Che sia un film indie statunitense o una serie Netflix italiana, Matilda Lutz ha un percorso preciso in mente per i ruoli che interpreta. “Non so se sia una cosa inconscia, però alla fine c’è sempre una linea, una linea che mi porta da un personaggio all’altro, da una scelta a un’altra”. È così che anche progetti diversissimi – come il neo-noir Magpie, la nuova versione cinematografica del comic Red Sonja e una serie sulla storia dei briganti ottocenteschi – si incastrano uno nell’altro, perfettamente coerenti fra loro.
Tutti hanno in comune forti personaggi femminili e un’attenzione particolare alle storie che provengono da autori giovani, da un cinema indipendente e dinamico. Ma che purtroppo è raro che trovi spazio in Italia.
“La cosa che mi dispiace di più dell’Italia è che si investe poco”, afferma Lutz, che spesso lavora anche oltreoceano. “L’Italia è il paese dove sono nata e cresciuta, dove sto crescendo mio figlio, quindi la mia speranza è che nel tempo investa di più sui giovani, anche quando non c’è la certezza di un ritorno economico. Qui si ha paura di rischiare”, prosegue.
Briganti: sì, è Netflix ma “d’autore”
Non è un caso che fra i progetti italiani a cui ha preso parte – prossimamente in streaming – c’è una serie Netflix un po’ fuori dagli schemi. Una serie in cui, “pur lavorando per una grande piattaforma, abbiamo giocato sull’indie, sull’autorialità, con la guida di due ragazzi alla regia (Nicola Sorcinelli, Antonio Le Fosse, ndr) molto aperti e creativi”. Briganti, ambientata nell’Italia meridionale a metà dell’Ottocento, è infatti scritta e diretta dal collettivo grams*, già autore di Baby.
Della serie si sa ancora pochissimo, Lutz però spiega a THR Roma che è stato un progetto da lei “voluto fortemente”. “Già il periodo storico mi intrigava, in più avevo letto le bibbie di serie, trovando che fosse una specie di Vikings, con storie che si intrecciavano, personaggi che sparivano e ricomparivano, in quella chiave”, afferma. C’è un momento che ricorda in particolare, quello in cui ha indossato per la prima volta i panni di Michelina De Cesare: “I capelli, il trucco intenso, in tatuaggi e soprattutto il cappotto. Un cappotto così pesante che già solo indossarlo mi ha aiutata a connettermi con il personaggio, con la sua materialità legata alla terra”.
“Ovviamente è una serie romanzata, ma il mio personaggio è ispirato a una brigante realmente esistita, una donna forte, determinata, un personaggio che comunque mi interessava interpretare, soprattutto in Italia”, aggiunge.
Una nuova Red Sonja
A proposito di donne forti, nei prossimi mesi Matilda Lutz arriverà al cinema nel ruolo di Red Sonja, personaggio Marvel a cui già nel 1985 era stato dedicato un film e che adesso torna in sala nel nuovo adattamento di M.J. Bassett. Non è un progetto legato all’MCU, ma aspira a essere memorabile, proprio perché raccontato da un punto di vista diverso.
“M.J. (la regista, ndr) è sempre stata appassionata dei fumetti di Red Sonja”, afferma Lutz. “E quando ha saputo della produzione del film si è proposta come regista, riscrivendo poi interamente la sceneggiatura. L’ha resa la storia di una donna empowered (che si riprende il potere, ndr), libera dallo sguardo maschile”. A partire dal tradizionale – e succinto – costume dell’eroina che, Lutz anticipa, sarà diverso, perché avrà una specifica funzione.
La sua Red Sonja è “una donna che ricerca se stessa, ricerca il suo popolo e le sue origini e nel momento in cui le trova si rende conto di poter andare aventi da sola. È importante, considerato che spesso nei film si raccontano personaggi femminili che hanno bisogno di un uomo, di un lavoro o dei figli per essere descritte. Come se non fossero complete senza qualcosa accanto”.
