Achille Lauro: “Non sono di certo io l’artefice, però mi sento partecipe di un grande cambiamento”

“Sono una popstar, sono una rockstar, sono un punk, un’anima bohémien. Sono figlio di Dio, figlio di ma’, un ragazzo normale, un miracolato, un pessimo esempio”, spiega alla fine del suo documentario Ragazzi Madre – L’Iliade. L'intervista con THR Roma

Che piaccia o meno, va riconosciuto che Achille Lauro è autore di una parabola tutta sua. Da alieno, strapazzato dalla critica e dagli spettatori della tv generalista, è diventato un personaggio family friendly del panorama artistico italiano, accettato e riconosciuto da qualsiasi fascia di spettatore. Riprende per stile e per volontà tutti quegli artisti musicali come Elton John, David Bowie o Renato Zero, a loro tempo lungamente criticati per la loro nonchalance sessuale e non convenzionalità, poi diventati icone indiscusse di una certa libertà musicale.

In fondo, Achille Lauro incarna a pieno il cambiamento (di una società, ma forse ancor di più di se stesso, della metamorfosi che il suo documentario racconta). E la sua testimonianza di artista genderless, svezzato a livello di erotismo, di stile e di pensiero, è perfettamente in linea con le necessità di un mercato che, un po’ per marketing, un po’ per integrità morale, tenta sempre più di non porsi confini, di avvicinarsi a chi fin ora si è sentito al margine.

“Sono una popstar, sono una rockstar, sono un punk, un’anima bohémien. Sono figlio di Dio, figlio di ma’, un ragazzo normale, un miracolato, un pessimo esempio”, spiega alla fine del suo documentario Ragazzi Madre – L’Iliade. La consapevolezza di poter essere tutto e poi niente, il secondo dopo. Ed è proprio questa mancanza di confini che spaventa il pubblico generalista e induce in tentazione i meno reazionari. Una libertà assoluta e travolgente, che cavalca ogni ambito, dalle sedi istituzionali come le Nazioni Unite di New York, a palchi considerati intoccabili (almeno pre – Lauro) come quello di Sanremo.

Con un’incoscienza quasi bambinesca, parte integrante del personaggio, che rende Lauro il ritratto nitido di una generazione figlia degli sbagli dei propri genitori, ma pur sempre appassionata, ostinata e arrabbiata. Pronta a sbattere la testa infinite volte per raggiungere ciò che gli spetta e decisa a narrarlo. E, anche di questo, Achille Lauro è un buon esponente. Non disdegna le sue origini, anzi, le racconta come l’incipit di un poema epico che dopo infinite battaglie lo vede vincitore. “Mentre mi toglievo la vita mi ripetevo ‘questa sarà una storia a lieto fine’. E così fu. Fino a qui, tutto bene”.

Achille Lauro all'anteprima di Ragazzi Madre - L'Iliade

Achille Lauro all’anteprima di Ragazzi Madre – L’Iliade

Nel documentario ci sono riprese di repertorio di quasi dieci anni fa. È una casualità o aveva già in mente questo progetto da tanto tempo?

Io mi sono sempre ripreso in vari momenti della mia vita, perché da tempo sentivo che stavamo per combinare qualcosa. Non avevo idea di dove stavamo andando, né di dove saremmo arrivati. Non avevo idea che Rolls Royce sarebbe diventata quella che poi è diventata. E allora penso di essere ancor più fortunato, perché ho molto materiale utile per raccontare tutto quello che c’è dietro.

Poi a volte le persone sottovalutano l’impegno e il tempo che viene dedicato a questo mestiere. Noi abbiamo dato tutto per la musica. Non avevo nessuna idea di fare un documentario, ma sentivo che c’era qualcosa dietro di noi.

Indubbiamente le sue origini sono state un motore per questa sua vocazione artistica. Pensa che se fosse provenuto da un altro contesto sociale sarebbe stata comunque questa la sua strada?

Questo non saprei dirlo. Io mi sento di credere davvero tanto nel destino, nelle cose scritte. Pur provenendo da questo contesto, penso che le mie strade sarebbero potute essere molteplici. Eppure, alla fine la strada maestra è stata questa. La vita è un po’ come Sliding Doors, bisogna prendere la corsa giusta. Di certo, so che io questa strada l’ho bramata tanto.

E come ha reso concreta questa bramosia?

Siamo stati testardi. Sicuramente fortunati, sicuramente graziati, miracolati. Ma anche tanto tanto testardi.

Ha mai avuto un piano B?

È una bella domanda, non ci ho mai pensato. Ma forse no, da quando ho iniziato a fare musica per me non è mai esistito un piano B.

Sta lavorando a nuova musica ora?

È uscito il mio singolo Stupidi ragazzi. Ora mi sto prendendo del tempo per capire, pensare e creare.

Il documentario porta come sottotitolo l’Iliade, si chiude con l’incipit del poema epico e si apre con dei versi dell’Achilleide di Stazio. Ci saranno influenze mitologiche anche nella sua nuova musica?

Sicuramente. Questo è solo l’inizio di un percorso nel quale voglio andare ad esplorare questo mondo. Che poi è sempre stata una mia passione, si pensi a Penelope (brano del 2018 contenuto nell’album Pour l’amour), già lì c’erano vari riferimenti a questa letteratura che mi appassiona tanto. Sono vari anni che esploro il poema epico, in particolare in questa parentesi della mia vita. Quindi sicuramente ci saranno riferimenti, anche in futuro.

Nel documentario dice che con Thoiry (singolo in collaborazione Quentin40 e Gemitaiz), uscita nel 2017, siete passati dalla trap, genere diventato già abbastanza convenzionale, a una variante urban, per la prima volta in Italia.

Io ho sempre fatto quello che desideravo. E in quello che desideravo c’erano anche tante scelte che non erano dirette sul binario della moda. Quindi sicuramente qualche cosa di nuovo abbiamo fatto. Non sono di certo io l’artefice, però mi sento partecipe di un grande cambiamento.

Che ambiti tocca il suo cambiamento?

Tocca dall’inizio alla fine tutti i mondi che ho toccato. Dall’urban alla musica elettronica – perché Pour l’amour aveva declinazioni virate elettroniche come quelle di Thoiry – fino al mondo Sanremo.

Si sente l’apripista di una nuova corrente musicale totalmente libera?

Io sono per la libertà vera, per quella estrema. Da dove sono arrivato io ad oggi ho compiuto solo scelte libere. Qualunque cosa nella mia vita è stata scandita da una mia scelta, da una mia decisione di chi volevo essere. Ho sempre cercato di portare quel messaggio lì, che poi è stato declinato in tutte le varianti. Io mi sento portatore di un messaggio di libertà, che ovviamente rientra anche nel modo in cui parlo, in cui mi vesto e in cui amo.  A me non piace farmi paladino delle mode. Per me l’essere che vuoi essere è il pilastro della mia vita.

A Sanremo 2021 cantava Me ne frego. A volte la spaventa ancora il giudizio degli altri?

Mi spaventa l’essere condizionato, che è diverso dallo spaventarsi. Non vorrei mai che un giorno diventassi anch’io vittima del giudizio. Per il momento non c’è questo pericolo.

Significherebbe snaturarsi?

Sì, sarebbe come snaturare tutti. Guardo sempre ai grandi artisti, che non hanno alcun filtro, sono completamente liberi. Non è come iniziare a disegnare un’opera su una tela con linee già prestabilite. Il foglio di carta è tutto bianco.