Povere creature! è piaciuto a tutti. Ed è giusto così. Yorgos Lanthimos ha snellito il proprio stile senza mai snaturarlo, si è portato dietro un’attrice che è ormai il suo feticcio ufficiale e ha scelto un tema che non avrebbe potuto parlare meglio alle politiche sociali e culturali del periodo in cui è uscito.
Lo ha travestito di un universo rock-emo-gotico-romantico, ha reso iconici i suoi costumi e le ambientazioni, vincendo il Leone d’oro all’80esima Mostra del cinema di Venezia e portando Emma Stone al secondo Oscar della sua giovanissima e matura carriera – doppietta raggiunta a meno di trentacinque anni. Con Kinds of Kindness, Lanthimos, torna alle origini.
Girato mentre era al montaggio di Povere creature!, portandosi parte del suo cast sul set – Stone, di nuovo, ma anche Willem Dafoe e Margaret Qualley – il film tripartito e scritto con il collaboratore Efthymis Filippou (Dogtooth, Alps, The Lobster) sono tutti i modi in cui poter essere gentili, secondo il regista e sceneggiatore greco. Ma l’autore va ancora più in profondità. Non è solo accortezza, premura. È amore.
The death of RMF, RMF is flying e RMF eats a sandwich – titoli della divisione dei micro-film all’interno di un unico, grande, collegato affresco – sono l’espressione del sentimento primordiale che muove il destino delle persone.
Kinds of Kindness
Cast: Emma Stone, Jesse Plemons, Willem Dafoe, Margaret Qualley
Regista: Yorgos Lanthimos
Sceneggiatori: Yorgos Lanthimos, Efthymis Filippou
Durata: 165 min
Kinds of Kindness: tre film dentro al film
Tre spaccati interconnessi eppure distantissimi, dove il concetto del “fin dove ti spingeresti per l’altro” viene portato al limite, e oltre – e sappiamo già che amerete, per l’appunto, il protagonista assoluto di Kinds of Kindness, RMF (restate fino ai titoli di coda!).
Ma l’amore, inteso nella mente analitica di Lanthimos, è sempre una dinamica che poco ha a che fare con il sentimento, inteso nell’eccezione pratica del “sentire”. Lo dimostra l’utilizzo del corpo, anche questo tornato al principio dell’autore, non più giocoso e caldo di Bella Baxter, bensì oggetto, involucro da poter muovere e spostare, da utilizzare a piacimento. È il sesso di Nicole Kidman ne Il sacrificio del cervo sacro: anestesia totale.
L’amore è vestire un ruolo. E in Kinds of Kindness la parte a cui gli interpreti devono sottostare, anche se multipla e diversa di storia in storia, è sempre determinata da chi domina e chi viene dominato. Chi decide e chi deve sottostare.
È il potere, esercitato come arma per stabilire i livelli di affettività richiesta e dovuta dai e tra personaggi. È palese nel primo racconto, dove Robert non si rende nemmeno conto di quanto è diventato dipendente dal suo capo. Capo che è anche consigliere, amico, amante. Dio (un caso che, a interpretarlo, sia proprio il God di Dafoe di Povere creature!).
È la lealtà che conta in un rapporto di dipendenza, e che lega la seconda narrazione diventando il tema principale. Convinto che la moglie ritrovata sia stata sostituita con l’originale, il protagonista richiede continue prove d’amore. La donna dovrà metterci tutta se stessa, sacrificando anche un dito, arrivando fino a dimostrare la propria devozione con un atto di fede assoluto. Un atto che viene da dentro.
L’amore famelico di Lanthimos
E setta, religione, credo è ciò a cui ha consegnato la propria esistenza il personaggio di Emily (Stone), che per far parte del circolo di “puri” di Dafoe e Hong Chau ha abbandonato marito e figlia, in giro con la sua macchina sportiva viola per cercare il più grande dispensatore di amore di tutti: chi è in grado, solo imponendo le proprie mani, di riportare in vita i morti.
Amore affamato, amore famelico, amore viscerale. Anche divertente, a tratti. Non è un caso che i personaggi di Kinds of Kindness mangino in continuazione, che ordinino hamburger in camera, che abbiano improvvisamente voglia di cioccolato (e di sandwich!).
Fame è sinonimo da sempre d’amore e Lanthimos ci sazia con un ritorno alle atmosfere dei suoi primi esperimenti surreali, giocosamente assurdi, architettonicamente impeccabili. Profili, mezzi busti, mani: tutto è incasellato in modo perfetto e scomposto nel quadro generale dell’opera, pastellosa e psichedelica, fotografata – ancora – da Robbie Ryan. Inquadrata a volte, non troppo, saltuariamente, con i suoi fisheye.
E amore c’è nella scelta degli attori, nell’ilarità che ormai sappiamo il regista greco mette nelle prove con gli interpreti. Sperimentazioni teatrali, veri e propri giochi che trasforma in performance insolite, mai uguali ad altre.
E che finalmente mettono al centro forse uno dei più bravi di tutti della sua generazione, un Jesse Plemons da sempre secondario, che si erge fisico e faccia da protagonista, incorporando l’anima dei personaggi. E con cui è scintilla appena si incontra e si accende con Emma Stone.
Gentile è da parte di Yorgos Lanthimos essere tornato a spiazzarci. Non che abbia mai smesso. Ma ha saputo ricordarci, ancora una volta, chi è stato e cosa è capace (ancora) di fare.
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