Borgonzoni: “Registe, non abbiate paura: imparate a fare commedie leggere”

Con un investimento di 20 milioni di euro, il ministero della Cultura promuove la campagna "Cinema Revolution - Che spettacolo l'estate" - film italiani ed europei a 3,5 euro - per far tornare nelle sale il pubblico. E alle donne la sottosegretaria dice di non sentirsi "obbligate a fare solo cinema impegnato per sembrare brave registe"

Fortemente voluta dalla sottosegretaria di Stato del ministero della Cultura Lucia Borgonzoni, e da tutte le componenti del comparto cinematografico, Cinema Revolution – oltre tremila schermi aderenti al progetto in tutta Italia – è l’iniziativa che nell’arco dei tre mesi estivi, da giugno a settembre, permetterà al pubblico di assistere in sala alle nuove uscite di film italiani ed europei al prezzo di 3,50 euro.

L’iniziativa di Borgonzoni

“Un messaggio forte, sostenuto da un grande investimento: le sale sono importanti presidi sociali e culturali, – ci ha raccontato la senatrice Borgonzoni – riteniamo che sostenerle sia un dovere. Per questa estate abbiamo messo a punto un gioco di squadra che vede il Governo e l’intero sistema cinematografico italiano scendere in campo per la loro ripartenza. Ringrazio tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione del progetto e invito il pubblico a vivere un’estate magica al cinema, che, ne sono certa, sarà un successo”.

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Se dovesse scattare una fotografia del cinema in Italia oggi quale sarebbe?

Il nostro cinema è sano, in generale l’audiovisivo è molto sano. Il nodo problematico della filiera sono le sale. Per questo abbiamo stanziato un grande investimento da 20 milioni sulle sale in estate, per stimolare il pubblico a tornare. Vedere un film in sala è tutta un’altra cosa, un’altra emozione.

Cos’altro può fare il Ministero?

Sto lavorando perché sia più semplice far circolare i nostri artisti e le nostre produzioni nel mondo. Serve un coordinamento che oggi, onestamente, non è molto a fuoco. Oggi è difficile proporre un film anche all’estero. Bisogna semplificare.

Come è percepita all’estero la nostra industria cinematografica?

Quando sono stata a Los Angeles, qualche mese fa, tutti mi facevano i complimenti. Tutti vogliono venire a girare in Italia. Mi dicevano: “Avete le maestranze più brave del mondo”. Ne sono molto orgogliosa, perché è vero. Molti film americani si servono di maestranze italiane. Magari uno non lo immagina. È un settore sano.

Un settore che chiede sempre più sostegni da parte delle istituzioni..

Stiamo lavorando sulla questione del tax credit per mettere a posto le cose che non funzionano più rispetto a prima. Dobbiamo creare delle zone franche di tutela per tutti i film “difficili”, le opere prime, i documentari, proteggere i più piccoli e indipendenti. Per i più grandi invece dobbiamo mettere a punto una serie di regole, per impedire la proliferazione di titoli pensati senza tanto cuore. Quindi stiamo ragionando su una serie di paletti, come per esempio l’avere già riscosso l’interesse per lo sfruttamento successivo dell’opera. Definire oggettivamente la qualità è difficile, ma sapere che c’è qualcuno interessato allo sfruttamento successivo del tuo prodotto, che a me piaccia o meno, indica che in quel film c’è qualcosa di interessante, di buono. Oppure chi decide di investire in un prodotto senza sfruttamenti successivi perché vuole conservare l’autonomia autoriale: se tu credi in te, allora io Stato faccio altrettanto. Per quanto riguarda le produzioni internazionali, invece, stiamo ragionando sulla possibilità di concedere un tax credit più alto nel caso in cui vengano utilizzati nei film maestranze, registi e attori italiani. Come una specie di premio.

Per quanto riguarda la “giungla” delle Film Commission?

Avevo cercato di metterci mano già nel Conte I, proponendo di creare un coordinamento diventato ormai necessario. Non per togliere autonomia alle Regioni, capaci di raccontare al meglio il proprio territorio. Ma ogni tanto le Film Commission creano caos e confusione all’estero. Le faccio un esempio banale. Se sta arrivando in Italia una produzione dall’India per girare un film in una nostra città, e sappiamo che hanno bisogno di un lago, che nella regione scelta non c’è, probabilmente se lo andranno a cercare all’estero. Se nessuno spiega alla produzione straniera che quella cosa che cercano possono trovarla sempre in Italia, ma in un’altra regione, è un problema. Il coordinamento è fondamentale. Anche per spiegare alle produzione estere quali siano i fondi a disposizione.

Cosa pensa dello sciopero in America degli sceneggiatori?

Il diritto d’autore si dà alla creatività. La macchina elabora, l’uomo crea. Per creare una cosa l’uomo non impiega solo la testa, ma anche il sentimento. La macchina è pura matematica. In America stanno ragionando sulla percentuale dell’impatto dell’uomo nell’opera finale: una riflessione ampia, complessa, necessaria.

È ancora difficile per le donne fare cinema in Italia? 

Una cosa che mi stupisce sempre è il fatto che, durante il periodo del cinema muto, in Italia e negli Stati Uniti ci fossero molte più donne in ruoli importanti di quelle che ci sono ora. Adesso abbiamo bisogno di quote per stimolare la presenza delle donne, che un tempo erano molto più presenti. La metà delle sceneggiature depositate negli anni Trenta negli Stati Uniti erano firmate da donne. D’altra parte noi donne dobbiamo cominciare a pensare che possiamo fare tutto, anche spaziare fra i generi. Una che fa la regista, oggi, deve pensare di poter fare anche commedie leggere, magari più commerciali, fregandosene dell’idea del “devo fare un film super impegnato perché sono una donna, altrimenti pensano che io non sia una brava regista”. Dovremmo noi stesse liberarci di tutti questi preconcetti che ci hanno inculcato gli altri. Dobbiamo essere più coraggiose e buttarci nella mischia.