Le Lezioni di chimica di Brie Larson sono un favola femminista gradevole. E un po’ melanconica

Sessismo, razzismo, femminismo... ma non troppo complesso. L’attrice premio Oscar nei panni di una scienziata diventata conduttrice di programmi di cucina che lotta contro il patriarcato nella Los Angeles degli anni cinquanta. Su Apple TV +

Per Elizabeth Zott (Brie Larson), l’intrepida eroina di Lezioni di chimica di Apple TV+, la perfezione è l’obiettivo finale. Quando la incontriamo, ha appena preparato lo stesso piatto di lasagne per 78 volte, ogni volta con leggere modifiche, meticolosamente documentate, alla ricerca di una ricetta che non può essere ulteriormente migliorata.

Come dimostra la sua evidente gioia quando Calvin (Lewis Pullman) inizia a mangiare la sua ultima fatica, però, un piatto non ha bisogno di essere perfetto per essere piacevole. E nemmeno una serie televisiva. Lezioni di chimica è tutt’altro che impeccabile; anche chi (come me) non ha mai letto il romanzo di Bonnie Garmus da cui è tratto, riuscirà a percepire i punti in cui il materiale di partenza e l’adattamento non sono del tutto in sintonia. Tuttavia, vale la pena di gustarlo, grazie a un cast accattivante, a dialoghi arguti e a temi facilmente digeribili.

Lezioni di chimica è al massimo del suo acume e della sua dolcezza nei primi due capitoli di un’ora, in cui si delinea la storia d’amore le cui conseguenze si ripercuoteranno nei sei capitoli successivi.

Nella Los Angeles degli anni Cinquanta, Elizabeth è una brillante tecnica di laboratorio soggetta a molestie e mancanza di rispetto da parte dei colleghi maschi; Calvin è la stella dello stesso laboratorio, considerato dai suoi colleghi come “il Richard Feynman della chimica”. Entrambi sono solitari e impacciati, poco interessati a legare con i colleghi, eppure quando si incontrano, la loro chimica è istantanea e innegabile.

Elizabeth appare ai più come una persona rigida e pungente, ma Larson le conferisce una franchezza che solo Calvin all’inizio sembra riconoscere, e un umorismo secco che solo Calvin all’inizio sembra capire. Pullman, dal canto suo, ha perfezionato l’arte di guardare la sua co-protagonista come se non avesse mai sognato che una persona del genere potesse esistere.

In breve tempo, la coppia ha creato una felice collaborazione: lavorano insieme, vivono insieme, crescono insieme un adorabile cane di nome Six Thirty (“Come il carbonio e lo zinco, suppongo?”, chiede Calvin a proposito della scelta del nome). Purtroppo per loro, Lezioni di chimica ha tra i suoi temi principali l’imprevedibilità della vita. E così, al terzo episodio, Elizabeth, che aveva rifiutato la maternità a favore della carriera, si ritrova senza lavoro e single, con una nuova bambina di nome Mad, così chiamata perché, quando Elizabeth stava cercando di trovare un nome, l’infermiera le aveva suggerito di “seguire quello che senti in questo momento” [cioè “mad”, arrabbiata, N.d.T.].

È a questo punto che la serie, sviluppata da Lee Eisenberg, si trasforma in qualcosa di meno prevedibile e più ambizioso del dramma romantico che sembrava essere a prima vista.

La storia fa un balzo in avanti di diversi anni e allarga il suo raggio d’azione, mentre Elizabeth stessa compie un difficile cambio di rotta. Con la sua carriera scientifica in sospeso, Elizabeth trova un nuovo scopo come conduttrice di un programma di cucina, dove applica il suo solito rigore scientifico alle ricette di tutti i giorni, nel frattempo diventa un’ispirazione per una generazione di donne non abituate a prendere sul serio i propri sforzi o le proprie ambizioni.

