Questa intervista a Valentina Nappi è pubblicata nell’edizione cartacea di The Hollywood Reporter Roma, Corpo Libero.
“Sono il volto più importante della storia del porno italiano. Penso di poterlo dire tranquillamente. Poi magari arriverà qualcuno che mi supererà. Ma per ora vi dovete accontentare di me”. Valentina Nappi è dall’altra parte del mondo, a Los Angeles sul set di un film hard. “Sono dieci anni che faccio avanti e indietro”, spiega l’attrice, classe 1990, nelle otto ore di fuso che ci dividono. “Non sono qui per soldi, ma per la gloria”.
Onesta, a tratti spigolosa, Nappi è protagonista al fianco di Diana Del Bufalo in Pensati sexy, una produzione Fabula Pictures disponibile su Prime Video diretta da Michela Andreozzi. Nel film interpreta un angelo custode sui generis che accompagnerà la protagonista alla scoperta delle sue potenzialità come donna e scrittrice.
Valentina Nappi, ha mai sentito di non avere il controllo sul suo corpo sul set?
No. Anzi mi sento forse più proprietaria del mio corpo sul set che fuori dal set. Per me una delle cose più interessanti di fare porno è il fatto che, a volte, non sono io a decidere cosa fare. E questo lo rende estremamente stimolante. Perché nel momento in cui, in un contesto di consenso, un regista sceglie per me è un po’ come andare in un ristorante e avere lo chef che ti propone cosa mangiare. Sul set ho sperimentato delle esperienze sessuali che altrimenti non avrei mai fatto.
Crede che la sincerità con la quale si racconta e vive la sessualità possa essere d’esempio per altre donne?
Sì. Anche tutto il progetto di Pensati sexy è basato su questo. Sul fatto che mi sono sempre raccontata onestamente. Soprattutto come donna. E questo ha ispirato altre a sentirsi più libere. Mi sento estremamente fiera di questa cosa. A me non frega nulla di quello che pensano gli altri, di chi non dà giudizi intelligenti. E quindi mi prendo le mie libertà.
Ha dovuto lavorare su questa libertà dal giudizio altrui?
No, sono stata naturally gifted (ride, ndr).
Ha dichiarato che “il porno è sempre politica”. In che modo?
È ancora bannato nella maggioranza dei Paesi del mondo. E già questo la dice lunga. È uno dei temi caldi che descrive la natura umana, nel bene e nel male. Il revenge porn, ad esempio, non lo fanno quelli che pubblicano i video senza permesso ma coloro che rendono la vita impossibile a delle ragazze perché qualcuno ha postato delle loro immagini in atteggiamenti intimi. Il revenge porn è contro chi è considerata una puttana agli occhi della società perché pratica sesso e si sa. Già soltanto per questo fare porno – e quindi dire: “Faccio sesso liberamente con chi mi pare, mi diverto e non me ne vergogno” – è un atto politico.
Com’è cambiato il suo lavoro con l’arrivo di OnlyFans?
Non ho mai visto tanti soldi come ora. Ma su OnlyFans si tratta per lo più di porno amatoriale, nulla che abbia a che fare con la carriera nel settore. In realtà le persone che guadagnano di più sulla piattaforma non fanno proprio porno. Mostrano il “piedino” ma non avanzano nell’industria.
Crede che realtà come OnlyFans abbiano messo in crisi l’industria del porno?
Senza dati la mano, direi che adesso, grazie alla pandemia e al fatto che gli utenti si sono abituati a pagare con le carte di credito, i volumi sono incrementati. Ma magari qualcuno ci ha perso, perché OnlyFans ha mangiato una fetta di mercato che prima era soddisfatta da altro porno amatoriale. Però, per dirle, la casa di produzione di un film che sto girando ha affittato una location da 25 milioni di dollari. Non ho mai visto una cosa del genere in dodici anni di carriera. Se c’è chi può permettersi di coprire questi costi, significa che ci sono più soldi che girano.
