Transformers – Il risveglio, la recensione: gli Autobot in fuga nella New York degli anni ’90

Il nuovo capitolo della saga di Optimus Prime & co arriva al cinema il 7 giugno per la regia di Steven Caple Jr., con Anthony Ramos e Dominique Fishback tra i protagonisti. Un reboot non dichiarato. E più intelligente del previsto

NEW YORK – A sei anni dal precedente Transformers – L’ultimo cavaliere, e a cinque dallo spin-off Bumblebee, la saga cinematografica di Optimus Prime e degli Autobot torna con un reboot non dichiarato, realizzato con l’idea di proiettare il franchise verso il futuro. 

La prima novità di Transformers – Il risveglio sta nel cambio al timone del progetto: l’autore dei precedenti capitoli, Michael Bay, ha lasciato la sedia della regia a Steven Caple Jr., il quale con Creed II si era già dimostrato in grado di sviluppare con efficacia un franchise di successo. Anche il cast di attori ha subito un deciso processo di ringiovanimento: i protagonisti Anthony Ramos e Dominique Fishback sono infatti due delle “rising star” della Hollywood contemporanea, volti nuovi che si adattano con precisione ai rispettivi ruoli – anche in prospettiva futura. L’attrice, già apprezzata in Judas and the Black Messiah, offre in particolar modo una prova convincente, interpretando il primo ruolo femminile di spessore dell’intero franchise (i tempi di Megan Fox sono lontani).

I Transformers nella grande mela

La terza e probabilmente più importante novità di Transformers – Il risveglio sta nell’ambientazione, sia geografica che temporale. Dopo un veloce prologo ambientato in “mondi lontani”, la storia si sviluppa nella New York del 1994, nel periodo in cui la metropoli stava vivendo la fervida rivoluzione artistica del rap del Wu-Tang Clan e dei film “arrabbiati” di Spike Lee. Steven Caple Jr. rende omaggio a quella stagione fondamentale per l’affermazione socio-culturale delle minoranze in America, e insieme mostra – sotto all’estetica sfavillante del blockbuster – le contraddizioni sociali di quegli anni. 

Dietro alla confezione magniloquente, questo nuovo episodio di Transformers riesce ad articolare discorsi di uno spessore sconosciuto ai precedenti lungometraggi. Anche a livello narrativo Transformers – Il risveglio rappresenta un passo in avanti rispetto ai precedenti film diretti da Bay. Era dai tempi del primo Transformers, datato 2007, che lo sviluppo della trama e le sequenze più spettacolari non si fondevano con una simile naturale coerenza. Il film di Caple Jr. non è un’esibizione ininterrotta di effetti speciali, montaggio serrato e spettacolo roboante da cinema mainstream americano: soprattutto nella prima parte il film sa prendersi il suo tempo, lasciando che i personaggi e i loro rapporti non vengano soffocati dalla necessità di intrattenere. E quando arriva l’inevitabile, grandioso (e pur sempre leggermente prolisso) epilogo, lo spettatore lo accoglie senza essere stremato dal bombardamento audiovisivo.

L’occhio del pubblico

Bonus per l’occhio del pubblico, la possibilità di ammirare la bellezza delle architetture newyorkesi e e i magnifici scenari naturali del Sud America, che eleva la qualità complessiva dell’operazione.

Pur non essendo esente da una certa retorica, Transformers – Il risveglio arriva a rinverdire i fasti della saga di Optimus con lucidità e freschezza narrativa ed estetica. La distanza dall’ultimo episodio potrebbe forse incidere negativamente sulla possibilità di ottenere un successo esorbitante al botteghino, soprattutto alla luce della velocità con cui i cosiddetti pop-corn movies cambiano e si involvono. Ma Transformers – Il risveglio merita di essere apprezzato: un film più intelligente di quanto ci si potesse aspettare.