Ferzan Özpetek: “Che meraviglia Il bagno turco restaurato, è il film delle mie prime volte. Ma il prossimo avrà 10 attrici protagoniste”

Torna in Thailandia il regista di Nuovo Olimpo, in un festival storico e di successo come il Moviemov che da anni porta il cinema italiano nell'Estremo Oriente. E lo fa con il suo esordio, un bel pretesto per raccontare il suo presente, il suo passato e un pezzo di futuro. Perché presto tornerà sul set e ancora prima arriverà un altro suo libro

Ferzan Özpetek, l’eroe dei due mondi. Difficile definirlo altrimenti, visto che torna ancora al Moviemov Italian Film Fest. Dopo tre edizioni in streaming nelle sale virtuali delle Filippine e della Thailandia, la manifestazione, ideata da Goffredo Bettini e organizzata dall’Associazione Culturale Playtown Roma, torna a svolgersi in presenza, per la sua XIII edizione in Thailandia, a Bangkok, dal 27 febbraio all’1 marzo 2024.

Il festival itinerante, nato nel 2010 grazie al sostegno della Direzione Generale per il Cinema del Ministero della Cultura, in collaborazione e con l’Ambasciata  italiana a Bangkok, la Camera di Commercio Italo tailandese  e l’Istituto per il Commercio Estero, ha anticipa la sua prossima edizione con un evento speciale a Roma, dedicato al regista e realizzato in collaborazione con Minerva Pictures: la presentazione in anteprima, a 27 anni dall’uscita, il 12 febbraio scorso al Cinema Barberini di Roma, del restauro in 4K de Il bagno turco – Hamam, la sua opera prima prodotta da Marco Risi e Maurizio Tedesco.

L’omaggio a Ferzan Özpetek proseguirà a Bangkok con la proiezione, oltre della copia restaurata del suo esordio in anteprima internazionale, anche di due dei suoi film più iconici: Le fate ignoranti e Mine vaganti, accompagnati dal regista che li introdurrà e dialogherà con gli spettatori. 
Quegli spettatori che lo amano anche a migliaia di chilometri di distanza dove lavora. In quel festival che ha già vinto due volte.

Poster del Moviemov Italian Cinema Fest

Poster del Moviemov Italian Cinema Fest

Ferzan Özpetek, partiamo con una domanda facile. Come va?

Sincero, volevo rimanere a casa a dormire qualche giorno! Ma quel disgraziato del produttore teatrale mi ha costretto a inventarmi Magnifica presenza a teatro, che è partito dall’Ambra Jovinelli (fino al 18 febbraio) per arrivare in tutta Italia. Era inevitabile dopo il successo di Mine Vaganti, ma sono sfinito.

Peraltro ho dovuto consegnare contemporaneamente negli ultimi 20 giorni questo spettacolo e pure il mio ultimo romanzo che era in ritardo di un anno preciso rispetto alla promessa di consegno. Quelli di Mondadori sono scesi per tre giorni di full immersion di lettura e correzione del testo. E ora a ogni mia richiesta di aggiunta rispondono in termini sempre più acidi, tanto ero in ritardo, Finite entrambe le maratone ho dormito, in una sola notte, 13 ore. E sono ancora a pezzi.

Com’è per uno amato così tanto in sala uscire su piattaforma con il suo ultimo film Nuovo Olimpo?

Non è facile non avere il riscontro della sala, sono sincero. So che siamo arrivati a 9 milioni di visioni in 28 paesi ma quando ho provato a fare una foto ai dati, lì a Netflix sono impazziti, gridavano: “No maestro, ma cosa fa!”. Poi i riscontri li scopri così, per caso. Da un account Instagram di una spettatrice che commenta in modo commovente quello che hai fatto alla sfilata di Armani dove ci stavano quei bonazzi de La casa di carta che mi facevano i complimenti, così come Amenabar che mi messaggia su Il bagno turco. Lui per me è un mito, non sai quanto ne sono stato felice.

