The Bear 2, la recensione: una seconda stagione libera, istintiva e corale come una partitura di free jazz

Se il primo capitolo era dedicato all'ex chef stellato con il volto di Jeremy Allen White, ora il racconto si concentra sulla trasformazione individuale e sul lavoro di squadra dell'intera brigata. Un prodigio di scrittura, messa in scena e interpretazioni. Tra le guest star una Jamie Lee Curtis magistrale

“Ogni secondo conta”. Un mantra da ripetere costantemente. Poco importa si tratti di sapersi muovere con agilità tra i fornelli in meno di sette secondi o aprire un ristorante in tempi record. Un comandamento da non tradire mai. “Sì, chef”, l’unica risposta ammessa. E nel corso dei dieci episodi di The Bear 2 – dal 16 agosto su Disney+ – quella frase sarà il filo rosso che legherà i componenti della brigata capeggiata da Carmy Berzatto (Jeremy Allen White).

Chiusa The Original Beef of Chicagoland, la malmessa paninoteca di Chicago (co-protagonista assoluta della serie), i protagonisti sono a lavoro per trasformarla in un locale di prestigio. “Dobbiamo rinnovare, non distruggere” sottolinea Carmy. Ma quelle parole non si riferiscono solo al ristorante. A rinnovarsi devono essere prima di tutto loro come esseri umani.

The Bear 2: una stagione corale e intima

Se la prima stagione era incentrata sul ritorno a casa dell’ex chef stellato e sull’impatto emotivo dato dal suicidio dell’amato fratello Michael (Jon Bernthal, capace di illuminare lo schermo anche per una manciata di battute), The Bear 2 è un racconto sulla trasformazione individuale e sul lavoro di squadra. Non è un caso se Leading with the Heart, libro scritto dal leggendario allenatore di basket Coach K, sia il faro che illumina il percorso di Sydney (Ayo Edebiri) in questo capitolo.

Come sul campo da gioco i personaggi creati da Christopher Storer devono imparare a muoversi con naturalezza e fluidità pronti a passarsi la palla (o meglio, il piatto) con i compagni di squadra. Un racconto corale che, nel seguire gli snervanti lavori di ristrutturazione – tra muffa, test antincendio e pratiche burocratiche da girone dell’inferno – si fa ancora più intimo. A Marcus (Lionel Boyce), ad esempio, viene dedicato un intero (bellissimo) episodio ambientato a Copenhagen, così come a Richie (Ebon Moss-Bachrach), alle prese con forchette da lucidare e l’arte dell’ospitalità verso i clienti da imparare.

Un prodigio di scrittura, messa in scena e interpretazioni

La macchina da presa si muove repentina. Zoom, montaggio serrato, movimenti frenetici. La regia trasmette il senso di perenne tensione misto ad adrenalina per poi lasciare respirare i personaggi (e noi) grazie a parentesi talvolta tenere, talvolta strazianti. Ne è un esempio il sesto episodio, Fishes, ambientato nel passato durante il periodo natalizio. Quasi un’ora in cui la famiglia Berzatto è riunita sotto lo stesso tetto per celebrare la festa dei sette pesci. Un episodio magistrale ricco di guest star – su cui spicca una Jamie Lee Curtis con già in tasca qualsiasi premio immaginabile – che entrerà nella storia della serialità.

Convulso, teso, dolente e, a tratti, dolcissimo. Fishes è anche una sorta di horror splatter dal retrogusto teatrale che al sangue sostituisce il sugo e ai coltelli affilati le forchette. Tra George Harrison e Mina, cannoli e urla, c’è così tanto talento, così tanti sentimenti da restare sbalorditi.

Un prodigio di scrittura, messa in scena e interpretazioni. Attraversato da innumerevoli umori, suoni, sapori, The Bear 2 è come una partitura di free jazz che rapisce chi ascolta. I volti dei suoi protagonisti, fatti di imperfezioni, rossori, rughe, sono reali. Esseri umani fatti di carne ed ossa e una paura fottuta del fallimento. Ma questa seconda stagione ci ricorda anche che nella vita bisogna provare e riprovare fino allo sfinimento. Fino quando non saremo in grado di dominare ciò che ci spaventa. Che sia il servizio di un ristorante o un sentimento. Ogni secondo conta.