La regina Carlotta: Una storia di Bridgerton, la recensione: un manuale di istruzioni d’amore

La serie Netflix racconta la storia d'amore tra la regina interpretata da India Amarteifio e il re Giorgio III con il volto di Corey Mylchreest. Una relazione che ha trasformato le loro vite e un'intera nazione

Le storie di Bridgerton tornano su Netflix per continuare a farci innamorare. Per la maggior parte della prima ora, La regina Carlotta: Una storia di Bridgerton si presenta agli spettatori come un manuale da seguire passo passo per creare una storia d’amore irresistibile. Il tutto per gentile concessione della creatrice Shonda Rhimes.

Primo passo: presentare un’eroina che non possiamo fare a meno di amare: Charlotte (India Amarteifio), una principessa diciassettenne che trascorre il viaggio verso il proprio matrimonio scherzando cupamente sull’idea di infilzarsi con il proprio corpetto piuttosto che sposarsi con un uomo che non conosce. Secondo passo: organizzare un incontro tra la nostra eroina e il suddetto uomo, Giorgio III (Corey Mylchreest), e fare in modo che lui sia così palesemente innamorato di lei da farci innamorare immediatamente di lui. Terzo passo: far sposare i due con una cerimonia sontuosa e poi farli partire per vivere il loro “vissero per sempre felici e contenti”.

Ma in questo caso sappiamo già che non ci sarà un “vissero per sempre felici e contenti”, o almeno non esattamente. In La regina Carlotta è insita la tensione tra la fantasia sdolcinata che ha reso Bridgerton così amato e il terreno più spinoso già tracciato per la coppia centrale dalla serie principale (e dalla storia vera). Sebbene la serie non riesca sempre a trovare un equilibrio perfetto tra le due cose, la sfida alla fine produce uno spin-off più ricco e complesso della serie principale, ma non meno delizioso nel suo romanticismo.

La regina Carlotta di India Amarteifio

Anche se il primo episodio di La regina Carlotta si conclude con un matrimonio, il fatto che la serie abbia altre cinque ore da riempire dovrebbe far capire che la coppia è destinata a sfide più grandi del semplice arrivo all’altare. In questo caso, la magia assoluta del primo incontro – che la Rhimes dirige in modo magistrale – ripaga lo spettatore: ci fa credere nella correttezza intrinseca del loro legame, anche quando la serie li mette di fronte a ogni tipo di ostacolo.

Alcuni sembreranno familiari ai fan delle altre stagioni di Bridgerton: Charlotte è così ingenua che ha bisogno che il concetto di sesso le venga spiegato tramite dei diagrammi frettolosamente abbozzati. “Sono nato per la felicità o l’infelicità di una grande nazione, e di conseguenza devo spesso agire in contrasto con le mie passioni”, dice George a proposito del suo matrimonio. La prima stagione di Bridgerton ha stabilito che è stata l’unione di George e Charlotte a creare una visione storicamente diversa dell’alta società britannica, obbligando così la regina Charlotte ad affrontare la questione di petto.

Ma l’approccio di La regina Carlotta: Una storia di Bridgerton è troppo pesante per essere ignorato e troppo superficiale per essere preso sul serio. Il “grande esperimento” dell’integrazione è considerato così drastico che George si meraviglia che lui e Charlotte abbiano “fatto più cambiamenti, più passi avanti, di quanti ne abbia fatti la Gran Bretagna nell’ultimo secolo”. Allo stesso tempo, la serie è riluttante nel sondare gli atteggiamenti sgradevoli derivanti da questo editto, a parte alcuni casi di malcontento da parte di espliciti razzisti.

Ma questo franchise non è mai stato in grado di affrontare argomenti del genere. La regina Carlotta è fortunatamente più sicura di sé e riesce a svolgere il compito per cui è stato progettato, ovvero offrire una storia d’amore per cui vale la pena sognare. Amarteifio e Mylchreest condividono un’immediata e palpabile intesa che si fa sempre più bollente man mano che il loro matrimonio precoce si evolve in un vorticoso miscuglio di desiderio, risentimento, dolore e tenerezza. E quando la trama li tiene separati per lunghi periodi di tempo, entrambi sono occupati da un’irresistibile rete di personaggi secondari, tra cui l’ambiziosa amica di Charlotte, Lady Danbury (Arsema Thomas), la madre di George, Augusta (Michelle Fairley) e, con un tocco inaspettatamente commovente, una coppia di leali maggiordomi Brimsley di Sam Clemmett e Reynolds di Freddie Dennis.

Bridgerton tra passato e futuro

Se si aggiungono abiti tempestati di gioielli, le cover pop dei Vitamin String Quartet e un sano senso dell’umorismo sulle sciocche stravaganze della classe dominante, La regina Carlotta riesce a replicare gli stessi momenti piacevoli della serie madre. E fa tutto questo senza affidarsi all’illusione di un’eterna felicità matrimoniale. Nel corso della serie, alcuni scorci della Charlotte di mezza età dell’epoca della Reggenza (Golda Rosheuvel) che abbiamo conosciuto in Bridgerton ci ricordano dove è diretta questa particolare storia d’amore: verso una progressiva malattia mentale per George (James Fleet) e una potenziale crisi di successione per la loro dinastia. Ciascuna linea temporale aggiunge una sfumatura toccante all’altra e insieme fanno sì che la serie si allontani dagli ideali di Bridgerton verso qualcosa di più concreto.

“Voglio combattere con te. Combatti insieme a me. Combatti per me”, grida Charlotte a George durante una discussione per quella che percepisce come indifferenza. Le sue parole sono un’espressione di rabbia, ma riflettono anche la concezione che la serie ha dell’amore come qualcosa che i protagonisti devono scegliere attivamente di difendere giorno dopo giorno. Il lieto fine potrebbe non essere qualcosa di concreto per questi due, almeno non nel modo in cui ci aspettiamo da questa serie.

Ma quando nel finale ritroviamo una Charlotte e un George più vecchi – ancora in grado, nonostante tutto quello che hanno passato, di vedersi come le meravigliose persone di cui si sono innamorati per la prima volta – La regina Carlotta ha dimostrato che le battaglie che combattiamo per l’amore sono proprio quelle che lo rendono così gratificante.

Traduzione di Pietro Cecioni