Ha intenzione di passare dietro la macchina da presa e iniziare a produrre?
Per ora sono più intenzionata a far crescere il mio personaggio, ma dovrei iniziare a breve anche a produrre. Piano piano vorrei realizzare i sogni e le fantasie che ho da dodici anni. Cioè, il porno come lo vedo io.
E com’è il porno visto da Valentina Nappi?
Nel 2022 mi sono fatta annusare dal pubblico al Contemporary Art Museum di Casoria. Mi piace l’idea di contaminare l’arte col porno e viceversa. E quindi di ampliare la possibilità delle sensazioni che si possono provare. Intendo il porno come un’eccitazione astratta. Nel senso che per me il porno vero è il gonzo, cioè quello in cui non c’è una
storia. Ci sono due o più attori che semplicemente danno il massimo sessualmente.
Ha subito discriminazioni sul set?
No. Mi sono sempre sentita apprezzata, amata.
Anche a livello economico?
A parte il proprietario di OnlyFans, un uomo, la persona che guadagna di più sulla piattaforma è una modella, così come la star del porno negli Stati Uniti è Angela White. Per il resto gli attori maschi sono quelli che se la passano peggio. Nei pagamenti a scena guadagnano più le donne. È vero che c’è bisogno del pisello. Però quello che vende la scena è l’attrice. Perché per performare in un certo modo l’uomo deve lavorare. E l’uomo lavora sessualmente solo se è pagato o se è innamorato e sente di dover dimostrare qualcosa. In tutti gli altri casi lo fa lento. Sborra, arrivederci e grazie.
Qual è la sua opinione sul porno femminista?
Ha reso il porno estremamente vanilla (tradizionale, ndr). A noi del settore non piace. Il porno non è il sesso che si pratica a casa. Noi ci facciamo sbattere a 300 km all’ora, ci lasciamo prendere per i capelli e poi girare come delle trottole. È più agli uomini, in realtà, che piace farlo lento.
La violenza nel porno come la vive?
Non mi piace il dolore. Per niente. Non ho mai girato per i siti più estremi di kink (pratiche e subculture sessuali, ndr). Al massimo ho fatto scene con sex machine e per un sito dedicato all’anale. Ma tutto quello che è bondage non è per me. Però a molte colleghe piace semplicemente perché, nel momento in cui si gode, per loro non è violenza. Penso che le donne si annoino con il porno vanilla.
Cicciolina, quando fu eletta in Parlamento propose l’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole. È d’accordo?
Direi sì. Ma soltanto se fatta bene. Un po’ di anatomia, nozioni banali di consenso o come tutelarsi dalle malattie sessualmente trasmissibili. Probabilmente se ci fosse stata educazione sessuale a scuola non avremmo avuto nemmeno i No Vax. Perché nel momento in cui sai come funzionano i virus e i batteri hai un’idea generale anche di come funzionano i vaccini. Poi però se cominciamo a metterci altre nozioni di finta morale direi di no. Terrei fuori il femminismo, per esempio.
Cosa risponde a chi afferma che il porno produce un’idea distorta del sesso tra gli adolescenti?
La mia generazione è cresciuta vedendo porno. E io questi problemi non li ho avuti. Ho conosciuto qualche deficiente che magari pensava che, solo per il lavoro che faccio, potesse esagerare. Avremmo bisogno di studi e dati alla mano. Ma in genere si tende a ingigantire queste cose. Conviene sempre parlare male di porno e di sesso in generale.
Perché conviene?
È un fatto d’istinto perché l’ideale per l’essere umano medio è avere una persona fedele e poi poter essere sessualmente libero. A tutti piace dare questa immagine di sé come casti, fedeli, affidabili. Anche se poi in realtà non lo sono. Ci sono anche degli stereotipi scientifici vecchi. Fino agli anni Novanta ninfomani e gay erano nello stesso libro dei malati mentali.
Che ne pensa di film come Pleasure che raccontano il mondo dell’hard?
