La prima volta di Emilia Mazzacurati: “Con Billy racconto la vitalità disperata di una generazione”

"Un ritorno alla vita raccontata attraverso un'esperienza di morte". I tratti autobiografici, un mix di epoche diverse, i riferimenti alle opere di Edward Hopper e Luigi Ghirri, la provincia e il senso di spaesamento nel film d'esordio della giovane regista. L'intervista con THR Roma

“Mi devo ancora riprendere, psicologicamente sono k.o.”. Emilia Mazzacurati, classe ’95, scoppia in una risata quando le chiediamo cosa si porta dietro dalla sua prima esperienza alla regia di un lungometraggio, Billy, da domani in sala.

La storia di un ex bambino prodigio (Matteo Oscar Giuggioli) che a 9 anni ha inventato e condotto un podcast di musica di successo e che oggi vive con l’eccentrica madre Regina (Carla Signoris). Segretamente innamorato di una sua vicina di casa, il ragazzo frequenta solo bambini e non sa cosa fare della sua vita. Finché non incontra il suo idolo d’infanzia, Zippo (Alessandro Gassmann), un rocker scomparso da anni…

Un film quello di Emilia Mazzacurati che parla di assenze e di come reagiamo ad esse. Una storia di ragazzi più posati degli adulti e “di ritorno alla vita raccontata attraverso un’esperienza di morte”. Un film dai contorni autobiografici – suo padre, il regista Carlo Mazzacurati è scomparso nel 2014 – ma che finisce per abbracciare un’intera generazione e un paese, l’Italia, “costantemente a un passo dal precipizio ma che non si arrenderà mai”.

Emilia Mazzacurati

Emilia Mazzacurati

Da dove nasce questa storia?

Nasce dai personaggi come primo piccolo nucleo, da Billy e la sua mamma. Da un rapporto all’inverso tra una madre bambina e un figlio quasi papà, o comunque adulto. E poi c’è il microcosmo in cui è ambienta la storia che ha lo spessore di un personaggio. Quello che mi interessava raccontare con il protagonista, è proprio questo. Un senso di spaesamento che si ha – e che percepisco anche osservando i miei coetanei – nel momento tra il liceo e l’università. Un momento che vivono tutte le generazioni, ma credo questa particolarmente. E in questo senso mi interessava raccontare di qualcuno che aveva saltato a piè pari l’adolescenza. Per lui è una fase abbastanza oscura.

Nel film si avverte un parallelo tra la provincia italiana e quella americana.

Il ragionamento sull’ambientazione parte anche dal fatto che credo che un certo tipo di provincia occidentale sia abbastanza simile in tanti posti. Oltre al Friuli, abbiamo girato anche un po’ in Veneto e ci sono delle assurdità di provincia come la pillola gigante che è sopra la farmacia dei nonni, piuttosto che delle insegne bizzarre. Oppure il quartiere in cui vive Billy che abbiamo trovato, praticamente perfetto, in Friuli. Uno di quelli delle famiglie benestanti degli anni Novanta che oggi quasi fanno fatica a mantenere.

E le influenze artistiche?

C’è un mix di pittura con Edward Hopper, di fotografia con Luigi Ghiri e di cinema. Mi sono ispirata a dei coming of age degli anni Ottanta come Stand By Me, oppure andando ancora un po’ prima ad American Graffiti. Se, invece, penso a film più recenti a Boyhood di Richard Linklater.

Alessandro Gassmann e Oscar Matteo Giuggioli in una scena di Billy di Emilia Mazzacurati

Alessandro Gassmann e Oscar Matteo Giuggioli in una scena di Billy di Emilia Mazzacurati. Parthénos

Il titolo del film di riferisce al protagonista ma Billy è anche un racconto corale. Nella scrittura era qualcosa che avevi in mente fin da subito?

Mentre scrivo vado a periodi. Nel senso che magari scrivo poco e penso molto e viceversa. È a ondate. Poi nella scrittura, essendo partita proprio dai personaggi, ho cercato di farmi guidare da loro. Ho cercato di pensarli, costruirli e poi raccontarli agli attori come se fossero delle persone vere. Gli ho raccontato anche cose che non succedono nel film per poterli conoscere meglio. Ho provato, a volte, a procedere nella storia senza sapere io stessa cosa sarebbe successo ma cercando di scoprirlo insieme a loro in modo da non perdersi delle emozioni che potevano provare e, al tempo stesso, cercando di non saperne troppo di più di loro. Il mio intento – e spero di esserci riuscita – era che ognuno avesse un proprio arco personale, che non venisse abbandonato o che nessun personaggio fosse funzionale ad un altro e basta. Volevo che ognuno avesse il suo spessore, il suo background. In questa storia è come se ognuno fosse rinchiuso in una propria bolla di sapone e piano piano ci mettessero tutti un po’ di tempo per avvicinarsi e unirsi in un’unica bolla più grande.

