Sul set di Taxi Monamour, tra una Roma notturna e l’ombra della guerra. “È un film sul desiderio di libertà di due donne”

Un pomeriggio in una trattoria nel cuore di Trastevere per le riprese del nuovo film di Ciro De Caro con Rosa Palasciano, Valerio Di Benedetto e Yeva Sai. Una storia “vera e sincera”, ambientata in una città “piena di solitudini” in cui risuona l'eco del conflitto in Ucraina. “Non potevamo ignorarla” racconta a THR Roma il regista

“Potete traslare di un paio di metri?”. “Certo, ma ce devi spiegà che vor dì traslare”. Roma, esterno giorno. Un membro della troupe sistema l’attrezzatura che servirà per girare di lì a poco. Un gruppo di comparse seduto al vicolo del Mattonato, nel cuore di Trastevere, scherza per ingannare il tempo. L’appuntamento sul set di Taxi Monamour, il nuovo film di Ciro De Caro reduce dal successo di Giulia, è per il primo pomeriggio. L’autunno è arrivato e ha portato con sé una leggera pioggia che costringe i turisti ad aprire gli ombrelli e i gatti del quartiere a ripararsi sotto le tettoie delle abitazioni basse alle spalle della basilica di Santa Maria.

Si gira Da Lucia, una trattoria storica che avverte subito gli avventori con un cartello affisso sopra la cassa. “La cucina non può servire i signori clienti che hanno fretta. Tutte le vivande sono cucinate espresse”. Alle pareti foto di una Roma in bianco e nero che non esiste più, cantucci sotto vetro, utensili in rame che penzolano dal soffitto e le fotografie di Vittorio De Sica, Eduardo De Filippo e Sergio Leone (con tanto di autografo del trasteverino di Via Dandolo) ad intervallare quelle di famiglia.

È la quinta settimana di riprese per Taxi Monamour che racconta l’incontro tra due donne all’apparenza diverse ma che in fondo si assomigliano molto. Anna (Rosa Palasciano) è in conflitto con se stessa e la propria famiglia e affronta in solitudine la sua malattia. Cristi (Yeva Sai) fugge da una guerra che la tiene lontana da casa. Tutti consigliano ad Anna di seguire il suo compagno in un viaggio di lavoro e a Cristi di restare al sicuro in Italia. Il loro incontro, seppur breve, sarà un tuffo nella libertà.

“Il titolo? È una battuta ricorrente nel film”, confida il regista. “C’è un momento in cui le protagoniste, in maniera un po’ azzardata, prendono un passaggio da due sconosciuti che si rivelano totalmente innocui. Sono due ragazzi arabi e per approcciarli si rivolgono a loro in questo modo. Nel corso del film Anna, ogni volta che si accosta alla fermata dell’autobus per dare un passaggio a Cristi, usa questa battuta”.

Taxi Monamour: dal cassetto allo schermo

“Questa storia nasce prima di Giulia”, racconta a THR Roma Rosa Palasciano, anche co-sceneggiatrice del film. “Da un’immagine che io e Ciro abbiamo visto insieme ma lui ha avuto l’occhio e lo sguardo attento di cogliere: due donne adulte che, in una pausa pranzo, mangiavano in riva al mare. È rimasto colpito al punto da dirmi: ‘Perché non iniziamo a pensare a una storia di amicizia partendo da questa immagine?’ Con il passare degli anni i personaggi sono diventati più giovani, ci sono stati tanti cambiamenti e difficoltà produttive che ci hanno portato a rinunciare al progetto e a scrivere Giulia. Ma dopo l’incontro con il produttore Simone Isola abbiamo iniziato a riavere fiducia in questa idea e l’abbiamo totalmente riscritta”.

Taxi Monamour arriva dopo il successo del loro film precedente, Giulia, che è valso a De Caro e Palasciano una nomination ai David di Donatello e due ai Nastri D’argento. “Sicuramente un film che ha successo aiuta”, ammette il regista. “Però ho passato metà della mia carriera cercando di fare un film, evidentemente, nella maniera sbagliata. Poi ho fatto Spaghetti Stories e da quel momento ho capito che avrei fatto questo nella vita. Dopo Giulia, in ogni caso, ero certo che ne avrei fatto un altro. Taxi Monamour è rimasto nel cassetto a lungo, ma questa è una storia talmente vera e sincera che sono certo e voglio sperare che avrebbe visto la luce prima o poi”.

Una Roma notturna e indefinita

Se il film precedente di Ciro De Caro era ambientato in una Roma estiva e desolata, in Taxi Monamour è la notte a fare da co-protagonista al racconto. “Di questa cosa della Roma notturna mi sono pentito dopo le varie giornate sul set fino alle 5 di mattina. Non so se lo farò più”, confessa ridendo De Caro. “Quella del film è una Roma fatta di solitudini. Anche quando c’è gente. A parte una scena a Piazza Trilussa e su Ponte Sisto in cui si riconosce il centro, la città resta sempre sullo sfondo. È una Roma in cui si parlano tante lingue perché le due protagoniste incontrano molte persone in questa storia. È una specie di Babilonia”.

“Una Roma notturna lascia intravedere delle cose, un po’ come Ciro sta cercando di fare con questi personaggi”, sottolinea Valerio di Benedetto, che nel film interpreta il fratello di Anna, Angelo – “un po’ la pecora nera della famiglia” – “Anche noi non siamo così definiti. Non in termini di struttura, ma in termini emotivi. Non siamo risolti. E da questa irrisolutezza nascono i nostri conflitti interni con gli altri componenti della famiglia”.