Il bagno turco che con il restauro, mostrato il 12 febbraio scorso al Barberini, ormai è stato eternato come classico del nostro cinema

Non esageriamo! Scherzi a parte, per me è stranissimo, è un film che abbiamo fatto usando i vestiti miei, di mia madre e di mia nonna, girato con grandi difficoltà e in poche settimane grazie a Marco Risi e Maurizio Tedesco, con nove persone nella troupe e che aspettò per un anno la chiamata di un festival e poi incredibilmente andò a Cannes.

Completato il film, per otto mesi rimase – diciamo così – chiuso in cantina, non lo voleva nessuno, finché non è arrivato a Roma Pierre-Henry Deleau delegato del Festival di Cannes per la prestigiosa sezione Quinzaine des Réalisateurs che lo selezionò, unico fra i 60 lungometraggi italiani proposti. Mi raccontarono che era perfido, faceva smontare ogni pellicola dopo dieci, massimo venti minuti. Arrabbiato chiese, alla fine se ce n’era un altro. Per caso in quella sala c’era una mia copia in lavorazione che il protezionista e chi mostrava i film avevano visto. Lo ha visto tutto e lo prese subito.

È l’opera che ha portato tutti i miei film a uscire all’estero e che, però, negli anni era stata un po’ dimenticata, non si vedeva più. Sono così felice di questa sua nuova vita, anche perché a lei sono legate tante prime volte, dal successo di critica e pubblico al set che per la prima volta mi vedeva sulla sedia più importante. Rivedendolo sento un po’ di nostalgia e malinconia, anche perché ero molto più giovane!

Ferzan Özpetek

Ferzan Özpetek. Foto di Stefania Casellato

Come mai malinconia?

Perché erano tempi eroici. Quattro settimane e mezzo di riprese, una troupe ridottissima, uno sforzo meraviglioso, figlio di un affiatamento irripetibile. Durante il giorno, quando eravamo fuori a girare nelle varie location, i proprietari della pensione in cui dormivamo subaffittavano la stanza alle prostitute. Tornando, trovavamo sempre cose bizzarre.

Passare da lì a il giorno del passaggio a Cannes, in cui la mia vita è cambiata totalmente, è stato pazzesco ed esaltante. Fu venduto in molti paesi, distribuito con successo pure negli Stati Uniti. Però hai ragione, non è malinconia, è nostalgia mista a una buona dose di orgoglio: con quale coraggio in quegli anni ho fatto un film così!

E ora lo presenterà in un festival che l’ha sempre amata e che ha vinto due volte

Infatti al Moviemov mi hanno obbligato ad andare fuori concorso “altrimenti vinci pure questa volta!”. Guarda, mi fa sempre impressione quello che avviene lì, in Thailandia, l’amore che provano per ciò che faccio, l’entusiasmo che trapela durante e dopo le proiezioni. O il mio stupore, in Giappone, nello scoprire in un negozio dedicato all’home video, una sezione, una parete dedicata a me, con il mio nome.

Io sono sempre incredulo di fronte all’apprezzamento, ma anche nei confronti dell’odio se travalica così tanti confini, geografici e culturali.

In questo veramente il suo cinema è almodovoriano

Ci siamo conosciuti con Pedro a Los Angeles. Glielo dissi che mi paragonavano a lui e lui mi disse: “Lo faranno sempre, rassegnati, se racconti certe storie, hanno poca fantasia”. Io però non imito lui, pur amandolo, semmai imito me stesso, la mia vita, le emozioni che ho provato. Finisco, nel raccontare, per immedesimarmi nello spettatore e lui mi ricambia.

A volte per arrivare al pubblico, vado oltre il rigore, che pure ho in molte parti del mio lavoro. “L’intensità dell’incontro è quello che conta” è una frase che faccio dire a Luisa Ranieri, ma una settimana prima, pensando che chi guardava potesse trovarla troppo enfatica, ho deciso di aggiungere: “Mò mi fai diventà filosofa”.