Nello stesso periodo, Mad (Alice Halsey), ora un’adorabile e precoce bambina di 7 anni, parte alla ricerca di risposte sul padre che non ha mai conosciuto. Lezioni di chimica comincia a saltare sempre di più avanti e indietro nel tempo, ripercorrendo le strade che hanno portato questa famiglia poco ortodossa al punto in cui si trova.

Lungo il percorso, il film tocca apparentemente ogni nota emotiva, dal capriccio alla giusta rabbia, alla tristezza struggente, e temi di ampio respiro come la fede, la genitorialità e il cambiamento sociale. Alcuni esperimenti funzionano meglio di altri.

Il terzo episodio introduce la voce narrante di Six Thirty (fornita da B.J. Novak), aggiungendo nuove struggenti profondità al suo rapporto con la sua umana. Ciò che poteva essere commovente sulla pagina, tuttavia, sullo schermo viene interpretato come una bizzarra digressione fuori campo che rischia di far precipitare l’intero tono della serie in un sentimentalismo in stile Qua la zampa!. È un sollievo quando la voce fuori campo scompare così bruscamente come è apparsa, e l’altrimenti adorabile Six Thirty può svanire con grazia sullo sfondo.

Altrove, la migliore amica e vicina di casa di Elizabeth, Harriet (Aja Naomi King), è coinvolta in una sottotrama che riguarda la sua annosa campagna contro l’ampliamento della superstrada che decimerebbe la loro zona a maggioranza nera. La trama è stata creata interamente per la serie, costruita attorno a una figura totalmente reimmaginata rispetto al libro, e si vede. È un arco narrativo intrigante con un personaggio simpatico che non riceve mai il tempo e l’attenzione di cui ha bisogno per esprimere tutto il suo potenziale, forse perché è solo debolmente collegato a una narrazione che per il resto è tutta incentrata sulla reazione a catena che è la vita di Elizabeth.

Il vero scopo della sottotrama sembra essere quello di estendere il femminismo di Lezioni di chimica al di là delle donne bianche che costituiscono la maggior parte dei colleghi e dei fan di Elizabeth. Sebbene sia un obiettivo ragionevole in teoria, in pratica la politica della serie è troppo semplicistica per sostenere qualsiasi fattore di complicazione.

Il suo mondo è diviso in persone buone che capiscono e persone cattive che non capiscono: razzisti e misogini palesi da un lato – come il proprietario della rete (Rainn Wilson) che si lamenta che Elizabeth non è abbastanza “scopabile” o i politici che deplorano il “degrado” di una comunità nera della classe media – e gli emarginati e i loro alleati in gran parte incolpevoli dall’altro.

Vengono fatti solo timidi tentativi di affrontare i pregiudizi inconsci o interiorizzati che potrebbero confondere queste chiare distinzioni. Nella misura in cui persone come Elizabeth o Calvin sono complici del razzismo o del sessismo, è solo perché sono così perfettamente innocenti che sembrano a malapena aver notato la razza o il genere.

D’altra parte, Lezioni di chimica sembra concepito non tanto come un documento senza fronzoli di un’epoca passata, quanto come una fantasia malinconica di ciò che sarebbe potuto essere, ed Elizabeth non come una protagonista in cui potersi identificare ma come un’eroina aspirazionale.

Poco prima di accettare di partecipare a Cena alle Sei, il suo gentile produttore (Kevin Sussman) le spiega esattamente cosa vede in lei: “Lei rispetta il suo pubblico, non lo guarda dall’alto in basso, gli viene incontro e in qualche modo lo innalza”.

Lezioni di chimica si propone di fare lo stesso, invitandoci a prendere spunto da una donna singolare che non si accontenta mai, che si impone gli standard più elevati, che affronta il patriarcato con lo stesso pragmatismo che potrebbe applicare a un arrosto particolarmente difficile. Quello che esce dal forno non è certo alta cucina. Ma anche il comfort food dà le sue soddisfazioni.

Traduzione di Nadia Cazzaniga