Le migliori serie TV per chi ha molto tempo

Da Succession a BoJack Horsemen, The Handmaid's Tale, Yellowstone e The Crown. E molte altre serie tv, italiane e internazionali, consigliate dalla redazione. Storie da recuperare con pazienza

Di THR ROMA

Non sapete che cosa guardare? Ecco le migliori serie tv scelte di THR Roma per chi ha molto tempo.

Doctor Who

Max

Cambia pelle, ma resta sempre la stessa. Come il suo protagonista. È la serie sci-fi Doctor Who, tra le più longeve della storia della televisione britannica – e mondiale. Un alieno, due cuori e un cacciavite: non serve altro per descrivere il Dottore per antonomasia. Il muta forma trasformista, il Dottore della guerra, ma anche il salvatore di pianeti. La prima stagione è del 1963, poi lo show si è fermato per riprendere nel 2005. Un ventaglio di personalità diverse, quanti sono gli attori e le attrici che lo hanno interpretato. Ma l’obiettivo rimane uno: combattere i demoni che “corrono, quando un uomo buono va in guerra”.

Suits

Netflix

Nessuna serie ha il potere di modificare lo stile di qualcuno. Suits sì. Perché alla fine dell’ultima stagione, la nove, chiunque si sarà innamorato di “cravatte di potere” e gonne affusolate. La particolarità di Suits però sono i dialoghi tra i personaggi, i membri dello studio legale più prestigioso di New York: battute taglienti e botta e risposta come su un ring, a colpi di cavilli legali e di citazioni di film della cultura pop. Oltre agli abiti scelti con cura, la personalità di tutti i personaggi è costruita ad arte, tanto che si fa fatica a scollare Harvey Specter di dosso da Gabriel Macht, o Rachel Zane da Megan Markle.

Mad Men

Prime Video, NOW

Una buona storia, una regia intelligente, personaggi carismatici. E un mondo credibile in cui farli muovere. Se esistesse una ricetta per la serie perfetta conterrebbe (almeno) questi ingredienti, presenti in giusta dose in Mad Men: storia del cinico creativo Don Draper (John Hamm nel ruolo della vita), una sigla di testa che ha fatto storia, il mondo delle agenzie pubblicitarie nella New York anni ’60 e ’70. In mezzo, la Storia con la maiuscola: femminismo e controcultura, l’omicidio Kennedy, la morte di Marilyn Monroe, la crisi dei missili su Cuba. Bacco, tabacco e venere, l’autodistruzione come fuga: serie da poltrona, sigaro e bicchierino d’Armagnac. Un cult.

Orange is the New Black

Netflix

Orange is the New Black è la prima storia carceraria tutta al femminile del piccolo schermo. L’istituto penitenziario di Litchfield è un macrocosmo di personaggi variegati: donne intrappolate nei loro reati, donne colpevoli, prevaricatrici ma anche prevaricate. Ognuna col suo ingombrante passato, ma tutte ugualmente riposte ai margini della società. La serie tratta con sarcasmo temi delicati come la tossicodipendenza, l’omofobia, la maternità, il razzismo e gli abusi di potere. Lunga ma coinvolgente, OITNB rende facile mettersi nei panni delle sue protagoniste: donne fragili e martoriate dalla vita, ma ancora in grado di combattere per la speranza di un futuro migliore.

The Wire

Sky, Now

Ormai è un classico che supera il tempo e il genere. Anche perché sono passati 21 anni dal primo episodio di The Wire, una serie crime poliziesca che ha fatto la storia. Molti grandi attori hanno iniziato qui: Michael B. Jordan e Idris Elba sono solo due dei nomi più famosi nella serie. Ed è una delle prime produzioni a mostrare il corpo di polizia statunitense non come una schiera di eroi impeccabili, ma come un’istituzione “da sistemare”. Nonostante nel corso degli anni The Wire sia stata criticata per una certa scorrettezza politica, la serie conta su un cast di attori a maggioranza afroamericana, in un momento storico – i primi anni Duemila – in cui Hollywood era so white. Più attuale che mai.

