Vincent Macaigne: “Quelle degli artisti sono opinioni sensibili al mondo. È inquietante se qualcuno ne rimane disturbato”

Parla l'attore francese, protagonista dell'evento di chiusura di Rendez-Vous a Roma e Palermo per presentare Ritratto di un amore di Martin Provost, dove interpreta il pittore Pierre Bonnard. Una chiacchierata sul legame tra vita e arte, sull'importanza dell'"eccezione culturale" e sul caso della mancata candidatura di Justine Triet agli Oscar. "È assurdo non averla candidata, non capisco la reazione della Francia". L'intervista di THR Roma

“Pierre Bonnard è un personaggio molto lontano da me. Lo scopo del gioco era che io mi trasformassi in lui. Anche se, ovviamente, si lavora con le proprie emozioni e con ciò che si è. Ma amo anche l’idea che essere un attore significhi interpretare qualcosa di qualcun altro”. THR Roma incontra Vincent Macaigne in un salone di Palazzo Farnese, sede dell’ambasciata di Francia nella capitale. L’attore è il protagonista dell’evento di chiusura della XIV edizione del Rendez-Vous, il festival del cinema francese, e dopo essere stato protagonista di un focus al Cinema Nuovo Sacher sarà a Palermo il 4 maggio, al Cinema Rouge et Noir, per accompagnare Ritratto di un amore.

La pellicola, diretta da Martin Provost in sala dal 16 maggio con I Wonder Pictures, in cui interpreta il celebre pittore Pierre Bonnard e in cui si racconta del rapporto profondo e complesso con la musa e pittrice Marthe Bonnard interpretata da Cécile de France. “L’avrà dipinta 2.000/3.000 volte. Ma ciò che è davvero strano, e che credo abbia motivato il film di Martin, è che non riuscì mai a coglierle il suo volto. Anzi, spesso le graffiava il viso. Era qualcosa che non riusciva a ritrarre”.

Vincent Macaigne in una scena di Ritratto di un amore

Vincent Macaigne in una scena di Ritratto di un amore di Martin Provost

Ritratto di un amore, tra i tanti temi che tocca, si sofferma sul legame tra vita e arte. Anche lei, come il suo personaggio, non riesce a separare queste due realtà o, nel corso degli anni, ha trovato un equilibrio?

È complicato, perché nel film vediamo i legami tra la vita e la pittura di Bonnard e alcuni dipinti. Credo sia stato prima di tutto un grande colorista. Era una specie di artista grafico, prima del tempo. Lo si vede nella sua pittura. Era molto ispirato dall’arte giapponese, dalle stampe. E quando ha incontrato Marthe ha iniziato a dipingere quadri della sua vita quotidiana. Ma non direi che tutto è completamente collegato, per quanto mi riguarda. Nel caso di Bonnard, invece, parte dalla sua vita per dipingere. E la cosa bella è che il film ci aiuta a capire meglio questi quadri. Ma è anche vero che c’è qualcosa di completamente trasfigurato nel modo in cui dipinge, che è piuttosto sublime. In effetti, Bonnard poteva iniziare o avere l’idea di un quadro più perché aveva trovato un colore rispetto al fatto che voleva dipingere un soggetto.

Nel film vediamo Pierre Bonnard avere a che fare con chi lo osanna e chi lo critica ferocemente per i suoi dipinti. Lei da attore come si pone riguardo al giudizio del suo lavoro?

Dipende. Stranamente, le recensioni – e parlo di quelle più interessanti come artista – non sono vere e proprie recensioni, ma una sorta di riflessioni su un film o un’opera teatrale. E questo mi ha aiutato molto. Per un artista, ciò che è più interessante è cercare di capire cosa produce il suo lavoro. E, a volte, le critiche possono davvero aiutare a capirlo. Ma questo quando i critici sono essi stessi pensatori e producono un “oggetto”.

È come nella vita, come se qualcuno fosse generoso con il suo sguardo, offrendo una sorta di complessità. È allora che le cose si fanno davvero interessanti. Non so se è davvero quello che il pubblico si aspetta. Oggi ho l’impressione che sia meno interessato a questo tipo di critica. Ma so che nelle riviste specializzate di teatro – sono anche un regista teatrale – o nei Cahiers du cinéma, a volte si tratta di più di una semplice critica. È qualcosa che ti aiuta davvero a capire quello che stai facendo.