E aggiunge: “Sì, è un film di supereroi(ne), però è molto vero”, racconta una sensazione reale per tante donne. Per il ruolo – a cui Lutz teneva al punto da volare in Bulgaria durante le riprese di Briganti, per l’ultimo provino – è servita inoltre una dura e lunga preparazione. “Ho fatto tiro con l’arco, equitazione, scalata, combattimenti con la spada. È stata un’esperienza forte sia a livello fisico che emotivo, non solo per me”, afferma. “Ma alla fine si sentiva sul set l’energia di tutti, la voglia di partecipare e raccontare questa storia, anche durante le scene più complesse, nei combattimenti di notte o sotto la pioggia. Un’esperienza stupenda.
Il debutto al SXSW
Altrettanto bella e significativa, anche se molto diversa, è l’esperienza che Matilda Lutz racconta a proposito del film Magpie. Il moderno noir di Sam Yates che l’ha portata a Austin, in Texas, lo scorso 9 marzo per l’anteprima mondiale al festival SXSW (South by SouthWest).
“È la prima volta per me, sia a Austin sia al SXSW e sono molto felice”, afferma. “Come festival, il SXSW si dice sia piuttosto simile al Sundance, con un’atmosfera e un’energia particolari, perché si tratta di eventi in cui le persone sono effettivamente lì per guardare i film, partecipare agli incontri, parlare di cinema con attori e registi. Anzi, adesso che il Sundance è diventato più popolare anche in Europa, il SXSW potrebbe prendere il suo posto, per quello che rappresenta nel cinema indipendente”.
Per Magpie è senza dubbio un grande biglietto da visita, aggiunge. Come film debutta infatti in un contesto di produzioni audaci, che provano ad assumersi rischi ma trovano comunque un ampio pubblico ad accoglierle.
Magpie e un progetto per il futuro
Nello specifico, Magpie nasce da un soggetto scritto dall’attrice Daisy Ridley, la Rey di Star Wars, co-protagonista di Lutz nel film. “Questa è una delle motivazioni per cui ho deciso di farlo, in realtà”, prosegue l’attrice. “Perché ho l’intenzione, in futuro, di fare qualcosa di mio”. L’idea per una sceneggiatura c’è già, rivela a THR Roma, solo che non è completa, quindi non ancora tempo di svelarne i dettagli: “È la storia di una ragazza che convive con una trauma che noi, come società, siamo abituati a normalizzare e di cui perciò non si rende conto. Ho in testa delle scene precise, ma vorrei affiancarmi a uno sceneggiatore per metterle bene su carta”.
Intanto, però, dal set accanto a Daisy Ridley, Matilda Lutz afferma di aver osservato e imparato soprattutto l’equilibrio per stare al tempo stesso dentro e fuori la storia: “Da produttrice o da regista devi avere il controllo su tutto ciò che è intorno al progetto. Cosa che non fai quando da attrice ti concentri sul ruolo che stai interpretando”. Per non spoilerare nulla del film, che si potrebbe definire un thriller psicologico o un noir moderno, afferma di essersi ispirata a Gone Girl di David Fincher: “Cercando di gestire insieme al regista ogni piccola sfumature dell’interpretazione”.
“Sam è molto dettagliato nella sua direzione”, afferma a proposito del regista Yates. “Però in realtà è anche molto aperto a livello creativo. In lui è fortissimo l’elemento teatrale, cosa che mi ha attratta ancora di più a questo progetto”.
Yates, alla sua prima regia, è un altro esempio di quel cinema indipendente “che corre rischi e che per questo mi piace tantissimo. Se all’inizio della mia carriera era una normale gavetta, adesso è una scelta consapevole”, prosegue l’attrice. “Perché ci sono meno voci da tenere in conto e meno marketing, quindi è solo il regista che ti guida. Il vero maestro d’orchestra”. Potrebbe non passare troppo tempo, allora, prima che Matilda Lutz diriga la sua, di orchestra.
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