della saga di Venerdì 13). Ma non solo. Molti dei titoli che avevano riscosso un successo di pubblico e critica tornano sul grande schermo in una serie di sequel. Si apre una nuova stagione per l’horror: quella del franchise (un esempio? La casa di Sam Raimi).

The Blair Witch Project, The Ring e Scream: l’horror moderno

Se Scream, da metà degli anni Novanta ad oggi, ha saputo reinventarsi di capitolo in capitolo ritagliandosi un posto nella storia dell’horror grazie a Ghostface, serial killer mascherato (secondo taluno ispirato all’Urlo di Munch), e la final girl Sidney Prescott di Neva Campbell (oggi sostituita dai personaggi interpretati da Melissa Barrera e Jenna Ortega), altri due titoli hanno segnato la fine di quel decennio e l’inizio degli anni Duemila.

Da un lato The Blair Witch Project, horror indipendente diretto da Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez che ha riscritto le regole del cinema dell’orrore. Girato con la tecnica del found footage e votato ad un’impronta documentaristica, il film è stato un successo clamoroso al botteghino (60 mila dollari di budget per quasi 250 milioni di incasso) diventando un vero e proprio instant cult. Dall’altro, The Ring di Gore Verbinski, remake del film giapponese diretto da Hideo Nakata a sua volta ispirato all’omonimo romanzo di Banchō Sarayashiki. Una videocassetta, una frase – “Sette giorni” – e una protagonista, Samara Morgan, che hanno fatto del film uno degli horror più famosi di sempre (con tanto di parodie celebri come successo per The Blair Witch Project uscito nel 1999).

Solo un anno dopo Jason Blum avrebbe fondato la sua casa di produzione, la Blumhouse Production. Ma questa è un’altra storia (horror).