“Ci sono così tante parole simili. Dovrei impararne qualcuna, l’italiano è una lingua così bella”. L’intervista di THR Roma con Martin Provost inizia confrontando i rispettivi idiomi. Che in qualche modo sono il filo rosso che lega due parti della vita di Pierre e Marthe Bonnard, i protagonisti del suo ultimo film, Ritratto di un amore, titolo di apertura della XIV edizione di Rendez-Vous, il festival dedicato al cinema francese. La pellicola, già presentata a Cannes Première 2023 arriverà nei cinema italiani dal 16 maggio distribuita da I Wonder Pictures in collaborazione con Unipol Biografilm Collection.
La storia di una passione travolgente tra il pittore francese post-impressionista Pierre Bonnard (Vincent Macaigne) e Marthe de Méligny (Cécile de France). Lui credeva di aver incontrato una modella disposta a posare per lui. Ma quello che troverà in lei sarà una musa e l’amore di un’intera esistenza. Un legame messo alla prova dalla relazione tra l’artista e la giovane Renée Monchaty (Stacy Martin) che porterà Marthe ad impugnare il pennello e diventare pittrice lei stessa. Un film nato grazie alla volontà della pronipote di Marthe, Pierrette Vernon, di rendere giustizia alla memoria di un’artista troppo frettolosamente dimenticata dalla storia.
Che tipo di ricerca ha fatto per ricostruire la figura di Marthe Bonnard?
Oh, ho studiato così tanto che ora non lo so più (ride, ndr). Ho letto tantissimo. Françoise Cloarec ha scritto un libro intitolato L’indolente, le mystère Marthe Bonnard. L’ho fatto conoscere a Pierrette, la pronipote di Marthe. Quando l’ho incontrata non volevo fare un altro film sulla pittura perché avevo già fatto Séraphine. È stato come fare un lungo viaggio che mi ha portato a questo film. Ci sono parecchi libri sulla storia di Pierre Bonnard dove si parla molto di Marthe.
Ad esempio, un libricino molto bello di un poeta belga, Guy Goffet, intitolato Elle, par bonheur, et toujours nue. Ma ho letto così tanto che alcune cose non le ricordo più. A volte scrivo subito i dialoghi, creo le carte e ho una specie di grande puzzle in cui cerco di mettere insieme il tutto in modo che regga, trovando abbastanza libertà pur rispettando i fatti storici. Ed è quello che ho fatto.
Che tipo di libertà si è concesso?
Pierre è venuto con Renée a Roma. Lei aveva origini italiane, le stesse che millantava Marthe. Dopo che Pierre la lascia, si suicida a Parigi e non a Roma come lascio intendere nel film. Ho chiamato Françoise, la mia consulente storica, e le ho detto: “Ho letto che Renée si era sparata in testa. Trovo difficile immaginare che una donna così giovane possa suicidarsi in quel modo”. E lei mi ha risposto: “Sono sicura che non sia morta così. Penso si sia uccisa nella sua vasca da bagno”.
E così ho detto: “Va bene. Mi prendo questa libertà. Anche se tutti dopo verranno a cercarmi, non mi interessa”. Tempo dopo ne ho parlato con Véronique Serrano, curatrice del Musée Bonnard du Canne. Le racconto di questa mia scelta e le mi dice: “Martin, non ti sei preso nessuna libertà. Siamo quasi certi che Renée si sia suicidata nella sua vasca da bagno”. Forse la storia così come è stata scritta, è stata scritta dagli uomini. Che sono creature fallibili.
Ci sono altri episodi simili che credeva fossero licenze e si sono rivelate verità?
Del famoso quadro che fu dipinto a Roma, Piazza del Popolo, nel film dico che scomparve misteriosamente e che riapparve molto tempo dopo. Beh, l’ho completamente inventato. Mi ritrovo a discutere, questa volta con Cyrille Sciama, curatore del museo di Giverny e grande specialista si Bonnard. Gli racconto di essermi preso questa grande libertà. E lui: “No, per niente. Il dipinto scomparve per quasi trent’anni anni e riapparve molto tempo dopo. Non sappiamo cosa gli sia successo. Ma senza dubbio si era perso in Italia”.
Ciò che è interessante è che attraverso una creazione come un film possiamo avvicinarci alla verità che va oltre qualsiasi cosa possiamo scrivere o immaginare quando siamo degli esperti. Rivendico con modestia la mia piccola parte nella storia dell’arte attorno all’opera di Bonnard (ride, ndr).
