Sara Drago è riuscita a conquistare il cuore del grande pubblico non solo grazie alla sua partecipazione nella nota serie tv di Sky Original Call My Agent, remake italiano del cult francese Dix pour cent, ma anche per aver interpretato su Rai Uno Sara Strippoli nella terza stagione di Imma Tataranni – Sostituto Procuratore e aver recitato nella settima stagione di Un passo dal cielo.
L’attrice di Muggiò, da qualche anno trapiantata a Roma, ha all’attivo molti anni di teatro sperimentale alle spalle e una più che decennale carriera fatta di tanta gavetta. Ha da poco finito di girare un’altra serie tv per Paramount+ che uscirà in autunno e prossimamente sarà la protagonista del film Io ti conosco di Laura Angiulli. “È stata una vera palestra hardcore, nel senso che abbiamo girato con una produzione con pochi mezzi ma con grandi ambizioni”.
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Quando uscirà il film?
Non saprei. In questo momento è in post produzione, perché Laura è un’artista e quindi finché non sarà contenta dell’esito del film, penso proprio che non lo partorirà.
Sarà comunque il suo debutto al cinema da protagonista.
Sì, è il mio primo film da protagonista assoluta. È stato un po’ hardcore, nel senso che la produzione non aveva molti mezzi. È prodotto dal Teatro Stabile Galleria Toledo di Napoli, che finanzia il film. Quindi il ministero finanzia il teatro che a sua volta finanzia il film. È stato come fare uno spettacolo teatrale, però attraverso il mezzo della telecamera. Anche perché Laura è una regista teatrale. È stato proprio un bel gioco sperimentale.
Che aspettative ha?
Potrebbe essere una cosa bellissima così come una cosa talmente strana che non si segue. Non saprei, perché è un film molto particolare, con una sceneggiatura super coraggiosa, difficile, dove tutto ruota attorno a questa donna, Nina. Sono curiosa di vedere come andrà perché ho fatto anche delle cose attorialmente rischiose. Io ci ho provato adesso vediamo che cosa è venuto fuori.
Cosa intende per rischioso, reciterà nuda?
No! Ma non lo troverei neanche poi così rischioso, ormai siamo nel 2024. Penso più emotivamente. Ci sono delle scene dove sono abbastanza trasfigurata e anche un po’ irriconoscibile. Mi piace fare quel gioco, però è sempre un gioco all’impegno. Nella trasfigurazione è un attimo che trasbordi e non è più credibile. È un confine sottile.
Ha provato l’ebbrezza degli effetti speciali?
No, niente effetti speciali. Tutta farina del mio sacco, tutto gioco d’attrice. In quel senso è un bel rischio, perché se lo fai senza aiuti estetici può venire una cazzata. Può non essere credibile. La telecamera non ti permette di sbagliare da questo punto di vista. Se sei a fuoco, sei a fuoco. Se non lo sei, non è credibile quello che fai.
Come è stato rivestire i panni di Lea nella seconda stagione di Call My Agent?
Lea ha vissuto un momento di crisi dovuta alla rottura della relazione con la finanziera con cui la lasciamo essenzialmente alla fine della prima stagione. Nella seconda, per la prima volta, mette in discussione questa sua vita da avventuriera, da donna libera che salta da una relazione all’altra senza sentire l’impulso, la necessità al legame. In qualche modo, a un certo punto dentro di lei, sembra si stia muovendo un nuovo bisogno, un nuovo desiderio. Oltre a riversare tutta la sua passionalità nel lavoro, cominciare a costruire qualche cosa anche da un punto di vista affettivo, sentimentale. Prova a rifidanzarsi e ce la mette tutta.
Ha attinto all’interpretazione di Camille Cottin per costruire il personaggio di Lea?
Abbastanza. All’inizio soprattuto perché c’era già stata una persona in carne e ossa che aveva interpretato questo personaggio. Quindi ho osservato il lavoro di Camille, che avevo già visto prima di essere scelta per questo rifacimento italiano. Ho cercato di segnare delle caratteristiche di attitudine e di atteggiamento fisico, di azioni drammatiche ricorrenti del lavoro fatto da lei e ho cercato di tradurlo su di me. Quando poi mi è arrivata la sceneggiatura ho avuto degli indizi concreti per costruire una sorta di carta d’identità della mia versione di Lea.