The Blacklist

Sky, Now

Raymond Reddington (James Spieder) si consegna all’FBI dopo oltre vent’anni di latitanza. Ha una lista nera, The Blacklist, che dà il nome alla serie tv, dei criminali più pericolosi del mondo e ora vuole dare una mano a catturarli. Accetta di collaborare però solo con un’agente dell’FBI, Liz (Elizabeth Keen), che conosce proprio nel suo primo giorno di lavoro. In dieci anni li abbiamo visti avvicinarsi e allontanarsi in una delle serie crime più amate e seguite dal pubblico. Vale la pena guardarla anche solo per “Red”, il cattivo dal cuore d’oro.

Castle

Sky, Now

Castle si è conclusa dopo otto stagioni, ma sarebbe potuta durare di più. Probabilmente molto di più. Il motivo della fine di una delle serie poliziesche più famose della televisione? L’astio, fuori dal set, tra i due protagonisti, Stana Katic e Nathan Fillion. La chimica – e tensione sessuale – tra i personaggi di Kate Beckett e Richard Castle era tanto elettrica nello schermo quanto fuori. Ma la scintilla che si incendiava nel racconto, trasformandolo in una storia di passioni e indagini tra una detective di New York e un avvenente scrittore, divampava nella realtà in litigate continue tra gli interpreti. Il fuoco, almeno quello, era autentico. Dimenticate perciò le faide e lasciatevi travolgere dalla sua heat wave.

Parks and Recreations

Prime Video

Tutti parlano di The Office. Tutti ne sono ossessionati. Anche noi. Ma nel boom di comedy di inizio Duemila, anche un altro show è riuscito a farsi strada. Succedeva nel 2009, quando il Michael Scott di The Office consegnava il testimone della comedy a Leslie Knope, protagonista delle sette stagioni di Parks and Recreation, firmata da Greg Daniels e Michael Shur (autori di? Di The Office, naturalmente). Identico lo stile, l’umorismo, “il pacchetto”. Il divertimento? Anche quello. L’unica differenza: l’azienda di produzione di carta di The Office si trasforma qui in una costola del servizio pubblico cittadino dedicato alla costruzione dei parchi. Va bene così. Va assolutamente bene così. 

I segreti di Twin Peaks

Paramount +

L’hanno visto tutti tranne voi. Fate finta di sapere chi ha ucciso Laura Palmer – interrogativo che arrovellò chiunque nei primi anni Novanta – ma in realtà siete le ultime persone sulla terra a non saperlo. L’estate è il momento giusto per recuperare quella perla rara di Twin Peaks: si parte da un piccolo paese montano al confine col Canada, sconvolto dal ritrovamento del corpo della “bella” del liceo, barbaramente uccisa. Si arriva, 30 episodi e due stagioni dopo (allora sembrarono un’eternità), al cuore di tenebra della provincia americana. Fa paura, tanta: quel tipo di horror fatto non di mostri, ma di incubi e allucinazioni, un sovrannaturale pagano, straniante, lisergico. Colonna sonora di Angelo Badalamenti, volti e battute che non dimenticherete più. Il genio è nelle prime e ultime puntate, dirette da David Lynch.

Il Cacciatore

Rai Play

Il cacciatore, prodotta da Rai Fiction nel 2018, ha vinto. Parecchio: il premio per la migliore serie crime ai Golden Umbrella TV Awards, e la migliore interpretazione al Cannes International Series Festival per il protagonista Francesco Montanari. Quanto di più lontano ci sia dallo “smarmellamento” italiano (sempre grazie, Boris), la serie si ambienta nella Sicilia del 1993, nel pieno di una guerra tra giustizia e mafia. Il pm Saverio Barone – ispirato al magistrato italiano Alfonso Sabella – vuole risalire alla cima della “cupola”. I buoni non sono solo buoni, ma i cattivi sono solo cattivi, con gli omicidi rappresentati da un gigantesco numero che li conteggia.  “Il caganiddu”, l’ultimo arrivato, sarà il primo a dire: “Li abbiamo presi tutti”.

