Succession, la recensione: addio alla famiglia Roy, una battaglia per il potere tra incubi, mostri e funerali

"We're nothing": la serie culto di Jesse Armstrong, un Trono di Spade nell'alta finanza ispirato alla Fox News di Rupert Murdoch, chiude con un epilogo lucido e nichilista

Prendete la storia di Rupert Murdoch, imprenditore e produttore televisivo, che con la sua Fox News ha diffuso – davanti e dietro alle telecamere – razzismo, maschilismo e teorie del complotto, imprimendo nell’immaginario collettivo, nel bene e nel male, il nome della sua azienda. Prendete i peggiori e più pittoreschi caratteri che potreste trovare in una famiglia: il figlio viziato, quello più fragile, l’opportunista, il menefreghista, l’eternamente emarginato, l’arrivista. Aggiungete una drammaticità shakespeariana, fatta di bramosie e tradimenti, e mettete tutti gli ingredienti in un contenitore chiamato HBO.

Vedrete che il risultato è niente meno che la più prelibata – e lacerante – produzione seriale che il piccolo schermo abbia servito con minuzia di dettagli (e coltellate allo stomaco) negli ultimi anni. Forse la migliore di sempre. La serie è Succession, iniziata nel 2018 e ideata da Jesse Armstrong, e la conclusione della sua quarta stagione, nonché ultima, è andata di pari passo con un processo che, in America, avrebbe potuto cambiare le sorti del giornalismo televisivo.

Murdoch è la persona che funge da ispirazione dello show, protagonista nella vita reale di mosse machiavelliche – non sempre così astute – con cui ha trasformato il volto dell’informazione nazionale. Il suo network televisivo, Fox News, ha patteggiato di recente un risarcimento da 787,5 milioni di dollari per diffamazione ai danni della società di software Dominion Voting Systems, accusata dal tycoon di aver truccato le elezioni presidenziali del 2020, poi vinte da Joe Biden.

Succession, contemporaneamente, raccontava un altro “bagno di sangue”, quello per la conquista della corona del regno della Waystar Royco, l’emittente fittizia (su modello di Fox News) di cui tutti i protagonisti vogliono diventare Ceo: come se due grandi storie, che poi sono una sola, si fossero mosse verso il proprio epilogo esattamente in simbiosi, amplificandone la portata del significato.

Gli incubi dei figli

Più Succession progredisce, più la battaglia per il potere prende la forma dei mostri e degli incubi che i personaggi hanno vissuto fin da piccoli, tornati per ossessionarli e tormentarli. A partire dal padre, Logan Roy, interpretato magistralmente da Brian Cox: è lui il buco nero in cui i figli Ken (Jeremy Strong), Shiv (Sarah Snook) e Roman (Kieran Culkin) sono caduti, lui la causa di quell’enorme vuoto interiore che ha finito per renderli, nel tempo, semplici marionette di papà.

Più se ne distaccano, più ne desiderano l’amore. Più il genitore li respinge, più credono di avere la possibilità di dimostragli il proprio valore. La morte del padre-magnate, per esempio, rivela più ombre che luci nel rapporto con i figli. Persino il “testamento” di Logan, anziché sciogliere l’enigma sulla successione, fomenta le false illusioni del “delfino” Kendall, affidate a una sottile linea che dovrebbe – in teoria – indicarlo come successore. Oppure no.

O lo struggente episodio del funerale, penultima puntata della quarta stagione, dove di fronte alle dure parole del fratello del tycoon, i “kids” – così continuamente chiamati dalla vecchia guardia – rispondono allo zio elogiando Logan e piangendolo. Ancora in pugno a quel padre. Ancora incapaci di affrontarlo.

Una scena dalla nona puntata della quarta stagione di Succession

Una scena dalla nona puntata della quarta stagione di Succession

La lotta impari intrapresa senza soluzione di continuità dai tre figli – Logan come Zeus dall’alto del suo Olimpo, tutti gli altri come vermi ai suoi piedi – è il risultato di un bisogno di affermazione personale destinato a rimanere insoddisfatto, evidentemente, fin dal primo episodio. È così. Non si è mai creduto che i piccoli Roy ce la potessero fare, a prescindere dal risultato. Sono troppo feriti, danneggiati. Lo sanno gli spettatori, lo sanno i loro soci, lo sa chi deve investire nell’azienda.

Succession e il trono vacante

È qui il genio di Succession: pur sapendo che la sconfitta è l’unica strada possibile, i suoi protagonisti continuano a percorrerla. Fino all’illuminazione. “We’re nothing”, non siamo niente, afferma Roman Roy, un Kieran Culkin che ha svettato in questa stagione sui fratelli, sul resto del cast, su tutti. E i personaggi di Succession sono davvero il nulla. O, almeno, lo sono diventati.

Sullo sfondo delle elezioni, con i cittadini in rivolta per le strade di New York, la presa di coscienza di Roman è quella di tutto un gruppo di imprenditori, businessman, ricchi, ricchissimi che si rendono conto, finalmente, della cosa più importante: “We’re nothing”. Nonostante le pugnalate alle spalle, gli omicidi coperti, le strategie imbastite.

È questa l’epifania con cui ci lascia Succession e con cui saluta i suoi personaggi, protagonisti di un Trono di Spade nel mondo dell’alta finanza. Questa volta, però, sul trono dovevano esserci tutti. Sul trono non doveva esserci nessuno.

Succession è disponibile per intero su Sky e in streaming su NOW.