Micaela Ramazzotti: “Roma è una magnifica donna piena di cicatrici. E la felicità è il demone del buon spirito che mi accompagna”

Il viaggio dell’attrice, neo-regista di “Felicità”, dalla periferia sud fino al cuore storico della Capitale. “Sono cresciuta vicino al mare e quando voglio consolarmi ritorno lì. Questa è una città tremenda, molto faticosa, difficile ma piena di bellezza". L'intervista con THR Roma

Questa intervista a Micaela Ramazzotti è pubblicata nell’edizione cartacea di The Hollywood Reporter Roma, Numero 1, in cui i protagonisti della 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma raccontano la loro Roma e i loro luoghi del cuore. Micaela Ramazzotti è stata presente alla Festa del Cinema nel film Una madre di Stefano Chiantini.

Una ragazza su un autobus. Il 709, la linea che dall’Axa, quartiere di Roma tra Casal Palocco e l’Infernetto, poco prima del mare di Ostia, arriva all’Eur per aprire ai collegamenti verso il cuore storico della capitale. Guarda fuori dal finestrino, Micaela Ramazzotti, a sedici anni, osserva i 29 chilometri che separano casa sua dalla scuola. “Ho sempre voluto studiare nel centro della città. C’era il cinema, che io ho sempre amato, c’era tutto”. E anche il cinema è andato da lei. Carlo Verdone, i Manetti Bros. e Zora la vampira. Poi: Tutta la vita davanti, La prima cosa bella, Posti in piedi in paradiso, La pazza gioia e Gli anni più belli. E ora l’esordio alla regia, con Felicità, vincitore del Premio Spettatori nella sezione Orizzonti di Venezia 80. “Il premio l’ho dedicato a chi sta vivendo un momento difficile. L’infelicità può durare a lungo, ma bisogna lottare sempre per la felicità”.

Lei ha lottato per la sua felicità?

Sì. La felicità è una parola che ci vuole bene. Una parola bella che ti coinvolge. Io ho un tatuaggio del termine greco per felicità, eudaimonia. Mi piace pensare alla felicità come un demone del buon spirito che mi accompagna.

Come uno scopo nella vita?

Sì, un traguardo ma non un punto di arrivo. Nel mio film parlo di un treno da prendere. E la felicità è così, come salire su un treno e riuscire a non deragliare, ad andare dritto, a resistere agli intoppi della vita.

Micaela Ramazzotti e Sergio Rubini in una scena di Felicità

Micaela Ramazzotti e Sergio Rubini in una scena di Felicità

Ha a che fare anche con il dolore?

L’ombra dell’infelicità c’è sempre, perché siamo bombardati da esperienze negative, dalle cose che ci accadono, dai momenti in cui cambiamo umore durante la giornata. Per questo l’impegno è molto importante, perché l’ombra ci mette un attimo ad allungarsi. Anche la felicità può fare impazzire però.

Come?

Perché ne vogliamo troppa. E poi si finisce per andare troppo lontano. Invece bisogna rimanere fedeli a sé stessi e sempre con i piedi per terra.

Nel film Felicità mostra abusi di diversi tipi e in diversi luoghi.

Non serve vivere nelle periferie per vivere dei rapporti disfunzionali. Non a caso ho messo in scena una famiglia tossica al di fuori della grande città di Roma, a Fiumicino, e una relazione amorosa morbosa in centro a Piazza Vittorio. Il punto è che ci sono ovunque persone senza corazza che non si accorgono del male che gli sta intorno.

Lei si sente solidale con loro?

A me piace dare fiducia alle persone. Mi piace pensare che non ci siano interessi nascosti dietro le relazioni, sono una buona. Ma bisogna anche sapersi difendere, proteggersi e riuscire a dire basta.

Le è capitato di dirlo?

Certo, tante volte, anche nell’amicizia. Il tempo e l’esperienza aiutano.

Ha scelto di girare il suo primo film da regista a Roma, ha un rapporto particolare con la città?

La maggior parte dei film in cui ho recitato sono stati girati a Roma. Ne Gli Anni Più Belli di Gabriele Muccino ho fatto anche il bagno dentro Fontana di Trevi. Non ho mai pensato di andare a fare l’attrice all’estero. Nella mia città so come muovermi e mi piace.

Le piace anche viverci?

Di certo è una città tremenda, è molto faticosa, è come se fosse una magnifica donna piena di cicatrici, è difficile ma piena di bellezza. Come quando vedo il Colosseo tutti i giorni, o Piramide, o come quando entro in una chiesa e trovo Caravaggio. Ora la vivo molto ma non è sempre stato così. Per me Roma era lontanissima, l’ho scoperta quando ho iniziato a lavorare, a venticinque anni.

Matteo Olivetti e Micaela Ramazzotti in una scena di Felicità

Matteo Olivetti e Micaela Ramazzotti in una scena di Felicità – Foto di Lucia Iuorio

Lei è cresciuta lontano dal centro.

All’Axa, tra Casal Palocco e l’Infernetto, prima del mare di Ostia. Anche per questo per il mio primo film ho scelto Fiumicino. Volevo catturarlo cinematograficamente perché è molto bello ma anche perché è qualcosa che conosco. I palazzoni pieni di appartamenti molto piccoli dove si dorme sul divano-letto in soggiorno.

Che ricordi ha da bambina a Roma?

La famosa Bocca della Verità. Adesso ci passo sempre, accompagno mio figlio a scuola, ma per anni è stato il mio incubo. Quando ero piccola ero una ragazzina furba, un po’ ribelle, quindi qualche bugia la dicevo. Avevo paura che mi mangiasse la mano.

La scuola che aveva scelto era lontana.

Sì. Un percorso infinito. Prendevo un autobus, il 709, e arrivavo in centro. Partivo dalla periferia e arrivavo piano piano, e sognavo. Fantasticavo su come doveva essere bello vivere a Roma, dove c’era il cinema, che io ho sempre amato. E questi sogni fuori dal finestrino li ho sempre fatti, anche quando per i primi provini un pick-up veniva a prendermi a casa all’alba per portarmi nei quartieri centrali. Ci vuole molto tempo per attraversare Roma. Quando mi serve un po’ di pace rifaccio questo viaggio al contrario, dal centro verso casa. E mi ricordo della ragazzina sul 709.

Torna a casa per consolarsi?
A Ostia e al mare. Quando avevo sedici anni facevo lunghe passeggiate sulla spiaggia con mio fratello, di nove anni più grande di me. Più che a Roma, se sono triste, devo andare alla rotonda di Ostia.