Si ricorda il provino?
Si. Avevo mandato un self tape e mi hanno convocato in presenza. Avevano già fatto mesi e mesi di provini su questo personaggio. Ero molto emozionata perché era uno dei miei primissimi provini in presenza a Roma, per la televisione e il cinema. Ricordo che nella mail mi era stato scritto che sarei passata al trucco, ai capelli e al reparto costumi. Siccome non avevo dimestichezza con questo tipo di provini, ero arrivata praticamente con tutto, cioè ero arrivata truccata, parruccata, con una valigia di vestiti, uno zainone, tant’è che mi ricordo che Alberto Moretti, il costumista, mi prese in giro, dicendomi: “Che stai facendo un trasloco?”.
Ricordo anche questa sensazione di disagio perché ero abituata ad arrivare ai provini teatrali con tutto quello che mi serviva e che io avevo immaginato potesse essere utile per costruire quel personaggio. In realtà mi sono ritrovata con una squadra che mi ha aiutata a farlo.
Avere qualcuno che ti aiuta dovrebbe essere una bella sensazione.
È stato attivante. Qualcuno che ti mette addosso delle cose e tu, già guardandoti allo specchio, cominci a inventare. Ricordo che è stato un provino molto lungo e vivo. Nel senso che Luca Ribuoli, il regista, mi ha chiesto anche di improvvisare. Il provino l’ho fatto direttamente con Maurizio Lastrico, Ilaria Martinelli e Bruno Ricci. Tutti e tre attori molto bravi.
Secondo lei hanno avuto voce in capitolo sull’esito del suo provino?
Voce in capitolo no, sicuramente a Maurizio hanno chiesto come si fosse trovato e che sensazione avesse avuto. Ricordo che quel giorno incrociai Mauri quando ero ancora frastornata ferma accanto al mio motorino e mi si è avvicinato facendomi i complimenti e mi disse che ero stata bravissima.
Forse erano un po’ prevenuti per via dell’impostazione che gli attori teatrali hanno?
Non credo di essere un’attrice particolarmente impostata, diciamo che non temevo tanto questa cosa. È vero che al provino Luca dopo pochi minuti mi ha detto subito di fare attenzione perché ero un po’ teatrale. È chiaro che venendo da quel linguaggio lì, che è un’altra cosa, c’è da fare un passaggio di grammatica. Per questo ho semplicemente chiesto loro di spiegarmi, di aiutarmi e mi sono buttata anche affidandomi alla mia fame di apprendimento, che penso che mi contraddistingua molto. Il set per me è diventata subito una palestra, una scuola.
Ci sono stati giorni complicati sul set?
Sì, tanti. Soprattutto all’inizio.
La scena più difficile che ha dovuto girare?
Nella prima stagione, che veramente mi ha messo in crisi, è stata la scena dove avviene la litigata tra Gabriele e Lea nell’hotel durante l’episodio di Stefano Accorsi. Mi veniva richiesto di portare una certa emotività ad un certo livello di ebollizione e però mi veniva chiesto anche di non ripetere sempre le stesse azioni. Perché chiaramente questa è una differenza principale tra il cinema e il teatro. Cioè, davanti alla telecamera comunque devi cercare di ripetere più o meno sempre le stesse cose, che non vuol dire che non puoi fare delle variazioni interne, però è che se stavi in piedi dovevi di nuovo stare in piedi, non ti puoi sedere a ogni ciak e cambiare dove ti metti.
E quindi quella cosa mi aveva mandato molto in palla perché a un certo punto veniva la segretaria di edizione a dire: “Però ti sei riseduta qui e lì ti sei rialzata”. Io già stavo facendo fatica a trovare la temperatura giusta della scena e a un certo punto sono andata in tilt. Ricordo che ci abbiamo messo un po’ a portarcela a casa quella scena. Però devo dire che sia Luca che Maurizio sono stati molto pazienti e generosi nel darci il tempo di trovarla. Sono andata abbastanza in sbattimento da perfezionista quale sono, mi giravano le scatole che non riuscissi a fare quello che mi chiedevano.
