Troppo azzurro: le idiosincrasie di un giovane autore che vuole crescere (o forse no)

Filippo Barbagallo scrive e dirige un esordio che si muove tra un cinema pieno di riferimenti e la recitazione straniante alla Nanni Moretti, che non tralascia mai uno sguardo personale e che spera di spiccare il volo. Il film è in anteprima nella sezione freestyle della Festa del Cinema di Roma 2023

Troppo azzurro di Filippo Barbagallo è esattamente come il suo protagonista. Insicuro. Il che non è un male, è solo il bisogno – e l’esigenza – di voler crescere. L’opera non è necessariamente lo specchio di una generazione. Il personaggio di Dario, interpretato dallo stesso Barbagallo, non vuole rappresentare un insieme coeso e condiviso in cui far rispecchiare (e vedere rispecchiati) i suoi coetanei. È più un megafono personale della sua nascente filmografia – Barbagallo è al suo esordio, in anteprima nella sezione freestyle della Festa di Roma 2023 – che lascia pensare che possa e potrà essere influenzata molto dal carattere del suo autore.

Influenzato, a sua volta, da un crocevia di voci del panorama nazionale e internazionale che riecheggiano nella storia, nella struttura e soprattutto nei personaggi della pellicola. Tutti i maestri, insomma, di un novello regista e sceneggiatore italiano, che dietro l’indipendenza della produzione Elsinore Film, ha comunque il sostegno e il contributo di due colonne portanti come Vision Distribution e Wildside, in collaborazione con Sky.

Dicevamo: insicuro. Dario (Filippo Barbagallo) è da sempre innamorato di Lara (Martina Gatti), anche se sa che l’amore è un’altra cosa. Non è ammirazione, ossessione, guardare da lontano sperando che l’altro finalmente si accorga di te. Ma non per questo riesce a superare la cotta mostruosa che ha per la ragazza. Sarà forse Caterina (Alice Benvenuti) a distrarlo da un sogno a occhi aperti, se non fosse per quel desiderio di partire che tutti hanno – i genitori per il mare (tra cui un tenerissimo Valerio Mastandrea), Lara per il Portogallo, Caterina per Rimini – che tiene al contrario Dario ancor più saldo alla sua quotidianità.

Troppo azzurro, tutte le stranezze di Filippo Barbagallo

In una Roma estiva e semideserta, Troppo azzurro ha il guizzo di un regista promettente che si colloca lì dove molto spesso gli autori, in particolar modo giovani, non riescono a trovarsi. L’opera non è la solita commedia che tanta produzione italiana ha consumato fino allo sfinimento, cadenzata da un ritmo più tradizione e meno ragionato di quanto faccia invece quella di Barbagallo. Merito anche delle scelte artistiche di Elsinore Film, da cui nel 2022 esce Amanda di Carolina Cavalli, oltre al dramma notturno Notte fantasma di Fulvio Risuleo e il prossimo Il barbiere complottista dell’esordiente Valerio Ferrara, vincitore a Cannes col cortometraggio omonimo.

Una visione derivata da tante altre visioni, in cui Filippo Barbagallo ha aggiunto poi se stesso. Ed è il connubio tra i vari riferimenti e il proprio “io” in prima persona a permettere al film di camminare con le proprie gambe, mentre cerca goffamente di imparare a correre. La forza alla base della conoscenza del cinema e della scrittura dello sceneggiatore soppesa l’ingenuità di certe svolte del film, la vacuità di alcuni dialoghi e il senso di incompletezza di singole scene. Anche la recitazione, ma su questo Nanni Moretti ha fatto scuola, è totalmente impostata sulla stramberia del personaggio principale, e diventa straniante tanto quanto l’opera stessa. Mai interpretata male, solamente strana. Come, appunto, il suo protagonista.

Mentre Dario nel film sta cercando il modo di sbloccarsi, rimanendo sempre chiuso nel suo bozzolo di (finti) tormenti e (inutili) idiosincrasie, con Troppo azzurro anche Barbagallo mostra il tentare di uscire dal guscio, auto-augurandosi di poter spiccare il volo. E se lo dice da solo. “Cambio vita Sandro!”, esclama Dario al suo migliore amico, interpretato da Brando Pacitto. Che questa sia la speranza da cui poter continuare dopo Troppo azzurro. Visto che, in fondo, è stato Un sacco bello.