Dieci palme per il poeta maledetto Aki Kaurismaki: 81 minuti di poesia

Approda nei cinema Foglie al vento: il regista finlandese lo riconosci dalla prima inquadratura, dietro le sue immagini c’è il calore della vita e la rabbia di un rivoluzionario alcolico che usa come arma la lirica. Ma i festival con lui sono stati avari

fUn fantasma si aggira per i festival del cinema europei: è Aki Kaurismaki, il grande regista finlandese. Pur avendo partecipato a tutti i concorsi immaginabili, Kaurismaki non ha mai vinto né una Palma, né un Leone né un Orso d’oro; e tantomeno un Oscar, figurarsi. A Cannes è arrivato al Gran Premio della giuria (secondo premio del palmarès) nel 2002, per L’uomo senza passato. A Berlino ha vinto l’Orso d’argento nel 2017 per L’altro volto della speranza: quella sera era talmente incazzato che non si presentò a ritirare il premio, preferendo – parole sue – “andare a bere qualcosa con gli amici”. Ora è di nuovo in ballo per i Golden Globes e per gli Oscar. Probabilità di vincere? Scarse.

Un inutile appello

Possiamo dirlo? È una vergogna. Il nostro  appello alla giuria cannense, di dare la Palma d’oro a Foglie al vento, fu inutile. Finora è stato tempo perso. Kaurismaki è un poeta maledetto, fuori dai giri, che fa cinema a modo suo (può permetterselo, i suoi film costano due lire) e non frequenta i salotti giusti.

A Cannes, in assenza di capolavori indiscutibili, bisogna presentarsi con film furbacchioni co-prodotti da tutti gli amici degli amici: altrimenti come spieghereste che uno come lo svedese Ruben Ostlund abbia vinto due Palme d’oro? Per rimanere agli scandinavi, ha vinto due Palme d’oro anche Bille August, con due polpettoni dei quali si è persa fortunatamente la memoria.

Kaurismaki, anche per il solo fatto di essere finlandese, è uno scandinavo anomalo. È uno che si fa i fatti suoi e preferisce sempre una bottiglia di vodka e una partita di calcio in tv (una volta, durante un’intervista, ci disse che il più grande regista di tutti i tempi era Diego Maradona) a una festa dove fare pubbliche relazioni. Anche quest’anno, non vincerà. E noi verseremo una lacrima. Però vi diamo almeno una buona notizia: sta per uscire in Italia distribuito da Lucky Red, non perdetelo.

Un gioiello limpido e meraviglioso

Foglie al vento dura 81 minuti e già per questo motivo avevamo deciso prima della proiezione che fosse un capolavoro. Poi l’abbiamo visto, e confermiamo: è un gioiello. Kaurismaki fa sempre lo stesso film, ma lo fa in maniera limpida e meravigliosa. In apparenza, Foglie al vento è una storia d’amore tra due sfigati: sia lei, Ansa (Alma Pöysti), sia lui, Hoppola (Jussi Vatanen) sono persone sole, proletari che nell’arco del film perdono e cambiano 3-4 posti di lavoro, relitti della società.

Il film, a schermo ancora buio, si apre con l’inconfondibile “beep” degli oggetti che passano davanti alle casse automatiche di un supermercato. Denaro, capitalismo, consumo: la prima immagine è quella di un tizio che sta comprando una tonnellata di bistecche. Ansa lavora nel supermercato e per mangiare è costretta a “rubare” le merci appena scadute. Ma presto la beccano, e la cacciano. Hoppola è operaio in un’officina ma il vizio della bottiglia lo trascina da un licenziamento all’altro. Si conoscono in un karaoke, sembra una scena di David Lynch. L’amico di Hoppola abborda l’amica di Ansa. “Ha una bella voce per essere così vecchio”, dice lei; “Spero che migliori quando avrò cinquant’anni”, ribatte lui; “Mi sembra che il treno sia già passato”, lo fulmina lei.

Una scena di Le foglie cadute di Aki Kaurismäki

Una scena di Foglie al vento di Aki Kaurismäki

Una cagnetta randagia di nome Chaplin

Diventeranno due coppie, ma Ansa e Hoppola ci metteranno un po’. Il primo appuntamento è tragicomico: vanno al cinema a vedere I morti non muoiono, zombie-film di Jim Jarmusch. All’uscita lei, con quella faccia di pietra che hanno sempre i personaggi di Aki, dice: “Era bellissimo, non ho mai riso tanto”. Due coatti assurdi escono dal cinema commentando: “Bello, mi ha fatto pensare a Diario di un curato di campagna di Bresson”; “A me invece ha ricordato Bande à part di Godard”. Di fronte a un manifesto di Breve incontro di David Lean, Ansa dà a Hoppola il suo numero di telefono, e lui lo perde immediatamente.

Si ritrovano per caso giorni dopo, davanti allo stesso cinema, e lei lo invita a cena. Commette però l’errore di dirgli che ne ha abbastanza di ubriaconi: “Non accetto ordini”, dice lui, e se ne va. Per consolarsi, lei si porta a casa una cagnetta randagia e la battezza “Chaplin”. Nel frattempo, per tutto il film, la radio trasmette terrificanti bollettini sulla guerra in Ucraina (in Finlandia, con la Nato che incombe e i russi a due passi, il tema è caldo…) e nei bar risuonano le canzoni di Olavi Virta, il Carosone finlandese che incise nella lingua finnica anche Foglie al vento e Mambo italiano. I dialoghi sono rarissimi, ma quando ci sono, lasciano il segno per il loro umorismo lunare.

Quando Hoppola si ripulisce e corre a casa di Ansa, finisce sotto un tram; Ansa va a trovarlo all’ospedale, mentre lui è in coma, e per tenerlo allegro gli confeziona delle fake news sportive: “La Finlandia si è brillantemente qualificata per la finale dei Mondiali di calcio, dove affronterà il Brasile. I bookmakers danno la Finlandia come favorita”. Un bel giorno Hoppola si sveglia, vede Ansa e le dice: “Ti aspettavo”.

Nessuno dice “ti amo”

Solo Kaurismaki può girare una simile, tenera storia d’amore senza un bacio, senza un abbraccio, senza che gli attori “recitino”, senza che i personaggi sorridano mai (solo Ansa, nel finale, e sembra che esca il sole) né si dicano mai “ti amo”. Il film ha le atmosfere surreali di David Lynch e la laconicità di John Ford. Come Wes Anderson, Kaurismaki è un regista che riconosci dalla prima inquadratura: solo che dietro le composizioni di Anderson c’è un vuoto intellettuale, dietro le immagini di Kaurismaki c’è il calore della vita e la rabbia di un marxista vero, di un rivoluzionario alcolico che usa come arma la poesia.