È una perfezionista?
Sì, terribilmente!
La popolarità raggiunta con Call My Agent l’ha cambiata, ha portato qualcosa di nuovo nella sua vita, oltre all’aumento del cachet?
Beh, che non è poco. Anzi è il cambiamento numero uno proprio.
Si è fatta un regalo con i primi guadagni provenienti dalla tv?
Mi sono immediatamente fiondata a cercare un analista su Roma, cosa che volevo fare da tempo perché, prima di vincere il provino, ero abbastanza squattrinata. La prima cosa che ho fatto avuta conferma della parte è stato contattare un analista per regalarmi la possibilità di tornare a lavorare su di me e poi ho offerto, forse per la prima volta della mia vita, un pranzo a dieci colleghi amici con cui mi trovavo in quel momento in tournée perché ero felice.
Si è dovuta trasferire a Roma?
Mi ero già trasferita sei mesi prima di avere la parte di Lea. Stavo facendo avanti e indietro, avevo preso una casetta però mi spostavo molto. Per il cinema e per la televisione Roma ti dà più possibilità. A Milano non gira quasi niente, magari più pubblicità e tanto teatro, più che a Roma. Volevo fare un salto anche economico, dare un senso concreto, monetario al mio valore artistico. Perché negli anni teatrali mi hanno detto tante volte: “Ah, sei incredibile, un genio!”. Però poi c’è questo gap di frustrazione tra quello che ti dicono e quello che realmente raccogli. Il cambio più grande è stato questo e di conseguenza tante cose, perché ho iniziato a stare meglio, a potermi permettere di fare delle cose per me stessa per stare bene, di fare dei regali a mio fratello, di andare a trovare più spesso le persone che ami, viaggiare. Cambia tutto.
Le si sono aperte altre porte grazie alla popolarità?
Sì, sicuramente rispetto al teatro faccio moltissimi più provini adesso. Il che significa che ho la possibilità di fare il mio lavoro quasi quotidianamente.
Immagino sia cambiata anche la posizione del suo nome sulle locandine?
No! Perché l’ultimo spettacolo che ho fatto è una cosa super punk, con una compagnia super punk, quindi non abbiamo dato attenzione a questa regola che forse fa più parte di un certo circuito teatrale e di un certo tipo di mondo, come il cinema e la televisione. Infatti una delle prime cose che la mia agente mi disse è stata: “Ho chiesto un cartellone con il tuo nome. Perché adesso è importante dove esce, con chi e se da solo o con altri “. Ma sei fai teatro off non sei quella cosa lì.
Continuerà a fare quel tipo di teatro sperimentale?
Mi piacerebbe continuare perché è casa per me e perché penso che l’esperienza della condivisione del rito, del teatro dal vivo sia proprio un’altra cosa rispetto al rapporto con l’audiovisivo. Mi capita anche quando vado al cinema con la sala piena davanti a uno stesso film e sentire quella condivisione di un gruppo che vive le tue stesse emozioni in quel luogo, nel tempo presente, nello stesso spazio. Ha qualche cosa di simile a quello che succede in teatro. Non voglio abbandonare quest’esperienza, questa sensazione.
Cosa bolle in pentola in questo momento?
Io e la mia agente siamo appese come le pere mature ad aspettare di essere o raccolte o di cascare. Stiamo aspettando un po’ di risposte sul fronte audiovisivo.
Cinema o serie tv?
Entrambe. Ho appena finito di girare una nuova serie per Paramount+ che uscirà penso tra un anno e di cui non posso dire nulla. Non vedo l’ora che esca ma ancora non si sa neanche il titolo. Ogni email che ci mandano ha un titolo diverso proprio per evitare che ci sia una fuga di notizie. Fa molto ridere questa cosa.
È felice in questo momento?