The Knick

Sky, Now

Steven Soderbergh ha un’ossessione per le dipendenze. A scorrere la sua filmografia, un tema ricorrente – e declinato in modi sempre diversi – è proprio quello dell’assuefazione dei suoi personaggi. Poco importa che si tratti di sesso, fama o droghe. Come l’eroina e la cocaina da cui dipende l’altezzoso e brillante Dottor Thackery (Clive Owen), primario del reparto di chirurgia del Knickerbocker Hospital nella New York del 1900. Un personaggio ispirato alla figura del vero medico William Stewart Halsted, grazie al quale il regista realizza un period drama che fotografa il fermento scientifico e culturale dell’epoca, insieme alle sue zone d’ombra: razzismo, povertà e lotte sociali. Straordinaria la colonna sonora di Cliff Martinez, una partitura elettronica capace di creare un cortocircuito narrativo tra passato e futuro.

The Handmaid's Tale

Tim Vision, Amazon Prime Video

Ci sono serie tv che hanno inizi morbidi, lenti. The Handmaid’s Tale è il contrario: un dramma intenso fin dalla prima scena. E un’incredibile Elisabeth Moss che ti prende per mano e ti trascina con sé per tutti gli episodi delle cinque stagioni, nel distopico e perturbante universo di Gilead.

Basata sul romanzo del 1985 di Margaret Atwood, potremmo definirla una serie tv-medicina: ha un sapore cattivo, ma è necessaria. Non ti mette a tuo agio, a volte vorresti spaccare lo schermo per la rabbia, e non siamo sicuri che sia il caso di condividerla con qualcuno – soprattutto col proprio partner. Ma è una delle serie migliori degli ultimi anni. E trasmette un insegnamento fondamentale: nolite te bastardes carborondorum. “Non consentire che i bastardi ti annientino”. Mai.

Six Feet Under

Sky, NOW

In principio fu una bara. Anzi più d’una: una famiglia disfunzionale di becchini, giovani belli e molto occupati (a seppellire gente), impegnati a diverso titolo nell’azienda fondata dai genitori. In Italia arrivò nel 2004 in chiaro, su Italia1, e inaugurò la new wave delle serie tv in anticipo di qualche anno sul primo grande innamoramento collettivo per il genere – vedi alla voce Breaking Bad, 2008. Scritta da Alan Ball, sceneggiatore Oscar di American Beauty, è sufficientemente cinica da aprire ogni episodio – 63 in tutto, per cinque stagioni – con un decesso diverso. Provocatoria, cattiva e percorsa, va da sé, da un intelligente humor nero. Iniziò tutto da qui.

Broadchurch

Netflix

Premessa: due detective indagano sull’omicidio di un ragazzino di undici anni in un villaggio costiero inglese, Broadchurch appunto, dove tutti si conoscono e tutti sono sospettati. C’è poco da fare: gli inglesi hanno una marcia in più quando si tratta di risolvere un mistero. E la scogliera inglese vi farà venire voglia di prenotare un biglietto aereo.

La serie tv, che si snoda in tre stagioni, non è mai diventata mainstream, eppure rappresenta una novità per il genere crime-poliziesco. Avvincente, cruda, straziante, con delle battute sagaci e delle interpretazioni magistrali, sopra tutte quelle di David Tennant e Olivia Coleman. Ha saputo affiancare alla suspence – fino all’ultimo, tra dubbi e ripensamenti, tenterete di indovinare il colpevole – una dimensione delicata e umana. La colonna sonora fa la sua parte.

BoJack Horseman

Netflix

Se dovessimo disegnare i contorni dell’animazione moderna avrebbero la forma di un cavallo antropomorfo. Per essere più precisi, quelli di BoJack Horseman, l’ex star di Hollywoo(d) che, tra depressione e qualche bicchiere di troppo, cerca di tornare ai fasti degli anni Novanta quando era il protagonista di una celebre sitcom, Horsin’ Araound. Creata da Raphael Bob-Waksberg e illustrata da Lisa Hanawalt, la serie è una critica alla facciata dorata dell’industria hollywoodiana. Episodi in cui attraverso BoJack e gli altri personaggi – su tutti la giornalista Diane – la serie tocca una quantità di tematiche che spaziano dalle dipendenze al #MeToo, passando per il lutto e il perdono (verso se stessi e gli altri). Un personaggio complesso, irresistibile, cinico, bisognoso di amore. Sei stagioni e due episodi – Un pesce fuor d’acqua e Free Churro – assolutamente perfetti.

