Scena numero uno. Piange, Rocco Siffredi. La commozione gli spezza la voce, quando il discorso cade della sua famiglia, tanto che Adriano Giannini, che interpreta il fratello di Rocco – amatissimo, contrastato, controverso – si alza per andare ad abbracciarlo. Fragilità e orgoglio, così potrebbe essere intitolato un ritratto della pornostar più famosa d’Italia, uno dei più celebri al mondo, l’uomo che rivendica con fierezza di essere “l’uomo oggetto per le donne: non provo nessun tipo di pentimento per la mia vita, vado per il mondo a testa alta”.
Scena numero due. “Non c’è nulla di più faticoso che fare l’amore per finta”. E’ Alessandro Borghi, che interpreta Siffredi, a pronunciare una delle frasi più rivelatorie della presentazione alla Berlinale della serie Supersex, prodotta da Netflix, perché affronta di petto una delle questioni più dibattute sin da quando si è diffusa la notizia di una fiction sulla vita e le opere dell’attore porno più celebre e leggendario della scena italiana (e non solo): quanto sesso si vede, come sono state girate le scene di sesso, se sia stato difficile interpretare le scene di sesso, che impatto emotivo hanno avuto le scene di sesso.
Francesca Manieri, autrice della serie (sette episodi, disponibile dal 6 marzo), preferisce prenderla molto alla larga: parla del rapporto di Rocco con il fratello come di un “atto mitopoietico”, mentre il superpotere del porno attore – ossia il suo membro – è un “dispositivo caldo, emotivo” volto a “decostruire la mascolinità”, la quale in tutta la sua violenza “va da Caino e Abele ad oggi”.
Insomma, ha le stimmate dell’evento lo sbarco al festival di Berlino di quella che Tinni Andreatta, vicepresidente dei contenuti Netflix Italia definisce “la storia di un antieroe, una serie coraggiosa, innovativa, ambiziosa”, interpreti oltre al già citato Borghi, Jasmine Trinca, Adriano Giannini, Saul Nanni e Gaia Messerklinger, diretta da Matteo Rovere, Francesco Carrozzini e Francesca Mazzoleni ed “ispirata alla vita vera di Rocco Siffredi, la sua famiglia, le sue origini, il suo rapporto con l’amore”.
Ma qui all’Hotel Adlon davanti alla Porta di Brandeburgo al centro dell’attenzione c’è ovviamente lui, Rocco Siffredi nato Rocco Antonio Tano, evidentemente il più carismatico in scena. Sessant’anni il prossimo maggio, originario di Ortona, vestito di scuro, asciutto ed impeccabile, l’unica vera star del porno italiano, l’unica vera star maschile quando era ancora l’epoca di Moana e di Cicciolina, negli anni ottanta e novanta, quando il porno è stato grande e bello, quando era una scoperta, per certi aspetti una liberazione: “Oggi invece abbiamo la sua industrializzazione”, nota dispiaciuto Rocco, “con l’arrivo di Internet è cambiato tutto, non ci sono più i pornografi ed il cinema porno vissuto come scelta, come passione, ora esiste solo un’industria che vuole fare soldi. Siamo entrati in una dimensione di pre-futuro, la vocazione naturale, vera, è finita da quindici anni”.
E ancora: “La mia è una vocazione”, scandisce ispirato. “Ma nella mia accademia insegno ai giovani il porno in maniera tradizionale, fatta di sentimenti”.
Pur rivendicando il carattere più o meno rivoluzionario del porno dei bei tempi che furono, è però emblematico che qui tra gli stucchi degli incontri più di pregio della Berlinale si ricorra così spesso alle parole famiglia, destino, vocazione. “Non riesco a distaccarmi dalla storia della mia famiglia, che ho cercato di proteggere, ho pensato a mia madre, a mio fratello… per fortuna ho santa Rosa al mio fianco, ché solo una santa poteva sopportarmi”, si commuove di nuovo Rocco, indicando la moglie seduta tra i cronisti accorsi all’appuntamento, ossia Rosa Caracciolo, pseudonimo di Rózsa Tassi, ex modella ed attrice porno ungherese. “Per avere tutto questo ho pagato un caro prezzo. Sapete quante volte mi hanno detto che per fare questa vita avrei dovuto rinunciare ad una famiglia? E invece guardatemi qua, guardate che famiglia che ho”. Applausi.
Più pragmatico il bell’Alessandro Borghi, qui con la barba, diversamente da come appare sullo schermo nei panni di Rocco: “Io ho un rapporto molto aperto con il sesso, uso il mio corpo da sempre senza alcuna difficoltà e questo fin da piccolo”, assicura l’attore, che per Supersex si è trovato a recitare nudo centinaia di volte. “La mia prima educazione sessuale è stata attraverso il porno: gran parte di quello che scopriamo sul sesso ci viene dagli spogliatoi in palestra o dai banchi di scuola. Ma questa serie mi ha dato l’opportunità di interrogare me stesso e la mia educazione sessuale. Che è quella che manca di più oggi, dove prevale la cultura dei like, il dover piacere per forza”.
C’è pure Jasmine Trinca (pure giurata alla Berlinale, by the way) tra gli eroi di Supersex: lei è Lucia, la donna più desiderata dai ragazzini quando Rocco era un ragazzino e successivamente la compagna del fratello di Rocco, che ad un certo punto la costringerà a prostituirsi: “Interpretarla mi ha permesso per la prima volta di dare voce a un pensiero profondo: quello di sfuggire al proprio destino, che è un atto di enorme libertà”.
Che dire: al netto di possibili o probabili moralismi, è forse inevitabile che temi così prorompenti, archetipici e al tempo stesso controversi come quelli che ruotano intorno al sesso (vieppiù nella sua versione hard) spingano la discussione verso vette altissime. Lo sanno i presenti, c’è chi parla di “sintesi plastica del sesso”, dell’“atto mitopoeitico” abbiamo già detto, qualcun altro cita lo “schermo narcisistico” e di “sessualità paradossalmente nascosta”.
Un fenomeno che pare essersi trasmesso anche alla scrittura di Supersex, che non rinuncia a grandi frasi leggendarie (forse per questo Manieri parla di “grande racconto”, citando come modelli cinematografici Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti e C’era una volta in America di Sergio Leone): “Ogni potere è come un enigma, ti può dare la forza oppure trascinarti nell’ombra”, dice la voce fuori campo dello stesso Siffredi-Borghi mentre il protagonista si masturba in un ristorante. Analogamente, in un’altra scena il mitico Re Mida del porno italiano di una volta, il compianto Riccardo Schicchi, parlando ad una commemorazione dedicata al divo del cinema a luci rosse John Holmes, noto per le eccezionali dimensioni del suo pene: “Vedete, lo avevamo reso eterno mettendo insieme la forza primordiale che tiene insieme la vita e la morte”. Eros e thanatos, ça va sans dire.
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