“Ciro non si basa su stereotipi. Questa è la bellezza del suo cinema”, sottolinea il produttore Michael Fantauzzi. “Non parte da un’idea già precostituita di qualcosa. Cerca la realtà di Roma, che è molto più interessante della romanità”.

Una questione di sguardo

“È coffee break, signori”, si legge sulla maglia di uno dei ragazzi della troupe in una citazione che omaggia Boris. Ma, a differenza dei personaggi della serie, sul set di Taxi Monamour nessun runner viene maltrattato (almeno sotto i nostri occhi) e il gruppo, composto prevalentemente da giovanissimi, collabora in un’atmosfera rilassata. Simone Isola, produttore del film insieme a Giuseppe Lepore per Kimerafilm, si è ritrovato ad essere il “custode” del ciak con il quale gli attori e il regista fino a pochi minuti prima posavano per le foto di scena.

“Conosco Ciro da tantissimi anni. C’è una buona amicizia tra di noi”, racconta Isola. “Avevo seguito le vicende di Giulia. Ha avuto molto coraggio per quel film, conosco le difficoltà che ha dovuto affrontare. Aveva una vecchia sceneggiatura e gli ho detto: ‘Perché non me la mandi e ci ragioniamo un po’ insieme?’. Sono stato spinto da una considerazione: questo è il quarto film di Ciro e lui ha sempre lavorato molto low budget. Il mio compito è stato quello di ragionare con lui sul progetto, svilupparlo insieme e di metterlo in condizioni di lavorare con serenità e calma. Non l’ho voluto snaturare. Non volevamo fare altro a livello di linguaggio o di stile, volevamo valorizzare quel suo sguardo”.

La guerra in Ucraina sullo sfondo

Come per Giulia, girato in piena pandemia, è stato naturale per De Caro inserire elementi che richiamassero il Covid senza sottolineature eccessive, anche per la sua quarta regia l’attualità è entrata a far parte del racconto. “Ho avuto io l’idea dell’Ucraina perché ho tanti amici ucraini, questo argomento mi toccava molto da vicino”, confida Palasciano. “Me ne sono subito pentita perché è una grande responsabilità raccontare certi temi. Abbiamo deciso di scegliere un’attrice ucraina per il personaggio cercando di non raccontare la guerra, ma portando il suo vissuto anche a livello simbolico”.

La scelta è ricaduta su Yeva Sai, già vista in Mare fuori 3 e che ritroveremo nella nuova stagione. “All’inizio mi sentivo un po’ in difficoltà”, ricorda l’attrice seduta su una sedia di paglia al fianco di Palasciano in una saletta della trattoria, tra tramezzini e pasticcini portati dalla produzione. “Ero sola nel contesto della guerra e mi dicevo: ‘Ma esiste anche qualcos’altro?’. Devo dire che lavorare con questo personaggio mi ha fatto ricordare che ci sono tante altre cose. Perché quando ti ritrovi in una situazione così, un po’ ti mangia”.

“Abbiamo trovato una persona che ha dei grandi punti di contatto con il personaggio”, sottolinea Isola. “Da quel punto di vista non c’era bisogno di dire nient’altro. Il tema della tragedia viene da sé. Non è un film sulla guerra ma sul desiderio di queste due ragazze di essere libere, di poter vivere la propria vita e le loro scelte in libertà.”. “Ma non potevamo ignorarla, sarebbe stato finto”, gli fa eco De Caro parlando del conflitto. “Quando è scoppiata la guerra ci siamo detti che andava raccontata. Yuvi viene da lì e quindi le sfumature del suo personaggio assumono dei contorni diversi”.

Taxi Monamour, tra autodeterminazione e libertà

Mentre De Caro parla con il direttore della fotografia, Manuele Mandolesi, Rosa Palasciano mette i vestiti di scena – t-shirt bianca e grembiule verde – e Valerio Di Benedetto saluta tutti salendo in sella alla sua moto, la troupe monta un gazebo per proteggere l’attrezzatura dalla pioggia. Dei turisti che girano l’angolo si ritrovano davanti ad un set a cielo aperto. Tentennanti sul da farsi decidono di tornare indietro.

“Lo scopro sempre dopo, vedendo anche gli altri film che ho fatto, che i miei personaggi hanno un bisogno non solo di libertà ma di autodeterminazione, di potersi permettere il diritto di essere e di fare quello che vogliono”, racconta il regista. “E io voglio guardare questi personaggi senza giudicare loro e le loro scelte che, a volte, possono sembrare sbagliate o incomprensibili. In Taxi Monamour la loro autodeterminazione inizia da due fatti gravi, la guerra da un lato e la malattia da un altro, che fanno capire ad Anna e Cristi che stanno buttando le loro vite se continueranno ad accontentare gli altri. Sono pronte ad incontrarsi perché hanno dei bisogni simili. Si vedono e si riconoscono”.

Prima di iniziare le riprese chiediamo a Ciro De Caro come descriverebbe il suo film. Un sorriso accennato e una parola: “Libero”.

Taxi Monamour è prodotto da Simone Isola e Giuseppe Lepore per Kimerafilm, in associazione con Michael Fantauzzi per MFF, in collaborazione con Rai Cinema, con Adler Entertainment e con il contributo del ministero della cultura.