Roberto Bolle, il corpo perfetto. “Faticosi e meravigliosi i miei anni nella danza. Ma ho potuto aprire tante porte e buttare giù tanti muri”

Parla l’Etoile del Teatro alla Scala di Milano che unisce in sé la potenza e la grazia, la disciplina e la seduzione. Dall’incontro con Nureyev alla costanza per diventare Principal Dancer dell’American Ballet Theatre senza mai lasciare chiuse le porte al grande pubblico. "Ho avuto la possibilità di espandere quel che era il mondo di un ballerino". L'intervista di THR Roma

Questa intervista a Roberto Bolle è pubblicata nell’edizione cartacea di The Hollywood Reporter Roma, Corpo Libero.

Da bambino Roberto Bolle sognava di essere un principe azzurro, lo è diventato davvero, tantissime volte, nel Lago dei Cigni, La bella addormentata, in Giselle, nello Schiaccianoci. A 48 anni servono molte ore di sudore per tenere in allenamento il suo corpo statuario. Quella dell’Etoile del Teatro alla Scala di Milano e Principal Dancer dell’American Ballet Theatre oltre che Guest Artist del Royal Ballet è una silhouette in continuo movimento. È la prima volta nella storia che un ballerino è così conteso dalle più grandi istituzioni della danza mondiale. Che racconta: “Il corpo è comunque anche un elemento di seduzione. E noi, come ballerini, usiamo il corpo per tutto, e quindi anche per sedurre. È il nostro strumento naturale per comunicare”. Bolle sarà protagonista il 29 aprile, in occasione della giornata internazionale della danza, di Viva la Danza, una serata evento per omaggiare l’arte di cui è star indiscussa in Italia e nel mondo.

Chi ha ispirato il suo desiderio di danzare? C’erano ballerini che l’hanno colpita in modo particolare?

Artisti come Rudolf Nureyev e Mikhail Barishnikov sono stati i miei riferimenti. Erano dei fisici diversi dal mio perché entrambi sono più bassi di me, hanno altre caratteristiche, ma all’epoca non c’erano social e quindi non si riusciva a vedere più di tanto, e neanche ad avere punti di riferimento della danza. Loro due erano quelli che più erano emersi grazie anche ai film che avevano fatto, erano molto importanti, avevano una notorietà che andava al di là di quello che era il mondo della danza e quindi loro sicuramente sono quelli che mi hanno ispirato all’inizio.

Che cosa ricorda di Nureyev?

Quando si guarda un filmato di Nureyev colpisce la sua presenza scenica. Era un animale in scena, riusciva a dominarla qualunque cosa facesse, aveva questo carisma con cui si imponeva davanti a tutti e nei confronti di tutti. Riusciva a emergere e a brillare di quella luce che poi è qualcosa che lo ha contraddistinto sempre al di là della tecnica pura.

Fu proprio Nureyev nel 1990 a notarla per il ruolo di Tazio in Morte a Venezia?

Esatto, sì, è vero.

Si ricorda come avvenne la proposta?

Nureyev era in sala ballo per rimontare uno dei suoi lavori, Lo Schiaccianoci, e noi, io come altri della scuola, prendevamo parte alle prove. Mi ricordo che mi vide e fissò il suo sguardo su di me già dal primo giorno. Il caso volle che ci trovassimo noi due in sala ballo uno dei giorni successivi, mentre lui faceva i suoi allenamenti quotidiani e io i miei esercizi: a quel punto ci siamo parlati. Lui pensò che potessi essere adatto al ruolo che stava cercando, quello di Tazio in Morte a Venezia, opera che sarebbe andata in scena qualche mese dopo. Ha richiesto la mia presenza per quella produzione, ma la scuola di ballo non ha dato il permesso perché ero troppo giovane. Ricordo l’emozione e anche il timore, la tensione di conoscerlo, di incontrarlo, e poi il grande dolore e dispiacere di vedere sfumare un sogno.

Roberto Bolle

Roberto Bolle Foto Laura Ferrari

Ha avuto modo successivamente di farsi apprezzare da lui?

Non da lui perché quella è stata l’ultima volta che ci siamo incontrati. Ero anche molto giovane, avevo 15-16 anni. Lui morì di lì a poco.

Per arrivare al suo livello quanto conta il lavoro proprio corpo?

Tantissimo, e non si finisce mai, è un impegno quotidiano che inizia quando si è ancora giovanissimi. Io ho iniziato che avevo 6-7 anni e sono entrato alla Scala che ne avevo 12. È richiesta una disciplina giornaliera, ore di allenamento e di preparazione. Ci sono le lezioni, le prove, tutti gli esercizi per formare un corpo da ballerino che deve essere elastico, potente, flessibile, muscoloso, allungato. Ci sono tante componenti che sembrano l’una il contrario dell’altra, è un lavoro di ricerca continuo per affinare ognuna di queste qualità.

La cosa di cui va più fiero?

