Il 25 aprile Rai: Antonio Scurati, il monologo censurato e poi regalato, il coraggio e la dignità di Serena Bortone, il bullismo social meloniano

Il 25 aprile alle porte, un monologo sul fascismo e l'antifascismo di un grande scrittore amato in Italia e all'estero che butta giù in qualche centinaio di parole un concetto che dovrebbe essere elementare e diventa invece un tabù da nascondere. Una conduttrice che non ci sta, una premier leonessa da tastiera che usa i social per bullizzare la vittima. Un pasticcio targato Rai

Il 25 aprile in Rai è un pezzo tragicomico grottesco che starebbe bene in un programma di Corrado Guzzanti: protagonisti Antonio Scurati, scrittore censurato, la premier che sui social chiude matrimoni e bullizza autori di fama internazionale, screen imbarazzanti, pezze peggiori del buco.

L’unica a mantenere, con un certo coraggio e rigore la propria dignità è stata Serena Bortone.

Il caso Scurati

Se non sapete di cosa stiamo parlando, presto detto: Chesarà, trasmissione di Raitre (tra le migliori trasmissioni della tv pubblica, ma qui ci interessa il giusto), in ossequio alla sua natura di contenitore di cultura, costume e anche politica chiede ad Antonio Scurati, già premio Strega, venduto in decine di paesi nel mondo e autore del cult M., che vedremo anche in versione seriale in tv molto presto, di scrivere un monologo, ispirato e adattato, peraltro, da un noto articolo uscito su un quotidiano.

Non è la cosa migliore che abbia mai scritto l’autore, è un elenco esaustivo dei crimini di guerra fascisti nell’arco del Ventennio, a partire dall’omicidio Matteotti, nella prima parte. Nella seconda è un’accurata valutazione sul fatto che l’attuale governo non abbia mai, in particolare nella persona della premier, considerato un valore l’antifascismo tanto da non riuscire a nominarlo e aver sempre delocalizzato le colpe di quel regime al nazismo tedesco, come fosse una qualsiasi bad company.

Ovvietà, elementari constatazioni di fatto. In un altro paese, banalità. Del male, certo, ma banalità. In Italia è l’ennesimo pretesto per riscoprirsi divisi, per non trovare un terreno comune, nemmeno sui valori costituzionali.

Un pasticcio targato RAI

Renato Zero cantava “Viva la Rai, quanti geni lavorano solo per noi, Viva la Rai, dimmi da quale parte stai”. Tuttora un pezzo di satira politico-musicale inarrivabile, che però non si sarebbe aspettato di rimanere attuale, ancora di più, nell’aprile del 2024.

Era una delle sigle di Fantastico 3, nel 1982 (peraltro ora sarebbe impossibile riproporla, fluida com’era nei costumi e nell’ironia) e nel varietà principe legato alla Lotteria Italia, un programma con percentuali bulgare di share, prendeva in giro, tra l’altro, la figura del “funzionario Rai”.

Il famigerato mostro che ha due caratteristiche: un’ottusità che gli fa fare telefonate a Fedez o a mettere per iscritto nel portale interno Rai in cui vengono catalogate forniture e collaborazioni che il contratto con Antonio Scurati sarebbe stato annullato per “motivi editoriali”. Il funzionario Rai, dal suo ufficio in cui cerca di blandire il potente di turno, fantozzianamente fa la scelta sbagliata al momento sbagliato. Quasi sempre.

I segreti di Pulcinella

Sappiamo tutto per veline contrapposte ovviamente: a Repubblica arriva uno screen di quello strumento interno, a Il Tempo ci fanno sapere da “fonti qualificate” che motivi editoriali, nel servizio pubblico, si usa per non usare il più maleducato motivi economici. Demenziale, se fosse vero, ma è la Rai, potrebbe pure essere.

Il punto è che stiamo parlando di 1800 euro per uno scritto originale del Ken Follett italiano, una mancia che Meloni ingigantisce come un qualsiasi urlatore da bar. Fossi l’agente del premio Strega, mi licenzierei, soprattutto perché quei soldi sono stati chiesti a una tv che dà un milione di euro a Pino Insegno.

Peraltro secondo Corsini (responsabile degli approfondimenti a Viale Mazzini) e soci, tutto sarebbe saltato per soli 300 euro: se le trattative da quelle parti le fanno così, ora si capisce perché Amadeus e Fazio non ci sono più.

Serena Bortone, l’autoscoop

Serena Bortone si accorge subito che Scurati e il suo monologo sono saltati e chiede spiegazioni. Una sera e una notte, per sua stessa ammissione, di mail senza risposta e chiamate cadute nel vuoto. E l’obbligo prima via social e poi in diretta di sottolineare che non sa perché questo sia successo. Ma non intende tacerlo.

E d’accordo con lo scrittore, il monologo, gratis, lo legge lei. Una reazione asciutta, certamente piccata, da giornalista e conduttrice vera. Qualcuno mina l’integrità del suo lavoro, delle sue scelte, lei non alza la voce ma dice per prima tutta la verità che conosce. In una tv che già di suo ama poco trasparenza e integrità, ma che negli ultimi tempi sopporta ancora meno chi non obbedisce alla voce del padrone. Anche quando questa è solo immaginata.

