La sirenetta, la recensione: un’esplosione di colori per un live action sui limiti del pregiudizio

Rob Marshall riadatta il classico Disney ai nostri tempi. Il risultato è un film che parla della paura del diverso e della bellezza dell'incontro con un tocco green. L'Ariel di Halle Bailey incarna lo spirito della versione animata

“Una sirena non ha lacrime e per questo soffre molto di più”. Lo scriveva Hans Christian Andersen ne La sirenetta. Era il 1837 e da allora cinema, musica, tv e teatro non hanno mai smesso di trarre ispirazione dalla sua fiaba, la parabola di un personaggio che si sente fuori dal mondo e vorrebbe farne parte. Compresa la Disney, che nel 1989 realizzò la sua celebre versione animata diretta da Ron Clements e John Musker con protagonista Ariel.

Una sirena dai lunghi capelli rossi e una curiosità sfrenata per il mondo umano. Con buona (mica tanto) pace del padre, il re dei mari Tritone. Quasi trentacinque anni dopo Rob Marshall ne ha realizzato una versione live action che ha fatto parlare di sé ancor prima dell’uscita in sala. Il motivo? La scelta della sua protagonista, Halle Bailey, attrice e cantante afroamericana.

Ecco, diciamolo subito: la sirenetta fatta di carne, ossa e pinne di Halle Bailey è perfetta anche se non somiglia alla versione animata. L’attrice ne incarna tutta la perseveranza, testardaggine, passione e coraggio. E dimostra che i cambiamenti non sempre vengono per nuocere. Sopratutto se in nome di una rappresentazione che per decenni ha latitato sul grande e piccolo schermo.

La sirenetta, un racconto moderno

Per qualcuno potrà sembrare una scelta ruffiana (e forse, chissà, in parte lo è), ma rileggere oggi i temi de La sirenetta ne sottolinea tutta la modernità. Con l’aiuto, ovviamente, della penna di David Magee che firma una sceneggiatura attenta a porre l’accento sui limiti del pregiudizio, sulla percezione e la paura del diverso (che nel nostro di mondo è spesso sinonimo di razzismo), sulla bellezza dell’incontro e dello scambio tra culture diverse.

Ogni tanto Magee spinge un po’ troppo la mano sottolineando con dialoghi forzati, ad esempio, le conseguenze delle azioni dell’uomo sugli oceani. Ma la riuscita del film sta anche nell’aver saputo far risuonare i nostri problemi, reali e attuali, sotto la superficie dell’acqua che bagna le coste di un’immaginaria isola caraibica. Una sirena che vede il mondo in modo diverso e ne vuole essere parte, che rivendica il bisogno di essere ascoltata e presa in considerazione. Provate ora a immaginare l’impatto di un concetto del genere su una giovane spettatrice che si riconosce in quello che vede e ascolta.

Il tocco di Lin Manuel Miranda

La sirenetta è un’esplosione di colori che Rob Marshall ha creato e immaginato con il suo team tecnico. Il risultato è riuscito e suggestivo in più di una sequenza (specie nei momenti musicali) con degli scivoloni relegati, ad esempio, a inquadrature ai limiti del grottesco o al nuovo aspetto, tutt’altro che riuscito, di Flounder, il pesce miglior amico di Ariel.

La strega dei mari di Melissa McCarthy, deliziosamente eccessiva, funziona più del re Tritone di Javier Bardem nell’aspetto. Ma tra le vere sorprese del film c’è lo spazio sullo schermo dedicato al principe Eric (Jonah Hauer-King). Non solo simbolo dell’amore umano di Ariel ma personaggio spinto dalla stessa sete di conoscenza e avventura della protagonista.

Altra fonte di polemiche scatenate dal film la scelta di rivedere alcune parti dei testi di Howard Ashman musicati da Alan Menken per adattarli alla sensibilità dei nostri giorni affidandoli a Lin Manuel Miranda. Ma l’essenza e la meraviglia di quei brani classici è intatta. Miranda aggiunge nuove parentesi musicali (alcune più incisive di altre) per parlare – anche – di costrizioni femminili e condizionamenti dettati dalla società. Perché un adattamento live action copia carbone dell’originale, altrimenti, quale senso avrebbe?