E così ne Il bagno turco Francesca D’Aloja, la cui magrezza era bella ed evidente, in una scena viene apostrofata con un “Guarda quant’è magra questa” perché io come altre persone comuni l’avremmo detto o pensato. Soprattutto perché allora nessuno ci avrebbe accusato di body shaming.

Francesca D'Aloja e Ferzan Özpetek alla prima de Il bagno turco restaurato

Francesca D’Aloja e Ferzan Özpetek alla prima de Il bagno turco restaurato al Cinema Barberini di Roma

Non staremo esagerando con il politicamente corretto?

Ma certo che sì, per questo devi fregartene quando diventa eccessivo o addirittura dannoso. Alcune cose sono state importanti, in questa lotta anche semantica, ma molte si sono ritorte contro chi difendevano. Spesso non si capisce come la scorrettezza sia necessaria per condannare chi la pratica davvero e censurarla edulcora ciò che racconti, esclude il tema “protetto” dal dibattito.

Tom Hanks che si pente d’aver fatto Philadelphia è sconcertante, assurdo. Però devo pure dire che l’intimacy coordinator sul set di Nuovo Olimpo per esempio mi è stata utilissima. Io avevo mille pudori, lei stabiliti confini e regole era persino più audace di me nel pretendere una veridicità dell’azione e della scena. Ed è merito dell’ora che lei ha dedicato loro, in cui ha saputo capirli e metterli a loro agio, se quell’amore, quel piacere è stato così vero.

È difficile girare, rappresentare l’erotismo?

Non è facile girare certe scene, ricordo quanto fu difficile per tutti e tre la scena di sesso tra Giovanna Mezzogiorno e Alessandro Borghi in Napoli Velata, fortemente esplicita. Faticai io a dare certe indicazioni e loro a seguirle. E ricordo ancora con piacere come lei, proprio mentre ero in montaggio, mi scrisse, avendomi imparato a conoscere: “Non pensare di tagliare nulla, magari per delicatezza nei nostri confronti, tieni tutto nel rispetto della fatica che abbiamo fatto!”. Che donna e grande attrice. Lessi quelle parole proprio mentre mi facevo mille scrupoli per i suoi figli, per lei. Lo tengo ancora con me quel messaggio.

Una scena di Nuovo Olimpo di Ferzan Özpetek a cui ha lavorato Luisa Lazzaro come intimacy coordinator

Una scena di Nuovo Olimpo di Ferzan Özpetek a cui ha lavorato Luisa Lazzaro come intimacy coordinator

Se dovesse definire il suo cinema, quali sono le prime parole che le vengono in mente?

La libertà mentale che si unisce al pensiero costante al pubblico, quelle persone che mi fermano per strada e mi ringraziano, mi abbracciano, si commuovono, mi raccontano come e quanto i miei film li abbia aiutati. Io voglio, pretendo di commuovermi, ridere, emozionarmi come spettatore, prima ancora che essere soddisfatto come attore e regista.

Il bacio di Saturno Contro nasce così, dalla voglia di esplicitare qualcosa troppo spesso nascosto, e ne Le fate ignoranti misi delle scene forti perché capii che rispetto a politica, società e cultura la gente era pronta a guardare certe cose, a sentirle, a provare empatia per certi personaggi e momenti. Ora forse non rifarei certe scelte.

Direi che le rifarebbe, visto i full frontal e le scene molto hot di Nuovo Olimpo

Ma no, quella è una scelta artistica! Dovevano essere scene molto coinvolgenti, serviva che giustificassero un sentimento che rimanesse vivo per trent’anni. E poi quelli erano gli anni Settanta, gli anni più liberi per uomini e donne, non solo sessualmente. Ci si dava giù, in quegli anni, chi c’era se lo ricorda. Così come in Saturno Contro i due protagonisti si baciavano perché altrimenti sarebbe sembrato un rapporto sin troppo borghese e fraterno.