Come credi ti abbia formato questa esperienza?

Mi devo ancora riprendere, psicologicamente sono k.o. (ride, ndr). Però, al di là di questo, è difficilissimo il passaggio dalla tua camera alla realtà con le altre persone. Ogni giorno ero sicura che tutti quelli che erano intorno a me ne sapessero di più. Ero la più piccola, a parte i bambini. Io il film l’avevo già visto come spettatrice nella mia testa. Questa era la cosa che mi differenziava e quindi dovevo cercare di essere fedele a questa cosa qui il più possibile. È stato un equilibrio complicato. È quasi lo stesso sforzo di quando ti svegli e ti sei dimenticato un bel sogno che hai fatto e cerchi di fartelo tornare in mente. Quindi tutto il giorno mentalmente fai questo sforzo e poi, allo stesso tempo, cerchi di mettere le persone che lavorano attorno a te nelle condizioni migliori per poter esprimere una vera visione artistica e creativa. È un continuo scambio.

Gassmann, Signoris, Battiston. Un cast importante. Com’è andata?

Credo che la loro direzione da parte mia fosse iniziata e si sia ampliata già dalla scrittura. Ho cercato di fargli conoscere al meglio questi personaggi in modo che poi sul set avessero anche modo di improvvisare piuttosto che di sentirsi a proprio agio anche nei costumi. Abbiamo fatto una grande ricerca nello scegliere le camere da letto, la macchina o la casa di ognuno che li rispecchiasse al meglio, per far sì che potessero poi restituire le emozioni dei personaggi. Il fatto che Alessandro Gassmann, Carla Signoris o Matteo Oscar Giuggioli, che non conoscevo, si siano fidati in questo modo forse è stata una delle cose più belle.

I giovani protagonisti di Billy sembrano più posati degli adulti. È qualcosa che avverti anche nella realtà?

In questo film ci sono varie epoche all’interno, sia nella scenografia sia nei costumi, sia moltissimo anche nelle musiche. Questi ragazzi hanno una sorta di nostalgia di epoche che non hanno nemmeno vissuto in prima persona. Billy ed Elena hanno uno stesso malessere, uno interiorizzato ed uno esteriorizzato. Credo che ogni generazione voglia dire la sua. Anche io facendo questo lavoro, una delle difficoltà più grosse che ho incontrato, è proprio l’essere presa sul serio.

Carla Signoris e Giuseppe Battiston in una scena di Billy di Emilia Mazzacurati. Parthénos

Carla Signoris e Giuseppe Battiston in una scena di Billy di Emilia Mazzacurati. Parthénos

Billy parla anche di assenze e del mondo in cui si decide di affrontare un dolore. È qualcosa di autobiografico?

È pieno di sentimenti autobiografici nascosti magari in un racconto di finzione. È come quando un attore quando deve portare sofferenza sul palco, cerca dentro di sé un’esperienza dolorosa, personale. Più o meno cerco di fare lo stesso quando scrivo perché il dolore o il sentimento che si vuole portare deve trovare la sua strada all’interno della storia altrimenti non ha senso. Sicuramente di Billy e il suo salto dall’infanzia alla maturità credo che sia abbastanza simile a quello che è successo a me. Oppure anche un certo tipo di ironia. Poi ovviamente dentro ogni personaggio ci sono delle cose che mi appartengono. Però sì, in questa difficoltà di crescita per essere stati già dei bambini molto adulti, mi riconosco.

Nel presentare il tuo film hai detto che “L’Italia è un paese costantemente a un passo dal precipizio, ma che non si arrenderà mai”. Nonostante tutto mi sembra un messaggio di speranza. Lo stesso che racchiude Billy.

Niente sarà mai perfetto. Nel film lo simboleggia la luna a cui manca un pezzettino per essere piena. Però, in qualche modo, in questa storia forse i personaggi trovano la strada per farcela. Nel film c’è un mix di epoche, una specie di déjà vu continuo di una memoria interna, per esprimere un equilibrio molto precario di questa contemporaneità. Però allo stesso tempo racchiude dentro di sé una vitalità. È un ritorno alla vita raccontata attraverso un’esperienza di morte. È la parabola di questo film, una vitalità che questi ragazzi hanno dentro di sé nonostante tutto. La speranza di una generazione che ha dentro di sé più di quello che si crede. Una certa caratteristica anche di questo Paese.