In una sequenza mostra Pierre Bonnard esporre i suoi dipinti ed esporsi a giudizi molto contrastanti. Lei che rapporto ha con la critica?
Molto particolare. Lo devo a Virginia Woolf. Una volta lessi che non si preoccupava mai delle critiche. Non ha letto nessuna recensione delle sue opere. E io faccio esattamente la stessa cosa. Quando esce un mio film, mi metto in una bolla. Non leggo niente. Chiedo all’addetto stampa di non dirmi nulla, perché è molto difficile per un regista mostrare il proprio lavoro. È come se mostrassi il mio bambino. E così, almeno per diversi mesi, ignoro tutto. Poi leggo qualcosa, perché nella critica c’è sempre un elemento che può farti evolvere. Questo quando è intelligente. Quando si tratta di un massacro, mi dico: “Oh mio Dio. Beh, forse me lo merito. O forse no”.
Ma la distruzione non è vantaggiosa. Non aiuta i cineasti ad andare avanti, a meno che non abbiano commesso davvero qualcosa di terribile. Vedo giovani registi che realizzano il loro primo film e non si divertono. Sono spaventato dalla brutalità di questi commenti, perché sono persone in divenire. Dobbiamo incoraggiarli, aiutarli, sostenerli. E abbiamo il diritto di commettere errori. Trovo che, a volte, la critica non misuri il potere che ha sulla vita di un essere umano che ha coraggio. Perché non è facile fare film, scrivere o dipingere. E spesso non ne tengono conto.
C’è un’altra scena molto importante in cui Pierre e Renée si trovano davanti ad un quadro di Caravaggio, San Matteo e l’angelo. E lei afferma che: “Era un uomo violento, un assassino. Ma non si raggiungono vette se non si rischia”.
E Pierre risponde: “Mi piacerebbe uccidere qualcuno per dipingere un capolavoro del genere”. Perché si sente totalmente incapace di farlo. Pierre, credo, fosse un essere buono per natura. Mentre Picasso era più complesso. Ha distrutto le donne che hanno attraversato la sua vita. Bonnard, no. É rimasto con Marthe. Anche se questo ha portato al suicidio di Renée. Ha affrontato questo problema e la sua pittura è cresciuta. È da lì che dipingerà tutte le tele nella vasca da bagno. Dei capolavori.
Si tratta di dipinti che si ispirano alla storia di Renée e che costituiranno l’apice della sua opera. È un momento molto importante nel film, perché davanti all’opera di Caravaggio, Renée fa capire a Bonnard che ha qualcosa da superare e da capire. Ma quello che non sa è che sarà lei a perdere. E questa è la stranezza della vita. A volte vediamo molto chiaramente per gli altri cosa sono, cosa possono diventare. E spetta a noi fare il sacrificio. Credo Renée sia stata un’entità molto adulta nella vita di Pierre e che il suo suicidio gli abbia permesso di crescere.
Marthe si domanda perché siano sempre le donne ad essere ritratte. “Perché sono gli uomini a dipingere”, risponde Pierre. Lei nella sua carriera ha dedicato molto spazio al femminile. Perché?
Perché il modo in cui gli uomini vedono le donne è stato terribile per secoli e secoli. Quello scambio l’ho inventato. Durante tutta la mia infanzia, ho sentito mio padre parlare in un certo modo a mia madre. Era autoritario, un ufficiale di marina. Incarnava davvero la legge di come doveva essere un padre all’epoca. Ebbene, mi dico che non è possibile, che l’amore non è questo.
Che mia madre fosse così obbediente, non poteva essere amore. È un mondo, per fortuna, che sta cambiando completamente in Occidente. Ed è importante che mostri nel film che a quel tempo, invece, fosse così.
Crede che i pittori siano stati i primi registi della storia?
I primi non lo so, anche le testimonianze artistiche scritte sono ugualmente importanti. L’atto creativo, ogni volta, lascia qualcosa di un’epoca. Circoscrivere solo la pittura, sarebbe troppo riduttivo. Ma è l’arte di vedere che ci permette di trasmettere un amore, un senso di bellezza, un approccio metafisico al mondo. E questo è il ruolo del creatore, che sia un pittore, uno scrittore, un regista o un artista visivo. Ci sono molti modi per farlo.
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