In Nuovo Olimpo c’è qualcosa di profondamente mio, che mi è capitato, così come ne Il bagno turco, ma ora andrò altrove.

E già sa dove?

Voglio indagare il mondo delle donne, che amo moltissimo. Vado d’accordissimo con le mie attrici: penso a Luisa Ranieri o Greta Scarano in questo film, hanno un istinto particolare per l’arte e per la recitazione, penso allo sguardo di Greta, alle parole che dice al protagonista nel finale, mi sono svegliato di notte due giorni prima di girarla e ho chiamato Gianni Romoli, mio sodale da sempre, per dirgli di quel dialogo.

Il mio prossimo film vedrà 10 attrici sul set come protagoniste che cercano di scrivere, creare un film con il loro regista.

Greta Scarano, moglie del coprotagonista e fan del regista Enea Monte in Nuovo Olimpo

Greta Scarano, moglie del coprotagonista e fan del regista Enea Monte in Nuovo Olimpo

Quella scena di Greta Scarano è stupenda, è più forte e calda di qualsiasi scena erotica.

Ti ringrazio, perché la temperatura emotiva voleva essere altissima, era quello l’intento. E mi fa piacere che uno come te, che spesso mi ha criticato, lo abbia notato.

Che rapporto ha con la critica e le critiche?

Diverso da prima. Noi registi abbiamo periodi diversi, in cui il rapporto con chi recensisce cambia. Un tempo me la prendevo molto di più, ora ho una visione più serena e tranquilla, anche più attenta, perché se i critici come noi registi spesso possono sbagliare, non di rado possono farti riflettere su molte cose.

Il problema attuale è il critico di Instagram: non sai cos’ha studiato, quanti film ha visto ma per merito di un algoritmo la sua incompetenza, la sua leggerezza nel dare giudizi può incidere sulla vita di un’opera. Questi ragazzini che ne sanno della nostra storia, di quanto ad esempio Le fate ignoranti sia stato importante per una comunità?

Torniamo a Il bagno turco. Alla faccia di chi dice che i registi si odiano, lei fu prodotto da Marco Risi

Grande amico e cineasta. Oltre a produrmi e sostenermi, di lui non scorderò mai i nostri set. In cui lui diceva a tutti urlando che una certa idea era mia. E a un certo punto mi chiamò a sé e me lo disse: “Non devi più fare l’aiuto, tu devi fare la regia, solo in questo film mi hai dato tre idee determinanti, tu hai talento!”.

Fu determinante per farmi esordire, con i fatti e quelle parole meravigliose. Però Marco è un’eccezione, non mi far raccontare le mie pessime esperienze con altri colleghi. E poi mi ha lasciato una totale libertà nello scrivere e nella regia.

Cinema, tv, teatro, libri. Cosa cambia?

Il cinema è la mia vita, tutto ciò che mi capita, dal supermercato a una cena mi ispira. I romanzi vengono dai racconti miei e altrui a cui attingo, mentre il teatro è il luogo in cui forse più esplicito il mio rapporto col pubblico, nei miei adattamenti c’è sempre un momento in cui sfondo la quarta parete e la platea entra nella scena, nella scrittura.

Ora che ci penso non riesco a scindere i vari linguaggi, fanno tutti parte di me. Certo il senso di aleatorietà del teatro rispetto al controllo totale che hai sul set ti dà una vertigine, positiva e negativa.

E poi il teatro è l’occasione per tornare nei luoghi in cui sei stato felice con un altro sguardo, come ho fatto con gli adattamenti per il palco dei miei film.

Francesca D'Aloja, Ferzan Özpetek e Serra Yılmaz

Francesca D’Aloja, Ferzan Özpetek e Serra Yılmaz