Apriti cielo, questo gesto di dignità che in un’Italia codarda diventa coraggio da leonessa, scatena la leonessa da tastiera che non ti aspetti. O forse sì, perché in fondo sempre da un suo account social ha comunicato la chiusura di un matrimonio. Il suo.

Il bullismo che non ti aspetti

Giorgia Meloni respinge decisamente le accuse di censura, pubblica provocatoriamente il monologo su Facebook, ma non prima di aver detto che Scurati è colpevole di aver preteso 1800 euro, lo stipendio di molti dei dipendenti Rai. Populismo e bullismo un tanto al chilo, in cui una figura istituzionale dall’enorme potere – e con un seguito social enorme e muscolare – mette alla berlina e al centro di una shitstorm un suo cittadino, illustre peraltro.

Uno che porta il nome della cara Italia che lei ha anche nel nome del suo partito in tutto il mondo. Scurati glielo fa notare, senza mezzi termini (definisce l’atto della premier “violenza”, a ragione), e a quel punto non ce n’è più per nessuno. Saltano gli schemi.

Foti, capogruppo FDI chiede le dimissioni di Serena Bortone (per il meraviglioso assiema “se crede nella censura perché rimane?” capovolgendo l’onere della prova, di fronte a un indizio chiaro da lei fornito), altri ne sottolineano i bassi ascolti (ma viene da una trasmissione in cui ha sbaragliato record nella sua fascia d’ascolto: salutò allora con un “siate liberi” che ora appare come amara ironia della sorte), Scurati viene attaccato da un pezzo del paese sempre pronto a prendersela con i nipotini di Stalin, come amava chiamarli Silvio Berlusconi (lui chiamava le trasmissioni dalle sue cucine, lei usa la Rete per rispondere ai nemici come un’influencer qualsiasi), l’Italia come sempre si spacca in due.

Nessuno che neanche sospetta di dover tenere un contegno che il ruolo gli imporrebbe: politici, dirigenti Rai, premier, persino lo scrittore, sia pure giustificatissimo, rende la sua prosa nella controrisposta piuttosto ruvida.

Perché l’antifascismo fa così paura?

Eppure basterebbe fermarsi, respirare e ricordarsi che la Storia parla chiaro. Che abbiamo dei valori condivisi da un arco costituzionale intero 80 anni fa. Che ci emozioniamo se Benigni legge la Costituzione, che è la più bella del mondo pure perché è figlia di quell’antifascismo che non può non essere una colonna portante del paese intero e per ognuno di noi.

Cosa spinge una politica (nel senso di persona, ma anche fazione) che ora ha, peraltro, un consenso enorme, a reagire con violenza scomposta a una libera espressione della propria opinione – anzi, in questo caso a un mero elenco di fatti storici e di cronaca -, a cercare un’occupazione nei contenuti così come negli uffici di un servizio pubblico che, sì, è sempre stato, ahinoi lottizzato, ma che ora si cerca di colonizzare? Anche a costo di pessime figure, come questa o il caso Fuortes-San Carlo.

Proprio Serena Bortone, come in passato Elio Germano a Cannes, disse nell’ultima puntata di Oggi è un altro giorno che gli italiani erano sostanzialmente migliori e più avanti di chi li governava.

È vero, ma il potere sembra ossessionato dal volerli controllare come si fa con i bambini, ossessionati dal plagiarli o che possano essere plagiati da cattivi maestri. A una certa parte d’Italia fa davvero così paura la cultura, l’obiettività storica, il passato che ci ricorda le nostre gravi responsabilità?

Perché infantile non è il pubblico televisivo o l’elettorato, anche se certe loro scelte lo lascerebbero pensare. Quella massa ha capito tutto e meglio prima degli altri: il problema sono i dirigenti politici e televisivi che reagiscono a ciò che altrove sarebbe normalità con isterica goffaggine (sebbene, se ricordate, anche il Lineker che si schiera contro le morti dei migranti nel mare sulla BBC viene epurato ma pure reintegrato a furor di un popolo che certo non può definirsi filobolscevico).

Perché certi potenti sono così terrorizzati da chi anche solo pronuncia la parola antifascismo. Così ossessionati da non accorgersi dei loro stessi comportamenti fascisti. O volendo fare ironia storica, non capiscono di essere più fascisti del re, pardon, più realisti della regina.

Intanto, grazie Serena Bortone. Per una volta a fare bella figura è il giornalismo, e non capita così spesso. C’è chi dice di essere antifascista, chi brandisce il proprio impegno e la propria radicalchicchissima voglia di cambiare il mondo dal proprio tinello, che magari ama il body positivity e invece pratica il body shaming. E poi c’è chi fa la rivoluzione semplicemente facendo il proprio lavoro con onestà intellettuale e morale e rigore. Tutti i giorni.

Ecco, il nostro 25 aprile, oggi, è nelle parole tranquille, limpide e decise di Serena Bortone. Nel suo essere stata una cittadina e una giornalista con la schiena dritta. Esempi, questi, che non vanno (o)scurati.