Non sono felice perché sto attraversando un momento emotivamente e intimamente difficile, ma sono molto contenta di viverlo perché adesso mi sento adeguatamente equipaggiata per farlo. Però ecco, non sto attraversando i prati in fiore. Ora, sono un po’ più sotto, nei sotterranei. Ed è proprio grazie all’analisi che sono lì e sono contenta di esserci perché penso che certi cunicoli vadano sturati per far passare della buona aria fresca.
È cambiato anche il suo modo di apparire in pubblico?
Certo, anche perché prima le mie apparizioni pubbliche cos’erano? La conferenza al Teatro dei Filodrammatici di Milano? Non c’è quell’attenzione nel teatro, non esiste che hai una stylist che ti veste. Adesso c’è una persona che cura la tua immagine, fai un ragionamento con una squadra su come ti piacerebbe raccontarti in pubblico. Cosa comunica un certo tipo di brand piuttosto che un altro, un certo tipo di taglio di camicia, di vestito, di gonna rispetto a un altro. È uno stimolo bello anche questo, riflettere che segno porti nel momento in cui ti esponi pubblicamente. Prima avevo un armadio tremendo, mi vestivo un po’ come capitava, anche abbastanza da maschiaccio. Invece adesso, avendo la possibilità di avere anche degli stilisti che ti vestono, inizio ad avere un dialogo anche con un abbigliamento diverso.
Cosa ha provato sul suo primo red carpet?
L’ho fatto accanto al mio compagno (l’attore Gianni D’Addario, ndr), per il suo film Palazzina Laf, l’opera prima di Michele Riondino presentato alla Festa del Cinema di Roma a fine ottobre 2023. Ero molto emozionata perché desideravo veramente da tanto tempo che accadesse tutto quello che mi sta succedendo. È come quando arrivi lì dove volevi arrivare e hai costruito ogni centimetro della tua carriera per farlo. Il senso di gratitudine e di autorealizzazione è forte.
In quel caso però l’ha fatto come accompagnatrice e non per un suo lavoro.
Purtroppo ancora non l’ho fatto quindi faccio un appello (ride, ndr): Cari signori del cinema, fatemi fare un red carpet! Voglio fare un film, sono brava, ve lo giuro, vi faccio una cosa carina, non sono proprio una scappata di casa!
È professionalmente appagata?
Sì, molto! Sto facendo tutto con molta calma, anche dicendo dei no. Non mi sto facendo prendere dall’ansia di dover fare assolutamente subito delle altre cose.
Un “no” di cui si è pentita?
Non saprei ma diciamo che c’è stato un momento in cui mi sono trovata in una situazione in cui ero su diversi tavoli di produzione contemporaneamente. Dovevo prendere una decisione finale rispetto a dei ruoli per cui avevo fatto dei provini e ho dovuto dire no a chi mi aveva scelto in quel momento perché stavo aspettando la risposta di un altro progetto che se fosse andato in porto sarei stata troppo contenta. Nonostante il progetto a cui ho rinunciato era molto interessante e l’avrei fatto volentieri. Mi sono pentita perché poi nell’altro non mi hanno più presa. Ho lanciato il cuore oltre l’ostacolo e mi sono pentita di essermi un po’ lanciata così senza paracadute, ho fatto un po’ una cazzata.
E invece il “no” ricevuto che le ha fatto male?
Il no di Cinzia Th Turrini per il film su Gianna Nannini per cui avevo fatto un bel po’ di provini.
In effetti ci sono delle somiglianze con la rockstar.
Mi sono fatta un bel culo, ho fatto due mesi a lavorare sodo perché dovevo anche cantare. Ho preso lezioni di canto ovunque andassi. Ad Altamura, a Roma, in Sicilia, ed è stato bellissimo. Avevo molta voglia di fare quel personaggio, di lavorare su di lei, anche perché la adoro come donna e come artista. E quando mi hanno detto che non mi avevano preso, ci ho messo un po’ a riprendermi, ci sono stata un po’ male. Comunque prima o poi incontrerò Gianna Nannini in un altro modo.
Non vi siete mai incontrate?
No, purtroppo no. Quello era uno dei motivi per cui volevo prendere quel ruolo, ma proprio tanto. Mi sarebbe piaciuto assai.
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