Cattiverie a domicilio, una liberazione femminile a colpi di parolacce

La commedia di Thea Sharrock, ispirata a una storia vera, riporta insieme sul grande schermo Olivia Colman e Jessie Buckley dopo La figlia oscura. Il loro esilarante scontro è anche il pretesto per parlare di donne

Una piccola città di provincia, lettere anonime piene di odio e un’unica sospettata: no, non è Il corvo di Clouzot, ma Cattiverie a domicilio. Lontano dalla Francia del secondo dopoguerra, la commedia-poliziesca di Thea Sharrock è ambientata nei primi anni Venti sulla costa meridionale dell’Inghilterra.

Nel pieno delle rivendicazioni delle suffragette, Edith Swan (Olivia Colman) riceve strane missive ricolme di insulti che per lei, cristiana devota, conservatrice e anche un po’ bigotta, sono irripetibili. Alla diciannovesima lettera, spinta dalla prepotenza del padre (Timothy Spall), decide di denunciare la vicina di casa, Rose Gooding (Jessie Buckley), madre single, sfacciata e persino irlandese. Una tripletta che la rende il nemico pubblico numero uno dalle parti di Littlehampton, West Sussex.

Lettere piccole e cattive, una storia vera

La storia è vera, nomi compresi, così come l’epilogo raccontato da Sharrock, regista soprattutto teatrale, conosciuta sul grande schermo per Io prima di te (2016). Tra il caso sensazionalistico, che arrivò fino ai giornali londinesi, e la conclusione del processo c’è però una densa e divertente ricostruzione di dialoghi, situazioni e relazioni umane che prende forma nel binomio Colman-Buckley. Uno scontro spesso teatrale, nel senso più scenografico del termine, limitato a pochi luoghi, spesso chiusi come il cortile di casa o l’aula del tribunale. Spazi ristretti che enfatizzano l’emozione in scena.

Sul grande schermo le aveva già portate, insieme, Maggie Gyllenhaall con La figlia oscura, nello stesso ruolo della protagonista, in età diverse. Si era notata già in quell’occasione la sensibilità che le lega, che permette a una di specchiarsi nell’altra. Se Gyllenhaall l’ha fatto con un dramma claustrofobico, Sharrock ne sfrutta invece la vena comica.

Olivia Colman e Jessie Buckley, insieme

Il viso trasformista di Olivia Colman, a tratti durissimo e a tratti il più dolce e indifeso mai visto, si adatta bene al carattere della sua Edith Swan. Una donna matura, educata dai genitori come una serva, obbediente e repressa. La cattiveria meschina (richiamata anche nel titolo originale, Wicked Little Letters) le attraversa lo sguardo in un lampo e si camuffa facilmente dietro strati di maschere e apparenze.

Improperi, parolacce e insulti a sfondo sessuale strappano così più di una lecita risata, soprattutto grazie al contrasto e alla distanza che Colman riesce a creare fra sé e il personaggio.

Jessie Buckley e Olivia Colman in Cattiverie a domicilio

Jessie Buckley e Olivia Colman in Cattiverie a domicilio. Courtesy of Lucky Red

Trasparente, schietta e libera, la Rose Gooding di Jessie Buckley non è mai, invece, la cattiva della storia. Il pubblico si schiera dalla sua parte fin dal primo minuto, trasformando il suo arco narrativo in qualcosa di più della ricerca del colpevole in tribunale. È una giustizia molto più profonda, quella che insegue Rose. Per se stessa e per le donne come lei.

Emarginata in Irlanda, guardata con sospetto in Inghilterra, Rose rifiuta lo sguardo e il controllo maschile, che sia di un padre, di un marito o di un agente di polizia. Le uniche persone in cui ripone fiducia sono il compagno, che la tratta da sua pari, e la sola donna nelle forze di polizia della città, Gladys Moss (Anjana Vasan).

Il messaggio dietro la commedia

Su Rose, Gladys e le abitanti di Littlehampton, che rifiutano di tornare in un angolo della società dopo le rivendicazioni del primo dopoguerra, si basa anche il messaggio sociale e più ampio di Cattiverie a domicilio. La sorellanza, intesa come collaborazione e riconoscimento reciproco del ruolo femminile nelle battaglie e nella quotidianità, è l’anima e lo scheletro del film.

Le piccole lettere meschine non sono che il pretesto per parlare di qualcosa di più, di una liberazione che, a ben vedere, investe in modi sorprendenti anche la più reticente delle anti-femministe. E il risultato è esilarante.