È un film di merda. Una noia mortale. Non so i miei colleghi come si siano prestati – forse per soldi – a quello scempio. Non è accurato né originale nel raccontare il settore. E rafforza stupidi stereotipi.
Si parla spesso di cultura dello stupro. Per lei in cosa consiste?
Bazzicando su TikTok vedo fenomeni come Andrew Tate che esalta la castità femminile. Prende nozioni di psicologia evoluzionistica e come un nazista le piega per dire quello che vuole lui. E quindi se l’uomo tradisce è semplicemente per venire, se lo fa la donna è un abominio. Questo necessariamente divide le donne in mogli e puttane. Secondo me questa è la cultura dello stupro: la femmina non è proprietaria del proprio corpo. Lo è soltanto se diventa “compagna di”. Tutto gira intorno a quanti falli ha preso o non ha preso. E questo la rende automaticamente un oggetto.
L’uso del corpo attraverso il porno è per lei una forma di rivendicazione di libertà?
Assolutamente sì. Non avrei nessun altro modo di esplorare la mia sessualità in questo modo se non attraverso il porno. Mi fanno ridere quando a volte mi dicono: “Alla fine tu fai quello che facciamo noi in privato. Solo che monetizzi”. Non è così. In privato non si potrebbero fare le stesse cose. A volte, come le dicevo, non decido io. E per me questa è una maggiore libertà.
Quando si è avvicinata al mondo del porno da spettatrice?
Verso i dodici anni guardavo gli Hentai, i film d’animazione giapponese porno. Mi faceva schifo vedere gli esseri umani far sesso. Non so se avesse a che fare con la pubertà o magari era semplicemente un condizionamento culturale. Piano piano ho cominciato a guardare porno vero e proprio. Verso i 19 anni, all’università, studiavo moda, ma non era la mia strada. Trovavo più interessante fare porno. E quindi ho scelto.
In questi anni anche il linguaggio, con l’uso dei pronomi, è diventato inclusivo. Eppure, anche chi si dichiara asessuale, alla fine, parla di sesso.
Da un lato siamo una società sessuofobica e dall’altra ne siamo ossessionati. La nostra identità ha a che fare con il sesso e quindi con quello che abbiamo o non abbiamo tra le gambe. Appoggio assolutamente chi lotta per i diritti LGBTQIA+, però allo stesso tempo trovo mortificante il fatto che siamo ancora a questo punto.
Stiamo vivendo una realtà in divenire.
E questo è un bene. È una cosa nuova, un tema che prima era chiuso, un tabù. Spero che in futuro arriveremo al punto in cui la nostra identità sessuale non sarà più importante. E quindi non gliene fregherà più niente a nessuno se sei un uomo o una donna. Per ora ci dobbiamo accontentare della lotta sui pronomi.
Che rapporto ha con il suo corpo?
L’ho dedicato al mio lavoro. Qui a Los Angeles, dato che giro per la maggior parte dei giorni, mi sveglio alle 5 di mattina e vado sul set. Ma anche quando non giro mi alzo comunque all’alba per andare in palestra. Lavoro con la mia immagine.
Viviamo nell’era della body positivity. Ma è veramente così?
Secondo me il messaggio è che dovremmo essere felici e godere della nostra sessualità indipendentemente dal corpo che abbiamo. E che nessuno deve permettersi di offendere gli altri semplicemente per il peso o l’altezza che hanno. Che è una cosa ben diversa però dal non rendersi conto che siamo continuamente selezionati sessualmente, anche se ci rifiutiamo, anche se si è asessuati. Chi è considerato più attraente ha dei vantaggi su chi non lo è. Questa è la verità. Ovviamente per me è un’altra storia, il mio lavoro consiste nel far eccitare gli altri e quindi devo rispettare tutta una serie di canoni estetici. Da un lato è una rottura di scatole, dall’altro è un privilegio. Io sono fiera di dedicare il mio corpo al mio lavoro.
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