Qualsiasi assonanza si possa fare tra Challengers e il tennis va bene. La vita come sport, l’amore come competizione, l’ambizione prima dell’amicizia. Sì, sì e sì. Anche che non si sa mai la pallina da quale parte del campo cadrà ed è sempre meglio mantenerla in gioco che farla finire dentro la linea.
In fondo Woody Allen ce lo aveva insegnato, applicando la fatalità del gioco al crime di Match Point, dove però era la fortuna l’asso nella manica del destino e, quindi, dei protagonisti, mentre è solo determinazione, voglia e disciplina ciò che motiva i personaggi del film di Luca Guadagnino.
Su tutti Tashi Duncan, una stratosferica Zendaya, che Patrick/Josh O’Connor descrive all’amico Art/Mike Faist come un’essere proveniente da un altro pianeta. Ed è vero.
“Hai urlato prima, non avevo mai sentito niente di simile”, continua il personaggio dell’attore di West Side Story, che si innamorerà della giovane promessa del tennis esattamente come il suo amico dai tempi dell’accademia. La sposerà anche. Solamente dopo che Tisha sarà stata per un anno con Patrick.
Challengers
Cast: Zendaya, Josh O'Connor, Mike Faist
Regista: Luca Guadagnino
Sceneggiatori: Justin Kuritzkes
Durata: 131 min
In tennis e in amore tutto è lecito
Lo scopriamo nello scorrere del tempo, in una partita che Guadagnino intraprende su un campo tutto suo. Non segue traiettorie definite, come i tiri dei suoi atleti, ma è arzigogolante, si porta indietro e in avanti mentre le vite dei protagonisti si intrecciano nel corso degli anni alle loro passioni, alle delusioni fuori e dentro il rettangolo di gioco. Unica cosa che conta, forse non tutto quello che conta.
È su cosa vogliamo che si basi il nostro cammino l’assunto di Challengers. E, in scala più ampia, delle nostre intere esistenze. Quella di Tisha di sicuro. È lei, solo lei il centro, la supernova che esplode troppo presto, il cui ginocchio non recupererà mai abbastanza dopo un brutto infortunio tanto da metterla in panchina e diventare l’allenatrice del marito Art.
È il tennis, solo il tennis, nient’altro che il tennis per una donna che voleva studiare per non essere soltanto brava a “tenere una racchetta in mano” e che invece non è che non saprà fare altro nella sua carriera, ma non vorrà farlo. Non vorrà mai abbandonare il gioco, anche quando è il gioco stesso che le ha detto che non può più partecipare.
Se i desideri della protagonista di Zendaya, bella e determinata, un carro armato di professionalità, sangue freddo e leadership sono i trucchi da sfoggiare durante il match – e che l’attrice dimostra quotidianamente sia davanti che dietro che dentro lo schermo, anche da produttrice come per Guadagnino – è poi il film a ruotarle completamente attorno.
Perno di un sistema solare in cui l’equilibrio dei tre personaggi si articola nelle vittorie e nelle sconfitte di ognuno, controbilanciate dai sentimenti che possono provare gli uni per gli altri e che sanno esprimere soltanto in una maniera. L’unica, per loro. La sola autentica: sfidandosi sul campo da tennis.
Challengers e il gioco di Luca Guadagnino
Allora gioca anche Guadagnino. Con la sessualità e sensualità dei protagonisti, che si attraggono tra di loro e fanno lo stesso con lo spettatore – e che, in controtendenza con le aspettative del pubblico, non si vedranno mai fare sesso.
Con l’intenzione di rendere iconici alcuni dei costumi, dei capi d’abbigliamento e degli outfit di Challengers, curati dal costume designer Jonathan Anderson, direttore creativo di Loewe.
Con un montaggio che spezza continuamente le scene. La loro tensione, ciò che stavano dicendo, le interrompe per poi riprendere da un altro punto e tornare a capo.
E la colonna sonora. La ritmica martellante e ipnotica di Trent Reznor e Atticus Ross. Sono co-registi di Luca Guadagnino a tutti gli effetti. Le loro musiche, stupende e accattivanti, vengono inserite spesso in risposta contraria all’atmosfera della scena, dettandone l’andamento stilistico mentre l’autore calibra l’aspetto emotivo.
La maggior parte delle volte l’effetto è dissonante, ma lo sono anche i discorsi, le parole e le volontà dei personaggi. Parlano d’amore, mentre lo camuffano in dibattiti sul tennis. A volte invece, tennis, vuol dire proprio tennis. E forse è ancora più eccitante.
Zendaya, O’Connor e Faist sono seducenti, oltremodo sudati e incantevoli da fare male. Come tutto Challengers. Guadagnino sperimenta, svolta e schiaccia alla regia. Proprio come cambia e si perfeziona la tecnica dei protagonisti, arrivando al culmine che sfocia nella lunga, liberatoria scena finale. Va veloce, va lenta, accelera, sposta la prospettiva. E fa anche sorridere. Un sorriso sincero, da amici.
Forse il primo, in tutto il film, che esprime a pieno l’amore dei protagonisti, l’amore pazzo e ossessivo per lo sport a cui hanno dedicato la vita. L’amore che Luca Guadagnino prova per il cinema. E che noi proviamo con lui.
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