Vincent Macaigne e Cécile de France in una scena di Ritratto di un amore

Vincent Macaigne e Cécile de France in una scena di Ritratto di un amore di Martin Provost

In passato ha collaborato con Justin Triet ne La Bataille de Solférino. Lo scorso anno a Cannes la regista ha pronunciato un discorso di accettazione per la Palma d’oro che, secondo alcuni, le avrebbe precluso la possibilità di essere candidata dalla Francia agli Oscar come miglior film straniero. Lei di quel discorso condivide il contenuto o pensa che forse poteva essere fatto diversamente?

Non sono sicuro che sia stato il discorso a impedirle di andare agli Oscar. È una competizione, si tratta di voti. Trần Anh Hùng è un grande regista (candidato con il suo Il gusto delle cose a rappresentare la Francia agli Academy Awards, ndr) e ama molto Justine. Li conosco entrambi. Non è un bello scontro tra artisti. E poi è stato un disastro perché ha reso il film di Trần Anh Hùng molto impopolare in Francia. Ma è vero che è assolutamente stupido che Justine Triet non sia stata candidata all’Oscar. Alla fine è stato un bene, perché sarebbe stata candidata come miglior film straniero e, potenzialmente, non avrebbe ricevuto nessun’altra candidatura.

Cosa pensa del suo discorso, quindi?

Ho trovato molto forte il coinvolgimento dello Stato francese. Nessuno si è scandalizzato, ma io l’ho trovato piuttosto scioccante. Quando sei un artista non sei necessariamente associato a un paese. A differenza di prima, in cui c’era una politica eccezionale di aiuto agli artisti, ora la Francia decide di aiutarli sempre meno. È qualcosa che stiamo perdendo poco a poco. E se nessuno ne parla, lo perderemo completamente. Triet ha ricevuto un premio. Non ho trovato il suo discorso così scioccante. Penso, in realtà, che abbia ringraziato la Francia per averla aiutata. Non credo abbia messo in dubbio il sistema di sostegno culturale. Ha solo detto: “Attenzione, stiamo perdendo questa cosa eccezionale che costituisce l’eccezione culturale”.

E continuiamo a sentire parlare dell’eccezione culturale francese tutto il giorno. Non siamo in un periodo, e su questo ha ragione in relazione alla cultura, in cui ci teniamo quello che abbiamo. Piuttosto siamo invece in un periodo in cui la Francia sta perdendo le sue conquiste sociali. Forse siamo bambini viziati e, rispetto a tutti gli altri paesi d’Europa e del mondo, è del tutto irrealistico mantenerli, ma questo è un altro argomento.

Vincent Macaigne e Cécile de France in una scena di Ritratto di un amore di Martin Provost

Vincent Macaigne e Cécile de France in una scena di Ritratto di un amore di Martin Provost

Quindi pensa che abbia fatto bene ad esprimersi in quel modo?

Lei è un’artista. La sua vita è arte. Si batte per questo. Alla fine stava raccontando la sua storia. E il fatto che il racconto di un artista della sua storia non corrisponde all’ideologia o al desiderio di un governo che, al contrario, ne è disturbato, lo trovo piuttosto inquietante. È compito del governo avere un’opinione su ciò che un artista dice o meno? Oggi l’artista non si trova più nella stessa posizione. È un bene o un male? Non credo sia un bene. Perché credo che il bello degli artisti sia che possono prendere posizione in modo un po’ sciocco, a volte.

Non necessariamente con intelligenza, ma con sensibilità. Le opinioni degli artisti sono opinioni sensibili al mondo. Non sono costruite. Non abbiamo studiato, non siamo andati a Sciences-Po (autorevole università parigina, ndr). È la stessa domanda per Bonnard. “Stai cercando di tradurre qualcosa che senti come artista? È giusto esprimerlo a tutti?”. Cerco di non parlare troppo di politica nelle mie interviste, perché sento che non è il mio posto. Ma francamente, posso capire perché Justine l’abbia fatto e capisco meno la reazione del governo.