This is Us

Prime Video

Un’epopea famigliare, quella dei Pearson, distribuita su tre linee temporali: passato, presente e futuro. La serie creata da Dan Fogelman è di quelle memorabili. Merito di un cast corale e di un racconto che intreccia il dramma familiare con la storia degli Stati Uniti (già dal riferimento nel titolo), dalla guerra in Vietnam ai giorni nostri. Un successo planetario che ha reso il Jack Pearson di Milo Ventimiglia il papà più amato e idealizzato del piccolo schermo e ha dato il via a una serie di remake in giro per il mondo. Italia compresa, grazie a Noi, adattamento targato Rai1 e diretto da Luca Ribuoli.

1992, 1993, 1994

Sky

Sì è detto tanto della qualità televisiva dei funerali di Silvio Berlusconi e dell’inquietante parallelo tra la dinasty di Arcore e la dinastia tv di Succession. Ma la verità è che Berlusconi, in una serie tv, ci era già finito. Succedeva nel 2015, con la saga di 1992 scritta da Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo (#daunideadistefanoaccorsi): la storia dell’ascesa e caduta dell’uomo di Publitalia Leonardo Notte sullo sfondo dell’Italia primi anni Novanta, tra nascita di Forza Italia e Lega di Bossi, la Mediaset bombastica e la Milano da pippare, il processo Enimont, Mani Pulite, Tangentopoli. Un ripassone (indispensabile) scritto e girato con intelligenza, con uno dei migliori casting per una serie tv italiana: ottimo Stefano Accorsi, immenso Guido Caprino e Miriam Leone brava e bella come il sole. Paolo Pierobon è Berlusconi, da 1993 in poi.

The Crown

Netflix

Se non la vedete ora che è stato incoronato Carlo III, non lo farete mai più. Perché The Crown è la versione romanzata della storia vera della famiglia reale britannica: il loro lignaggio, la successione al trono della regina Elisabetta II e gli eventi, pubblici e privati, che ne hanno segnato il regno. Creato da Peter Morgan ed entrato da subito tra i gioiellini della serialità moderna, ha in sé la densità della Storia e la magnificenza della Corona. Ma attenzione all’apparenza. Dietro ai fasti di Buckingham Palace potreste perdervi nel vuoto (umano) della monarchia. Cinque stagioni, fate ancora in tempo: la sesta arriverà entro fine anno. Poi diteci qual è la vostra regina preferita (Claire Foy, ovvio) e la più insopportabile (Imelda Staunton, regale quanto Manlio Dovì nei panni dell’allora principe Carlo al Bagaglino)

Yellowstone

Sky, NOW

La prima ragione per guardare Yellowstone è che chiunque, almeno una volta nella vita, ha desiderato essere un cowboy. E la famiglia Dutton fa tutto quello che fanno i veri cowboy: possiede il ranch più grande del Montana e combatte contro tutto e tutti per mantenerlo. Che si tratti del loro ranch o delle sconfinate praterie del Texas, varrebbe la pena guardarlo anche solo per i luoghi. E per Kevin Costner, naturalmente, che spara a un cavallo nei primi 30 secondi della serie. Un’epopea da 47 episodi dopo i quali – nel caso sentiste la mancanza dei Dutton – potreste vedere anche il prequel (1883). E il sequel del prequel (1923). E gli spin-off in sviluppo. Un multiverso del western.

Succession

Sky, NOW

Se non sapete che cos’è, vivete in una bolla. La saga della famiglia Roy, copia carbone della Murdoch Family, è finita da poco e non si parla d’altro. Quattro stagioni, puntate da un’ora, una decina di personaggi che chiacchierano tantissimo, quasi sempre in interni, dicendosi cose orribili. Dialoghi magnifici, battute memorabili, personaggi disfunzionali bloccati in un eterno stallo alla messicana, incapaci di strappare all’anziano padre la guida dell’azienda di famiglia. Sullo sfondo: il mondo dei media americani, gli Stati Uniti repubblicani, tic e manie del club dell’1%. Ideata da Jesse Armstrong, ha una colonna sonora sontuosa (di Nicholas Britell) e un andamento a crescere, che culmina nel magnifico finale. Da recuperare con pazienza, è un cult. 

A cura di Martina Barone, Manuela Santacatterina, Livia Paccarié, Ilaria Ravarino, Viola Baldi