Il percorso che ho fatto, lineare, che può essere anche esempio per tanti ragazzi, perché ho sempre lavorato molto duramente per raggiungere i risultati. Questo è un insegnamento per tutti, per dire quanto il lavoro e l’impegno quotidiano alla fine paghino e tornino indietro. Questi anni di costruzione, la mia vita nella danza, sono stati un lavoro intenso, faticoso, ma molto ricco, prezioso e gratificante. Grazie alla danza ho potuto fare tanti altri progetti nella vita che sono andati al di là del palcoscenico, come appunto trasmissioni televisive, festival, ballare in luoghi meravigliosi. Un mondo che mi ha permesso di aprire tante porte, di buttare giù tanti muri, di riuscire a espandere tutto quel che era il mondo più piccolo di un ballerino.

La danza classica è considerata ancora qualcosa di élite?

Sempre meno, perché negli ultimi anni si sono sdoganati sia il balletto che la danza. Oggi ci sono i talent show molto popolari, in prima serata il mio spettacolo su Rai1 è stato un grande successo. C’è una consapevolezza e un’attenzione diversa verso la danza. Sicuramente c’è ancora tanto lavoro da fare, però tanto è stato fatto da quando ho iniziato a ballare. Eravamo in pochissimi allora, adesso ci sono molti più ragazzi, c’è molta più attenzione.

Quanto si sente partecipe di questo cambiamento?

Ho fatto la mia parte. Quel che per me è stato ed è molto importante è essere anche un esempio positivo per i ragazzi. E poi è vero che in Italia abbiamo sempre avuto delle grandi ballerine come Carla Fracci, Oriella Dorella, Luciana Favignano, Alessandra Ferri, grandi icone della danza, ma non qualcuno della danza maschile che veramente sia arrivato al massimo livello e abbia avuto quindi la possibilità di ispirare tanti ragazzi. Lo si vede anche alle Olimpiadi: quando c’è qualcuno che vince la medaglia d’oro, tanti ragazzi giovani poi seguono lo sport, vogliono emulare i campioni, come sta succedendo adesso nel tennis o in altri ambiti sportivi. Così anche nella danza, avere un punto di riferimento, qualcuno che arriva all’apice e entra nelle case come prima non era stato fatto, è molto importante. Sì, molti giovani hanno intrapreso questa strada anche grazie a me.

Ha intravisto un giovane Roberto Bolle in erba, così come Nureyev notò lei?

Devo dire che ce ne sono tanti di ragazzi di grande talento. Alla Scala abbiamo Tomofej Andrijashenko, primo ballerino del teatro che viene anche sempre in tour. In Italia è forse il migliore, è veramente straordinario, ha 26 anni e ha tutte le possibilità davanti a sé. Però alla fine non ci vuole solo quello, ci vuole anche una grande ambizione a voler costruire qualcosa in più. Perché magari molti hanno il talento, la passione, le capacità, ma vogliono soltanto interpretare dei ruoli e ballare in teatro, non altro.

Il cinema l’ha mai cercata?

No, non sono mai stato cercato, se non per progetti minori, non c’è mai stato un progetto particolarmente interessante su cui impegnarmi.

Con quale regista le piacerebbe lavorare?

Se devo fare un nome direi Baz Luhrmann, che è un regista che ha sempre creato dei bellissimi capolavori, visionari, anche legati a un mondo molto artistico.

Si sarebbe visto in Moulin Rouge?

Assolutamente, mamma mia che meraviglia.

Secondo lei le istituzioni sono attente alla sua arte?

Guardi, dall’ultimo anno e mezzo a questa parte le istituzioni parlano molto della danza cosa che non era mai avvenuta prima. Tra commissioni, tra audizioni, tavoli della danza, volontà di ricreare corpi di ballo, c’è molto movimento rispetto ad altri periodi in cui nulla succedeva. In realtà l’attenzione sul mondo della danza e su quello che sta succedendo ci sono e sono molto interessanti in questo momento.

Di cosa ci sarebbe bisogno?

Quello che noi chiediamo, almeno in Italia, perché non in tutti i paesi è così, è una considerazione diversa, più alta, anche nelle programmazioni dei nostri teatri. Spesso la danza è sempre messa all’ultimo posto. Chiediamo proprio un riconoscimento diverso. Prima gli enti lirici erano di opera di balletto, poi il balletto è stato cancellato. Nelle programmazioni la danza sembra quasi un riempitivo, prima c’è l’opera poi la musica sinfonica e infine il balletto.

Progetti futuri, che cosa ci attende in questo nuovo anno del 2024?

Stiamo definendo alcuni progetti, ci sono spettacoli in programma alla Scala, al Covent Garden, la Royal Opera House a Londra, c’è la tournée estiva che mi vedrà all’Arena di Verona con due date, tornerò a maggio con una serie di spettacoli agli Arcimboldi. Tanta danza in Italia e all’estero e poi vediamo, spesso all’ultimo momento arrivano nuovi progetti che vanno a riempire tutta l’agenda. È un fatto che mi sorprende sempre.